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Cosa accadrà realmente se l’Occidente abbandonerà il gas russo?

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Cosa succede (davvero) in UE senza il gas russo

Abbassare il termostato di un grado? Le cose sul gas russo stanno, purtroppo, molto diversamente. Ecco le prospettive per il prossimo inverno.

9 aprile 2022

di Gianluca Riccio

La richiesta Russa ai paesi dell’Unione Europea di pagare il gas naturale in rubli piuttosto che in dollari o euro può preludere ad un taglio delle forniture. E l’ondata emotiva relativa alle atrocità militari oggetto di accuse e recriminazioni in Ucraina ha riacceso le richieste per un boicottaggio del gas russo, che le nazioni europee (non senza distinguo e contrasti) stanno cercando di attuare.

Con una straordinaria tempestività, appena una settimana dopo l’inizio del conflitto l’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) ha pubblicato un documento chiamato proprio “Come l’UE può ridurre significativamente le importazioni di gas naturale dalla Russia entro un anno”. Il piano in 10 punti include raccomandazioni per sostituire il gas russo (che costituisce quasi il 40% di tutto il gas naturale consumato in UE) con altre fonti di energia.

Ridurre il fabbisogno di gas russo entro un anno?

Primo punto del piano AIE: per ridurre il consumo, “accelerare la sostituzione delle caldaie a gas con pompe di calore”. Una richiesta che non ha mancato di attivare immediatamente un indotto: quello americano.

Il 9 marzo, appena 8 giorni dopo il piano AIE, l’organizzazione no-profit Rewiring America ha emesso un piano politico chiedendo ai produttori statunitensi di aiutare l’UE senza gas russo a espandere rapidamente lo spiegamento di pompe di calore. “Ci prenderemmo in giro se non assumessimo una visione della produzione in tempo di guerra”, dice Ari Mutasiak, CEO dell’organizzazione.

Quasi all’unisono, il Washington Post ha riferito che la Casa Bianca stava prendendo in seria considerazione questo suggerimento. Non c’è che dire: generosi e solerti.

C’è un difetto fondamentale con questo approccio, però.

L’AIE stima che l’uso esteso delle pompe di calore farebbe risparmiare solo 2 miliardi di metri cubi di gas naturale ogni anno. Appena l’1,3% di quello che il gas russo fornisce all’UE. Se crediamo nei miracoli, forse un massiccio aiuto USA ci porterà il doppio, magari il triplo della riduzione. Siamo molto al di sotto della quantità che possa fare la differenza per il prossimo inverno, quando i nodi verranno al pettine.

Questo spiega bene la demenziale domanda posta da Mario Draghi agli italiani nella conferenza stampa dell’altro giorno: quel “volete la pace o i condizionatori accesi”?

Ci sono davanti due ipotesi, che portano entrambe ad un mezzo disastro europeo. Nelle prossime settimane, o mesi, la Russia potrebbe dare seguito alle sue minacce di tagliare le forniture di gas naturale all’Europa. O, più probabilmente, i leader UE potrebbero accordarsi per un boicottaggio del gas russo.

Cosa succederebbe davvero senza gas russo?

Come potrebbero i funzionari dell’UE, gli ingegneri oi singoli proprietari di case prepararsi a un’eventualità del genere?

L’esperto Vaclav Smil, Professore Emerito presso la Facoltà di Ambiente dell’Università di Manitoba in Canada, sottolinea che ci sono enormi impedimenti strutturali nel sopperire a un embargo sul gas naturale russo.

Le nazioni europee stanno cercando energia come una persona in crisi respiratoria cerca aria. Vorrebbero cercare di generare quanta più elettricità possibile utilizzando combustibili alternativi. Le opzioni sul tavolo? Tante. Dall’ attrezzarsi per cambiare combustibile nelle caldaie centrali utilizzate per il teleriscaldamento (che riscalda un quarto delle case dell’UE) ad usare stufe elettriche portatili e non termosifoni.

La strategia principe anche secondo l’AIE, ad ogni modo, è quella di abbassare il termostato.

