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Datagate – Snowden: “…devono ancora arrivare le rivelazioni più grandi”

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Snowden: il cuore oltre alla Rete

Intervento via satellite al TED di Vancouver: l’ex dipendente dell’intelligence parla dei doveri dell’essere cittadini americani e delle ingiustizie da combattere. E preannuncia che il meglio delle sue rivelazioni deve ancora arrivare

di Claudio Tamburrino

Edward Snowden è intervenuto al TED in collegamento via satellite: il suo volto, spauracchio dell’NSA e delle autorità statunitensi e britanniche, è apparso in un grande schermo sul palco dell’incontro di conferenze tenutosi a Vancouver direttamente dal suo nascondiglio segreto russo ed è stato intervistato da Chris Anderson.

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Snowden si è mostrato (seppur telematicamente) per dire che devono ancora arrivare le rivelazioni più grandi: avendo sottratto all’ex datore di lavoro circa 1,7 milioni di documenti, sono ancora molte le prove a carico delle azioni scorrette condotte dallo spionaggio a stelle e strisce.

A dimostrazione di questo le ultime rivelazioni sull’operato della National Security Agency: l’agenzia di spionaggio USA avrebbe costruito – a partire dal 2009 – un sistema di sorveglianza in grado di registrare il “100 per cento” delle telefonate di un paese straniero, con un sistema che le registra per un mese di tempo (sostituendole dunque a scadenza di questo periodo).

In generale, per quanto l’NSA qualcosa di buono lo faccia, secondo Snowden l’agenzia non starebbe usando le sue forze per fermare il terrorismo, che anzi spesso viene semplicemente utilizzato per toccare le corde emotive della società civile e coprire altri tipi di azioni.

Proprio per questo, Snowden dice di non essere né un eroe né una spia, ma solo un cittadino americano: con certi doveri in materia di libertà e giustizia. In quanto tale – inoltre – l’ex spia ha parlato della possibilità di tornare a casa, una prospettiva che vorrebbe abbracciare se gli fosse garantita l’immunità.

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Fonte: Punto Informatico

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Messaggistica privata di Facebook utilizzata a scopi pubblicitari

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Facebook, i messaggi privati che privati non sono

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Il social network è stato accusato di essere troppo vago nel dichiarare come gestisce i dati legati ai messaggi privati. Usati per tarare l’advertising e per gonfiare il marketing

di Claudio Tamburrino

Facebook è stata chiamata ad affrontare la giustizia, accusata di aver “utilizzato i contenuti delle comunicazioni degli utenti”, compresi i messaggi privati, per “raccogliere dati da sfruttare economicamente condividendoli con parti terze tra cui inserzionisti, produttori”.

A depositare l’accusa che cerca lo status di class action sono stati due suoi utenti che contestano, in particolare, l’utilizzo dell’aggettivo “privato” in relazione al sistema di messaggistica privato di Facebook ed alcune pratiche che evidenzierebbero evidente ingerenze nelle comunicazioni private.

Il tutto parte da una ricerca condotta nel 2012 dal Wall Street Journal sulla privacy online: in quell’occasione il social network era stato accusato di vendere dati ai pubblicitari in modo tale da permettergli di disseminare pubblicità mirata.

Un’accusa molto simile ha già investito Google: il suo servizio di posta elettronico Gmail è sul banco degli imputati perché attraverso di esso Mountain View scandaglierebbe le email dei suoi utenti. Per il caso di Google, d’altronde, non sembra sufficiente esplicitare questo tipo di utilizzo attraverso le condizioni d’uso fatte accettare agli utenti, né spiegare che la lettura delle email degli utenti avviene in modo automatico (e non attraverso interfacce umane, ma algoritmiche) e forse neanche il fatto che ciò avviene per meglio smistare la posta, tra commerciale, privata e spam.

Allo stesso modo, secondo la nuova accusa, a Facebook non basterebbe esplicitare, attraverso la sua nuova policy in materia di privacy rinnovata da ultimo ad agosto, l’utilizzo che si fa dei dati, oltretutto perché sarebbe ingannevole nel definire “privati” i messaggi scambiati tra gli utenti sulla sua piattaforma.

In particolare, la denuncia accusa Facebook di analizzare i link inviati tramite messaggi privati e considerarli come un “mi piace” se corrispondono a contenuti condivisi anche pubblicamente sulla sua piattaforma: di fatto trasformando così automaticamente una comunicazione privata in una forma pubblica di approvazione.

Secondo l’accusa, per ottenere questo risultato e per raccogliere ulteriori informazioni dai messaggi privati, il social network utilizzerebbe una combinazione di software e controllo umano: per tutte queste ragioni si chiedono più di cento dollari per ogni giorno di violazione, oppure 10mila dollari per partecipante alla class action, più danni pari a un minimo di 5mila dollari.

Facebook ha risposto definendo le accuse “senza merito” e promettendo battaglia.

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Fonte: Punto Informatico

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Attenzione! Un App può rilevare e registrare tutto del vostro smartphone o tablet

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MSPY: l’app per spiare smartphone e tablet. WhastApp, Viber e Facebook inclusi

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L’app, installata su iOS o Android, ne tiene traccia della posizione e memorizza le telefonate, i messaggi, le email e tutte le attività svolte dall’utente, incluse le chat di WhatsApp, Facebook e Viber.

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Concepita per controllare legalmente il cellulare dei propri figli o dei dipendenti dell’azienda, mSpy è un’applicazione che sicuramente farà venire i brividi a chi, giustamente, ama preservare la propria privacy ed i propri dati personali.

Tramite questa applicazione, installabile sia su dispositivi Android che iOS, i genitori, le aziende ed i malintenzionati, avranno la possibilità di accedere totalmente al dispositivo sul quale è installata. Sarà possibile controllare in remoto tutte le attività relative al telefono o al tablet, inclusi i messaggi istantanei con WhatsApp, Facebook e Viber, ed addirittura sarà possibile avere accesso alle foto ed i video memorizzati.

Si tratta indubbiamente di un’arma pericolosissima, che mette a rischio la privacy di tutte le persone sui cui dispositivi verrebbe installata l’applicazione. Per ovviare il problema, almeno in termini legali, l’azienda invita chi desidera sorvegliare qualcuno ad avvisare il sorvegliato, un controsenso considerando il fatto che più volte pubblicizza la totale intracciabilità ed invisibilità del software che, una volta installato, verrà eseguito in una modalità stealth, totalmente invisibile alla povera vittima.

La versione per Android di mSpy è compatibile con tutti i nuovi dispositivi disponibili in commercio come il Galaxy S4 e l’HTC One, ma per spiare le chat di applicazioni come Facebook, WhatsApp e Viber, è necessario che sui dispositivi venga effettuato il root. Fortunatamente anche per iOS la situazione è molto simile: per funzionare al 100% l’applicazione ha bisogno di un dispositivo sul quale è stato effettuato il jailbreak, procedura che attualmente è possibile solo sulle vecchie versioni di iOS 6 e non sul nuovo iOS7.

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Fonte: fanpage.it

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