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Palestina: chi demolisce una scuola, demolisce il futuro

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Kahn al-Ahmar è un minuscolo villaggio beduino situato a est di Gerusalemme. Per Israele questa comunità è illegale ed è presente solo su alcune mappe, quelle militari, funzionali a cancellarne l’esitenza. Su quelle ufficiali semplicemente non esiste.

 

di Paola Robino Rizet*

Kahn al-Ahmar è un piccolissimo villaggio beduino situato a Est di Gerusalemme, i suoi abitanti appartengono alla comunità Jahalin, una delle cinque grandi famiglie che compongono la galassia beduina dei Territori Palestinesi Occupati.

Costituiscono la popolazione più vulnerabile della Cisgiordania. Tecnicamente sono profughi interni.

A partire dall’48, ma più diffusamente nell‘53, furono cacciati dalle loro terre dall’Unità 101 – creata  segretamente dal comando militare israeliano – appositamente per spingere le popolazioni beduine fuori delle proprie sedi tradizionali nel deserto del Naqab.

Alla guida del gruppo venne posto un giovanissimo Ariel Sharon, agli albori di una carriera militare che si rivelerà folgorante e foriera di sentimenti contrastanti anche all’interno dello stesso esercito israeliano, in particolare, per il carattere preventivo dei suoi attacchi che, a detta di alcuni, inasprirono un conflitto ancora giovane e forse con qualche speranza di risoluzione.

Le strutture che costituiscono il villaggio sono tende e fabbricati di lamiera posti su un terreno aspro, roccioso ed impervio, che preannuncia la vicina depressione del Mar Morto.

Niente elettricità, acqua e fognature, e le responsabilità di Israele – in qualità di potenza occupante – restano lettera morta.

Le sorgenti d’acqua presenti sul territorio, sono state requisite dall’esercito, spogliando i beduini delle riserve naturali a cui attingevano per i propri bisogni.

Khan al-Ahmar in base agli accordi di Oslo, è situato nell’area C, e fa parte quindi di quel 62% della Palestina soggetto al controllo dell’amministrazione civile e militare israeliana, per un periodo che nel 1995 venne definito ‘temporaneo’ e che prevedeva un graduale trasferimento delle responsabilità   dall’Ica all’Anp, in realtà mai avvenuto.

Il paesaggio circostante è uguale alle tante prospettive che si offrono allo sguardo di chi si sposta nell’area C: colonie illegali sui crinali delle colline, caseggiati uniformi e monotoni, se non fosse per le due torri che veleggiano e che sono il segno distintivo della più grande colonia presente nella zona, la Maale Adumim, una vera e propria città.

Poco distante, la più modesta Kfar Adumim e gli stabilimenti industriali di Mishor Adumim, sorti nei primi anni ’70 e funzionali a giustificare poi la vocazione residenziale delle oltre 450 colonie illegali presenti oggi in Cisgiordania.

Per Israele questa piccola comunità è illegale ed è presente solo su alcune mappe, quelle militari,  funzionali a cancellarne (vedi il recente piano Prawer) l’esitenza; su quelle ufficiali Khan al-Ahmar semplicemente non esiste.

Qui da tre anni è in funzione una scuola costruita da Vento di Terra. Una struttura eco-compatibile realizzata con il fango e più 2000 pneumatici riciclati.

La struttura è priva di fondamenta, perché Israele vieta qualsiasi tipo di costruzione permanente nell’area C. 

Il team di Arcò (architettura e cooperazione) ha quindi studiato un sistema di coibentazione per l’edificio scolastico, recuperando le tecniche costruttive tradizionali della regione.

In primavera e in estate il clima è particolarmente afoso e le temperature possono superare i 45 gradi, ed è difficile per i 100 bambini che frequentano la scuola riuscire a conservare la concentrazione per cinque ora di fila.

Ma queste aule sono particolarmente aereeggiate e fresche, e sin dalle prime ore del mattino sono popolate da un nugolo di scolari colorati e sorridenti. La scuola oggi assicura l’educazione primaria dei minori della comunità di Khan al-Ahmar e di alcune località limitrofe.

Fino a pochi anni fa i bambini in età scolare dovevano percorrere a piedi chilometri e chilometri per raggiungere la scuola più vicina, il tragitto prevedeva l’attraversamento della strada statale E1, un’arteria a scorrimento veloce sulla quale furono travolti e uccisi 3 ragazzini in tre diversi incidenti.

Nel maggio del 2009, l’edificio venne ultimato e nel settembre dello stesso anno entrò a pieno titolo nel sistema scolastico del ministero dell’Educazione dell’Autorità palestinese, giusto in tempo per l’inizio del nuovo anno didattico.

Fin qui tutto rientra  nella ‘normale’ cronaca della progressiva colonizzazione di un paese che vive sotto occupazione militare.

Niente di nuovo, niente a cui l’opinione pubblica e la classe politica dell’Occidente non siano già abbondantemente assuefatte.

Ma in realtà da più di due anni la scuola di gomme è sotto ordine di demolizione spiccato dall’esercito israeliano.