Non propriamente un piano infallibile

Il piano in 10 punti dell’AIE prevede una riduzione delle temperature di 1° C. Un mantra poi ripetuto a cascata dai politici nazionali e da tanti VIP che aderiscono aprioristicamente alle semplificazioni mediatiche.

Le cose, purtroppo, stanno molto diversamente.

L’UE nel suo insieme potrebbe in teoria risparmiare energia sufficiente per sostituire tutto il gas russo importato solo se le persone riducessero la temperatura interna delle case in modo più drastico. Quanto drastico? Molto drastico. Parlo di qualcosa come 8° o 9° C, che sarebbe la quantità necessaria (lo dice la stessa stima dell’AIE) a risparmiare 10 miliardi di metri cubi di gas. Questa prescrizione sorvola sulle differenze nella dipendenza da gas russo tra i paesi dell’UE (e l’Italia, ad esempio, è messa malissimo), ma vi dà un’idea di quanto sarebbero drastiche le necessarie riduzioni di temperatura.

Si può fare?

No. Abbassare il riscaldamento di così tanto sarebbe, mettiamola così, molto difficile. L’AIE indica che le temperature interne medie nell’UE sono di appena 13° o 14° C (da 55° a 57° F).

Certo, la maggior parte delle persone potrebbe gestire “tecnicamente” questa difficoltà in piccoli spazi e con dispositivi elettrici. Riscaldatori da ambiente. Ho detto “tecnicamente”, non “economicamente”, però. E non parlo di negozi o spazi più grandi, questo sarebbe un altro discorso. Però “tecnicamente” si.

Ora, assodato che senza gas russo la stufetta elettrica sarà l’oggetto di culto del prossimo inverno, la domanda è: potremmo produrre abbastanza stufe da qui al prossimo inverno? Assisteremo ad uno sforzo produttivo simile a quello per ottenere più ventilatori ad inizio pandemia. D’altra parte, a occhio e croce (stima Smil) servono 10 milioni di riscaldatori d’ambiente. Un obiettivo alla nostra portata, perfino producendone quanti servono e aggiungendone altri in extremis, se necessario.

Sarebbe una soluzione drammatica, ma almeno “europea”, se pensate che in Germania ci sarebbe la Siemens in prima linea (è già la più grande azienda di produzione industriale).

In altri termini

Rewiring America e i vari responsabili delle politiche energetiche UE passano il tempo a persuadere i cittadini che dipenda tutto dai loro comportamenti. O esibiscono entusiasmo e generosità (interessati) per le pompe di calore, per le quali servirebbero anni.

La verità è che l’opzione più realistica per il prossimo inverno e per i 450 milioni di europei costretti dall’assurdità della guerra a fronteggiare il freddo: stufa elettrica, e anche a bassa temperatura.

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Fonte: Futuro Prossimo

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Covid19 | Tutti hanno diritto alla protezione. Nessun profitto sulla pandemia. Firma l’iniziativa!

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1 — Salute per tutti

Abbiamo tutti diritto alla salute. In una pandemia, la ricerca e le tecnologie dovrebbero essere condivise ampiamente, velocemente, in tutto il mondo. Un’azienda privata non dovrebbe avere il potere di decidere chi ha accesso a cure o vaccini e a quale prezzo. I brevetti forniscono ad una singola azienda il controllo monopolistico sui prodotti farmaceutici essenziali. Questo limita la loro disponibilità e aumenta il loro costo per chi ne ha bisogno.

2 — Trasparenza ora!

I dati sui costi di produzione, i contributi pubblici, l’efficacia e la sicurezza dei vaccini e dei farmaci dovrebbero essere pubblici. I contratti tra autorità pubbliche e aziende farmaceutiche devono essere resi pubblici.

3 — Denaro pubblico, controllo pubblico

I contribuenti hanno pagato per la ricerca e lo sviluppo di vaccini e trattamenti. Ciò che è stato pagato dal popolo dovrebbe rimanere nelle mani delle persone. Non possiamo permettere alle grandi aziende farmaceutiche di privatizzare tecnologie sanitarie fondamentali che sono state sviluppate con risorse pubbliche.

