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Datagate – Snowden: “Skynet, software dell’NSA, ha identificato migliaia d’innocenti come terroristi”

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Skynet, AI poco intelligente e tanto colpevole

Migliaia di innocenti sarebbero finiti per essere identificati come terroristi dal programma utilizzato dalla NSA per l’antiterrorismo in Pakistan

di Claudio Tamburrino

Skynet, il programma di intelligenza artificiale sviluppato dalla US National Security Agency (NSA) ed utilizzato per l’individuare potenziali terroristi, avrebbe rilevato migliaia di falsi positivi.

Come affermano alcuni dei documenti rivelati nell’ambito del Datagate da Edward Snowden, Skynet è il nome scelto da NSA citando la serie Terminator per contrassegnare un programma segreto utilizzato per l’identificazione di potenziali comportamenti terroristici. Per farlo sfrutta i metadati delle comunicazioni telefoniche mobile, ma non sembra per esempio tenere in considerazione fattori contingenti come potrebbe essere il caso del giornalista di Al Jazeera Ahmad Muaffaq Zaidan, indicato da Skynet come membro di Al Qaeda, ma che ha sempre negato la sua presunta partecipazione all’organizzazione terroristica e che per il suo lavoro di giornalista deve tenere contatti diretti con le fonti all’interno della stessa.

Skynet, per le sue individuazioni induttive di terroristi, infatti, utilizza una triangolazione analitica basata su una serie di fattori tra cui le chiamate del cellulare personale del soggetto, la sua localizzazione, l’attività sui social media e gli spostamenti: basta pensare al caso del giornalista pakistano di Al Jazeera per intuire le falle nel sistema.

Ora, secondo quanto riferisce un rapporto di Ars Technica che ha analizzato i numeri compresi nei documenti NSA relativi a Skynet, tale ragionamento va fatto su tutti i casi affrontati dall’AI soprattutto considerando che la stessa Agenzia riferisce che il programma ha una percentuale di falsi positivi pari allo 0,008 per cento.

Per quanto tale percentuale appaia marginale, se si considera che il Pakistan ha una popolazione di 182 milioni di persone e che la NSA ha informazioni su telefonate di circa 55 milioni di persone nel Paese, non si può non considerarla una cifra considerevole. Inoltre, come Ars segnala, in altri test comunicati da NSA si parla di un tasso di errore dello 0,18 per cento, che porterebbe a circa 99mila persone su 55 milioni male identificate. E se anche solo il 50 per cento fosse stato individuato ed arrestato o addirittura eliminato, significherebbe che migliaia di innocenti sono vittime dell’intelligence a stelle e strisce. E anche con la più ottimistica percentuale dello 0,008 si tratterebbe di numerosi innocenti.

Ancora più preoccupante la modalità di calcolo di tale percentuale: NSA si è basata sulle presunzioni fatte sulla base di 100mila profili casuali e 7 appartenenti terroristi noti: la percentuale non è stata invece verificata sulla base di nuove informazioni che avrebbero potuto dimostrare se il sistema fosse sufficientemente efficiente per elaborare risultati in situazioni nuove.

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Fonte: Punto Informatico

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Francia – Per la sicurezza nazionale a rischio libertà e stato di diritto

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“Stato di emergenza” in Francia

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di Italo Di SabatoOsservatorio sulla Repressione

A seguito degli attentati terroristici a Parigi il governo francese ha dunque dichiarato lo “stato di emergenza” su tutto il territorio francese. Si tratta di una misura “straordinaria” che dà poteri speciali ai prefetti e permette di dichiarare il coprifuoco, interrompere la libera circolazione, impedire qualsiasi forma di manifestazione pubblica e chiudere luoghi come le sale da concerto e i bar. Consente inoltre il controllo dei mezzi d’informazione e permette alle forze dell’ordine perquisizioni a domicilio di giorno e di notte. Una misura straordinaria che rischia di diventare la modalità attraverso la quale non solo si cerca di governare l’avvenimento eccezionale ma si normalizza l’andamento democratico in nome della sicurezza nazionale.

Per Giorgio Agamben, lo stato di eccezione è una soglia oltre la quale vengono meno le tradizionali differenze fra democrazia, assolutismo e dittatura (“Lo stato di eccezione”, Bollati Boringhieri). Dall’inizio del secolo

la creazione volontaria di uno stato di eccezione permanente è divenuta una delle pratiche essenziali degli stati contemporanei, anche quelli cosiddetti democratici”.