L’ingiunzione è stata successivamente congelata, provocando la reazione indignata dei coloni. Così l’anno successivo si sono costituiti in gruppo e, sostenendo di sentirsi minacciati dalla scuola, hanno deciso di presentare una petizione nella quale veniva chiesto perentoriamente di procedere all’ordine di demolizione.

Finora sono stati proprio i coloni a minacciare la scuola e la comunità: nel 2009 sono addirittura entrati nell’edificio, rompendo porte, finestre e recinzioni.

Poi nel gennaio del 2012, l’Amministrazione civile israeliana ha disposto che l’unico accesso alla scuola e al villaggio di Khan al-Ahmar, quello sulla strada statale Gerusalemme – Gerico, sarebbe stato interrotto.

Blocchi di cemento e guardrail hanno definitivamente isolato la comunità dal resto del territorio,  infliggendo alla comunità una vita quotidiana di giorno in giorno sempre più equiparabile ad una vera e propria segregazione.  

Attualmente il villaggio è raggiungibile solo percorrendo un sentiero sterrato e sconnesso. Per un tratto si è costretti ad attraversare un avvallamento che in inverno è il letto di un fiumiciattolo originato dalle piogge di stagione. La mulattiera è transitabile solo con le jeep o a dorso d’asino.

E’ di questi ultimi giorni la notizia che a breve la scuola sarà definitivamente trasferita.

Lo scorso 19 aprile, l’ordine di demolizione pendente si è infatti trasformato in un ordine di trasferimento.

Secondo fonti ufficiali nelle prossime settimane le autorità competenti dovranno identificare la zona adatta dove collocare la scuola. Tra le principali accuse mosse dai coloni, e reiterate dal ministero della Difesa israeliano, c’è l’attribuzione di colpa per costruzione illegale.

Sino ad ora l’attenzione della comunità internazionale nei confronti della scuola ha permesso che l’ordine di demolizione venisse ripetutamente congelato.

Così questa piccola scuola è diventata qualcosa di più di un modello di buone pratiche di cooperazione: attraverso di essa  è stato possibile raccontare la storia di un popolo ai margini.

Un popolo  sempre più minacciato non solo dall’espropriazione delle terre, unica unità di misura di Israele, ma dalla stessa Autorità palestinese che poco e niente ha fatto in sua difesa, considerando le comunità beduine una componente secondaria della sua popolazione. 

Attraverso le sue vicissitudini si è invece aperto uno spiraglio sui trasferimenti e le demolizioni che come un fiume sotterraneo si perpetuano ogni giorno nell’area C, a cui fa da sfondo il silenzio assordante dell’Autorità palestinese sempre più spesso accusata di connivenza con le autorità israeliane e del Quartetto.

La posta in gioco è il diritto all’istruzione dei minori delle comunità beduine.  

Sono 26, secondo l’Unicef, le scuole su cui pende un ordine di demolizione, tutte situate nell’area C, tutte considerate illegali.

I dati dell’OCHA sono allarmanti e fotografano un andamento in continua crescita: nel 2011 sono state attuate 560 demolizioni, 265 nei primi quattro mesi del 2012. 

Va sottolineato infine che le 20 comunità beduine presenti nell’area C sono composte per più di due terzi da bambini.

Per approfondimenti: http://www.ventoditerra.org/demolisce-il-futuro/

* Responsabile Palestina – Un ponte per…

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Fonte: OsservatorioIraq


La Scuola e i Valori della Pace

L’umanità dovrebbe imparare a non contemplare la guerra nella sua visione del mondo e della vita, compiendo lo sforzo intellettuale di evitare le guerre e di disegnare un mondo senza conflitti armati e soprattutto ritrovare quello che è rimasto di umano in ciascuno di noi, per trasformare l’utopia di un mondo senza conflitti e senza schiavitù, in progetti di cultura e di civiltà, opponendo la vita alla violenza di massa, alla discriminazione, alla disuguaglianza dei diritti, dove l’abolizione del conflitto armato è un cammino da percorrere individualmente e collettivamente.

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di Laura Tussi

La scuola, così come altri luoghi dell’educazione, è uno spazio interattivo che coinvolge nello stare insieme e nel trovare occasioni comuni di progetti, giochi, azioni, in un comportamento reciproco tra gli allievi che arrivano da lontano, con stili cognitivi propri, linguaggi diversi, forme culturali già interiorizzate, di cui gli educatori devono riconoscere il valore, il peso, la rilevanza.

Una pedagogia dello scambio prevede interazioni, intrecci di saperi e culture, nell’organizzazione del sistema educativo che non deve restare rigido su posizioni di prevaricazione, ma dovrebbe consentire spazi e tempi adeguati alle esigenze di ciascuno, strutturandosi in modo duttile e relazionale, collegandosi in modo positivo con il territorio, organizzando le differenze di abitudini, di cibo, di cultura orale, di scrittura e lingua.

Gli operatori scolastici hanno il compito di osservare la complessità che si origina dagli incroci delle differenze, attraverso un lavoro paziente e metodico che trova le sue radici nel dialogo e nell’interpretazione, in percorsi didattici per ricercare modi, spazi e tempi di coesistenza, nei quali la consapevolezza di sé, delle proprie origini, della propria cultura, riesca a coniugarsi con il rispetto dell’altro.