4 — Nessun profitto sulla pandemia

Le grandi aziende farmaceutiche non dovrebbero trarre profitto da questa pandemia a scapito della salute delle persone. Una minaccia collettiva richiede solidarietà, non profitti privati. L’erogazione di fondi pubblici per la ricerca dovrebbe sempre essere accompagnata da garanzie sulla disponibilità e su prezzi controllati ed economici. Non deve essere consentito a Big Pharma di depredare i sistemi di assistenza sociale.

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FIRMA L’INIZIATIVA

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Fonte: noprofitonpandemic.eu

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Unione Europea: come impedire ai migranti di raggiungere l’Europa

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L’UE: “Rinviamo i migranti in Libia”

di Carlo Lania

Una doppia “linea di protezione” per impedire ai migranti di raggiungere l’Europa. La prima, in acque territoriali libiche, sarà messa in atto dalla guardia costiera di Tripoli e avrà il compito di fermare alla partenza i barconi carichi di disperati, mentre in acque internazionali opereranno le navi della missione europea. La seconda sarà invece a terra, lungo la linea di confine che separa la Libia dal Niger e servirà a fermare quanti fuggono da guerre e miseria prima che riescano ad entrare nel paese nordafricano. Obiettivo che Bruxelles conta di raggiungere anche grazie a una maggiore collaborazione..con..Mali,..Ciad..ed..Egitto.
L’Europa ha fretta e Malta, a cui spetta la presidenza di turno, accelera al massimo per trovare una soluzione che metta la parola fine alla crisi dei migranti. Anche perché, sottolineano a Bruxelles – ma anche a Roma e La Valletta – la primavera si avvicina e con essa un prevedibile e forte aumento degli sbarchi.
Brexit a parte, immigrazione e sicurezza sono due punti sui quali il premier laburista di Malta Jospeh Muscat ha detto fin da subito di voler puntare. “Ci sarà una nuova crisi di migranti nei prossimi mesi e i numeri potrebbero essere peggiori del 2016”, ha spiegato pochi giorni fa al termine di un vertice con il presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker. Oggi proprio Juncker, insieme al commissario Ue all’Immigrazione Dimitri Avramopoulos e all’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue Federica Mogherini, annuncerà a Bruxelles un nuovo pacchetto di misure mirate ad arginare i flussi di migranti attraverso il Mediterraneo e che verranno discusse al prossimo vertice di Malta del 3 febbraio. Già da qualche giorno, però, circola un documento informale messo a punto dalla presidenza maltese in cui si chiede agli stati membri di cominciare a ragionare sulla “creazione di una linea di protezione” volta a fermare i migranti “molto più vicina ai porti di origine, nelle acque territoriali libiche”. Questa linea, prosegue il documento, si farebbe “con le forze libiche come operatori di prima linea ma con un sostegno europeo forte e duraturo”.
A questa conclusione Malta sarebbe giunta vista l’impossibilità di poter contare sulla collaborazione attiva del governo del premier al Serraj, considerato troppo instabile. Compito degli europei, prosegue il documento, sarebbe quello di garantire che i migranti intercettati dai libici siano “sbarcati” in Libia “in condizioni adeguate”, cosa che dovrebbe essere garantita dalla presenza di organizzazioni..come..l’Oim..e..l’Unhcr.
Cardine di tutta l’operazione sarebbe la futura Guardia costiera libica il cui addestramento, compiuto dalla missione europea Sophia, è ormai quasi giunto al termine. Sembra chiaro che, seppure camuffati da operazioni di salvataggio, quelli che Bruxelles si preparerebbe a mettere in pratica sono di fatto respingimenti in mare. Respingimenti già condannati in passato dalla Corte di Strasburgo, ma che questa volta non potranno essere definiti così perché compiuti dalle autorità libiche.

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Fonte: Il Manifesto

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Da: Ristretti Orizzonti

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