Una realtà che

ha continuato a funzionare quasi senza interruzione a partire dalla prima guerra mondiale, attraverso fascismo e nazionalsocialismo, fino ai nostri giorni”,

sostiene Agamben dopo aver passato in rassegna le innumerevoli difficoltà incontrate dalla tradizione giuridica di fronte al tentativo di fornirne una definizione concettuale e terminologica certa.

Lo stato di eccezione non è un ritorno al potere assoluto, né tantomeno un modello dittatoriale, non è pienezza bensì vuoto, vuoto del diritto come l’esempio del “iustitium” insegna. Lo stato di eccezione – prosegue Agamben:

ha assunto oggi il suo massimo dispiegamento planetario. L’aspetto normativo del diritto può essere così impunemente obliterato e contraddetto da una violenza governamentale che, ignorando all’esterno, il diritto internazionale e producendo all’interno, uno stato di eccezione permanente, pretende tuttavia di stare ancora applicando il diritto”.

La conclusione è senza appello,

dallo stato di eccezione effettivo in cui viviamo non è possibile il ritorno allo stato di diritto, poiché in questione ora sono i concetti stessi di stato e di diritto”.

Dopo aver letto queste parole è inevitabile pensare a quella serie di provvedimenti intrapresi dall’amministrazione Usa dopo l’11 settembre 2001, e che hanno condotto al deserto giuridico di Guantanamo, il più visibile dei luoghi invisibili. L’internamento di individui, non prigionieri accusati, rilancia l’emblema tragico del campo, zona in cui “la nuda vita raggiunge la sua massima indeterminazione”. Le nuove dottrine strategiche, riassunte dietro formule come “giustizia infinita” e “guerra preventiva”, sembrano voler fare dello stato di eccezione il paradigma di governo che domina quella che da più parti è stata definita “guerra civile mondiale”.

La dichiarazione dello “stato di emergenza” in Francia, in un momento così fragile per gli equilibri democratici non solo francesi ma europei, cosi come è accaduto negli Usa dopo gli attentati dell’11 settembre, diventa lo strumento necessario per fornire il pretesto per una formidabile accelerazione di quella trasformazione dei codici penali e di procedura penale che era in corso da molti anni.

Misure che offriranno una nuova finalità e una nuova legittimazione alla trasformazione del diritto penale, una messa in discussione dell’esistenza stessa dello Stato di diritto. Ciò che era stato deciso in gran segreto verrà alla luce e troverà la più ampia giustificazione. Tutte le misure saranno giustificate dell’emergenza, ma si iscrivono in una guerra di lungo termine al terrorismo. Del resto, lo stato di emergenza si iscrive nella durata: esso appare come una nuova forma di regime politico votato alla difesa della democrazia e dei diritti umani. In altri termini, il cittadino deve essere disposto a rinunciare per lungo tempo alle sue libertà concrete al fine di mantenere un ordine democratico autoproclamato e astratto.

L’esempio degli Stati Uniti conferma l’efficacia di questa politica: i sondaggi rilevano che sempre più persone sono disposte a tollerare maggiore sorveglianza e a fare qualche concessione rispetto ai propri diritti alla privacy.

La lotta al terrorismo diventa lo strumento privilegiato di legittimazione di qualunque potere. I governi che partecipano alla politica di lotta al terrorismo sono considerati naturalmente democratici; al contrario qualsiasi movimento politico radicale che si oppone a un governo aderente al programma di lotta al terrorismo può essere criminalizzato. Per esempio, la lista di organizzazioni terroristiche redatte dal Consiglio Europeo comprende il Pkk, il partito curdo impegnato in questi mesi in difesa dei territori contro l’avanzata dell’Isis. Questa disposizione criminalizza il Pkk legittimando contemporaneamente il governo turco ben noto per le sistematiche violazioni dei diritti umani.