Il sistema scolastico deve favorire al suo interno relazioni complementari tra gli allievi che appartengono a culture differenti, stabilendo relazioni verso l’esterno, senza prevaricazione, con rispetto reciproco, evitando processi di ghettizzazione interni ed esterni, nella disponibilità al dialogo e al cambiamento, con la convinzione che l’apertura può limitare l’insorgere di conflitti ed è necessaria al rafforzamento delle identità reciproche, al mantenimento e alla sopravvivenza della propria cultura.

La storia dell’umanità è costituita di fusioni etniche e ibridazioni dialogiche di gruppi diversi, dove qualunque cultura non ha mai una sola origine, ma è narrazione storica di culture altre, lingue e saperi che si incontrano e continuano ad intrecciarsi, fondendosi e confondendosi gli uni negli altri, nel valore delle mescolanze, degli incontri, degli incroci che si originano dal movimento di donne e uomini, di culture, nel flusso continuo e inarrestabile di genti, idee e progetti.

Gli spostamenti dei popoli e le migrazioni di massa sono state necessità economiche di ogni epoca, perché sempre sono esistite popolazioni che hanno cambiato territorio, mutuato abitudini, scambiato strutture sociali, incrociato culture, meticciato economie, trasformandosi a vicenda. (leggi tutto)

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Fonte: Peacelink

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I consumatori critici scrivono a Nestlé

Questa lettera aperta, redatta a partire dall’articolo “La fame secondo Nestlé”, pubblicato sul numero di settembre di Altreconomia, è stata inviata ai 12 Provveditorati allo studio delle Province della Lombardia, a 190 dirigenti scolastici e agli assessori all’istruzione e cultura di Milano e della Province lombarde dalle organizzazioni firmatarie, che sono in calde.

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Ai Provveditori agli Studi delle Province della Lombardia, agli assessori all’istruzione e cultura  di Milano e delle Province lombarde

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in un articolo del numero di settembre di Altreconomia leggiamo che la Nestlé, complice l’Expo, si propone ai bambini delle scuole come “maestra” di educazione alimentare, e agli studenti di alcune università detta i contenuti delle ricerche che devono fare e dell’impostazione da dare (con buona pace della libertà di ricerca). E’ infatti sponsorizzato dalla Nestlé l’opuscolo “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, distribuito dalla società Expo 2015 a 180mila bambini della scuola primaria della Lombardia, e sempre Nestlé, insieme ad altre multinazionali quali Unilever, Heineken, Citterio ecc., parteciperà alla formazione e all’indirizzo delle ricerche degli studenti di Scienza dell’alimentazione dell’università campus biomedico di Roma.

Come probabilmente sapete, la Nestlé è oggetto da oltre 30 anni di una campagna di boicottaggio internazionale, e i motivi non mancano. Eccone una sintesi.

DIRITTI DEI CONSUMATORI

° L’accusa principale rivolta a questa multinazionale è sempre stata quella della promozione commerciale scorretta del latte in polvere per neonati e bambini, violando (come peraltro diverse altre imprese del settore) il Codice Oms sulla Commercializzazione dei Sostituti del Latte Materno. Questi comportamenti commerciali che scoraggiano l’allattamento al seno, contribuiscono ogni anno, secondo l’Unicef, l’Oms e le più prestigiose riviste mediche internazionali, alla morte di circa un milione di bambini sotto i 5 anni nel mondo, principalmente a causa di gastroenteriti, polmoniti e malnutrizione. Sono numerosi, negli ultimi 30 anni, i tentativi della Nestlè e di altre multinazionali del settore di impedire a governi di vari paesi (Pakistan, Zimbabwe, Sudafrica, Filippine) di adottare ed applicare leggi nazionali sulla falsariga del Codice Internazionale Oms, con pressioni e ritorsioni di vario tipo. Le continue violazioni del Codice Internazionale da parte di Nestlè sono documentate ogni 3-4 anni dalla rete IBFAN (International Baby Food Action Network) nella pubblicazione “Breaking the Rules”.

° Dopo una prima multa nel 2001, nell’ottobre 2005 Nestlé Italia, insieme a Heinz Plasmon, Nutricia, Milupa, Humana e Milte è stata multata dall’antitrust per complessivi 9,7 milioni di euro per aver costituito un “cartello” finalizzato a mantenere  in Italia i prezzi del latte per neonati più alti (tra il doppio e più del quadruplo) degli altri paesi europei. I prezzi del latte in polvere continuano ad essere in Italia più alti che nei paesi vicini. La Nestlè e le altre ditte continuano a fornire agli ospedali latte per neonati gratis o a prezzi fortemente ribassati per mantenere le loro quote di mercato a danno di altre ditte, ma soprattutto dell’allattamento al seno. Le continue violazioni del Codice Internazionale in Italia sono documentate dalle pubblicazioni di Ibfan Italia “Il Codice Violato”, l’ultima delle quali risale al 2008.
(leggi tutto)

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Fonte:  Altraeconomia

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