Ogni governo quale sia la linea politica, nel momento che aderisce all’“esercito del bene contro l’esercito del male” si trova investito della missione di difendere le libertà fondamentali. Ad esempio l’istituzione del mandato d’arresto europeo (Mae) costituisce un buon esempio di questo riconoscimento, reciproco e automatico, da parte degli Stati membri dell’Unione europea. Esso permette la consegna quasi automatica, da parte di uno Stato membro, di una persona ricercata dall’autorità giudiziaria di un altro Stato membro. Rispetto alle procedure di estradizione, questo mandato sopprime tutti i controlli politici e giudiziari che contemplano la legalità della richiesta e la possibilità di presentare ricorso: la domanda viene incondizionatamente riconosciuta e soddisfatta dagli altri paesi, qualunque sia la sua legittimità o la sua conformità ai principi dello Stato di diritto.

In questo quadro ogni movimento sociale può essere criminalizzato in nome della lotta al terrorismo. Le norme permettono di perseguire qualunque azione compiuta da un movimento il cui obiettivo non è solo quello di opposizione ma anche quello di influenzare le politiche governative o di fare pressione su un’organizzazione internazionale. In questo processo, che ha lo scopo di ridisegnare l’organizzazione della società, il diritto penale acquista un ruolo costituente, è un atto di autorità suprema. Il cambiamento è talmente significativo da provocare un vero e proprio stravolgimento della norma: le “eccezioni” diventano la regola. Le procedure d’eccezione si sostituiscono alla costituzione e alla legge come forma di organizzazione del politico.

Le azioni terroristiche del 13 novembre a Parigi e la risposta del governo francese con i bombardamenti in Siria sono entrambi attacchi ai movimenti sociali, perché intesi a causare la criminalizzazione delle lotte, divisioni, paura e disperazione tra i soggetti colpiti dalla crisi sociale, economica e ambientale e per gestire con mezzi eccezionali i flussi migratori e quant’altro attiene alla globalizzazione in un mondo di guerra permanente. È decisiva la nostra opposizione alla guerra e alle restrizioni crescenti delle libertà civili, cosi come decisiva è la libertà di oltrepassare i limiti posti per criminalizzare e cancellare le capacità sociali e organizzative dei movimenti.

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Fonte: Comune-info

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Echelon: da 50 anni spionaggio globale!

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ECHELON, 50 anni di sorveglianza globale

di Alfonso Maruccia

Il giornalista che per primo svelò al mondo l’esistenza del network spionistico rievoca le sue indagini, e chiude il cerchio con un documento portato alla luce da Edward Snowden

Lo scandalo del Datagate ha svelato al mondo la portata e le inquietanti capacità di spionaggio a disposizione dell’intelligence statunitense (NSA) e dei partner del ristretto club dei “Five Eyes” (Australia, Canada, Nuova Zelanda, UK, USA); ben prima delle rivelazioni di Edward Snowden, il giornalista investigativo britannico Duncan Campbell aveva già alzato il velo del tecnocontrollo globale parlando per la prima volta del programma ECHELON.

Tre lustri fa, la percezione dell’opinione pubblica in merito a ECHELON passava dallo status di leggenda metropolitana a network spionistico concreto grazie all’interessamento dei parlamentari europei, ma Campbell aveva cominciato a parlare delle grandi parabole della rete per le intercettazioni globali già nel 1988.

Ora, in un nuovo approfondimento pubblicato su The Intercept, il giornalista britannico chiude in qualche modo il cerchio svelando dettagli inediti del programma ECHELON – un programma avviato già 50 anni fa, sostiene Campbell, e che un documento di Snowden risalente al 2005 cita direttamente come “sistema focalizzato sui satelliti di telecomunicazioni”.Decadi prima del Datagate, di Internet e dello spionaggio di massa facilitato dalla condivisione indiscriminata sui social network, suggerisce Campbell, ECHELON ha garantito a cinque nazioni alleate la capacità di intercettare, raccogliere e analizzare le comunicazioni globali – prima analogiche, poi digitali – dietro il paravento dell’antiterrorismo e della sicurezza nazionale.

Dopo 40 anni passati a investigare sul programma ECHELON, Campbell si prende ora il tempo di ripercorrere la propria storia personale e come essa si è intrecciata inesorabilmente con l’indagine di una vita: tra i casi, inquietanti, citati dal giornalista, quello di una signora che parla al telefono della recita scolastica del figlio, una performance andata evidentemente male, definita “bombed”, che aveva spinto uno degli analisti di ECHELON a tenere sotto controllo le comunicazioni telefoniche della signora per un presunto rischio terroristico.

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Fonte: Punto Informatico

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