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Tibet: ancora una settimana di fuoco e di morte. Sei immolazioni in due giorni. Migliaia di tibetani protestano a Rebkong

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Dharamsala, 8 novembre 2012.Non cessa l’ondata di auto immolazioni che in un vertiginoso crescendo stanno infiammando il Tibet. Appena pubblicata la notizia delle quattro immolazioni di ieri, 7 novembre (Tamdin Tso e i tre giovanissimi monaci del monastero di Ngoshul), è giunta in serata la conferma di un nuovo caso, il quinto nella stessa giornata, verificatosi a Bekhar, nella contea di Driru, nel Tibet centrale. E ancora, oggi, un altro tibetano si è dato la morte con il fuoco: Kalsang Jinpa, un ragazzo nomade di 18 anni. Sei nuovi eroi in soli due giorni portano a 69 il numero dei casi di auto immolazione all’interno del Tibet. E purtroppo nulla fa sperare che questi eroici atti di resistenza possano cessare.

Non si conosce il nome e l’età del tibetano che si è immolato ieri sera a Bekhar. Citando contatti all’interno del Tibet, un monaco residente nell’India del sud ha dichiarato di essere venuto a conoscenza del nuovo caso attorno alle 20.00 (ora dell’India), proprio mentre era al telefono con un connazionale in Tibet. “Travolti dalla commozione i tibetani gridavano mentre le forze di polizia arrivavano immediatamente sul posto”.

Kalsang Jinpa, un ragazzo nomade di soli 18 anni, ex monaco del monastero di Rongwo, si è dato fuoco nel pomeriggio di oggi, attorno alle 16 (ora locale), in piazza Dolma, di fronte al monastero di Rongwo, a Rebkong. Prima di portare a compimento il suo atto estremo, ha alzato un cartello in cui erano scritte le sue richieste: il ritorno del Dalai Lama e il rispetto dei diritti dei tibetani. E’ deceduto sul luogo della protesta. I monaci del monastero di Rongwo lo hanno avvolto nelle khata, le sciarpe segno di omaggio e rispetto, e deposto sotto una grande fotografia del Dalai Lama (nella foto).

Riferisce il sito tibetano Phayul che migliaia di tibetani, 6000 o addirittura 10.000, si sono radunati a piazza Dolma, chiedendo il ritorno del Dalai Lama e pregando per la sua lunga vita. Altri tibetani, portando ritratti del Dalai Lama, sono arrivati dai villaggi vicini. Sembra che, nella vicina città di Dowa, di cui erano originari sia Tamdin Tso sia Kalsang Jinpa, giovanissimi studenti abbiano ammainato la bandiera cinese dagli uffici governativi e dalle scuole ed issato al suo posto la bandiera tibetana. In marcia verso Rongwo, gridavano slogan contro il governo cinese. Oggi, in tutta l’area, la situazione era estremamente tesa. La contea di Rebkong è presidiata da personale paramilitare con l’ordine di impedire alla popolazione di Dowa di raggiungere la folla dei dimostranti a Rongwo. La televisione ha annunciato che chiunque minacci la stabilità della regione sarà severamente punito.


Fonti: Free Tibet – Phayul –  (Associazione Italia-Tibet)

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‘Uccideteci tutti, e poi seppelliteci qui’: appello disperato dei Guarani sotto sfratto

Per procurarsi il cibo, i Guarani sono costretti a compiere un pericoloso attraversamento del fiume, sorretti solo da un cavo sottile.
© MPF/Survival

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Dopo aver saputo che saranno sfrattati ancora una volta, un gruppo di Indiani brasiliani ha lanciato un drammatico appello al governo.

Da quando sono riusciti a ritornare in una piccola parte della terra ancestrale, questi 170 Indiani, membri della forte tribù dei Guarani (che in Brasile conta circa 46.000 persone) hanno già subito violenze, morte e numerosi attacchi brutali. La loro terra, conosciuta con il nome di Pyelito Kuê/M’barakai, è attualmente occupata da un ranch. La comunità indiana è circondata dalle guardie armate dell’allevatore, con limitata possibilità di procurarsi cibo e cure mediche.

Il loro sfratto è stato ordinato da un giudice il mese scorso. “Questa sentenza è parte dello sterminio storico dei popoli indigeni del Brasile” hanno scritto i Guarani in una lettera. “Abbiamo perso la speranza di poter sopravvivere nella nostra terra ancestrale con dignità, e senza subire violenze. Presto saremo tutti morti.”

“Vogliamo morire ed essere sepolti qui, insieme ai nostri antenati. Chiediamo pertanto al governo e al sistema giudiziario di non ordinare il nostro sfratto, bensì la nostra morte collettiva, e poi di seppellirci qui. Noi chiediamo, una volta per tutte, che sia ordinato il nostro massacro e che le ruspe scavino una grande fossa per i nostri corpi.”

“Abbiamo deciso, tutti insieme, che non ci muoveremo più di qui, non importa se vivi o morti.”

Da quando la comunità ha rioccupato la sua terra, sono già morti quattro Guarani: due per suicidio e due a causa degli attacchi dei sicari.

Il FUNAI, responsabile della mappatura e della demarcazione della terra dei Guarani, ha dichiarato che sta cercando di far sospendere l’ordine di sfratto.

Gli enormi ritardi del programma di demarcazione costringono migliaia di Guarani a vivere da anni in riserve sovraffollate o accampati ai margini delle strade con scarse risorse di cibo, acqua pulita e cure mediche. Soffrono uno dei tassi di suicidio più alti al mondo; secondo una recente statistica governativa, negli ultimi dieci anni si è verificato mediamente un suicidio a settimana.

“I suicidi dei Guarani si stanno verificando e intensificando a causa del ritardo nell’identificazione e nella demarcazione della nostra terra ancestrale” ha denunciato l’antropologo guarani Tonico Benites.

Survival chiede che i Guarani possano restare nella loro terra e che tutti i territori guarani siano demarcati con la massima urgenza, prima di perdere altre vite.

“L’estinzione dei popoli indigeni del Brasile è un’onta nella storia del paese, ed è vergognoso che le stesse crudeltà e gli stessi abusi commessi in epoca coloniale siano avvallati dal sistema giuridico brasiliano contemporaneo. La straziante richiesta dei Guarani di Pyelito non avrebbe potuto essere più esplicita: la vita senza la terra ancestrale è così piena di miseria e sofferenza che non merita di essere vissuta. Il Brasile deve agire prima che un altro dei suoi popoli sia distrutto per sempre.”

Nota ai redattori:

Per ulteriori informazioni sugli effetti che la perdita della terra può avere sui popoli indigeni, vedi il dossier di Survival Il progresso può uccidere.

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Aiuta i Guarani del Brasile

Il tuo sostegno è vitale per la sopravvivenza dei Guarani. Ecco cosa puoi fare:

Scrivi al governo brasiliano
utilizzando la lettera-modello di Survival

Sostieni la campagna di Survival per i Guarani. Ogni euro raccolto aiuterà i Guarani a difendere i loro diritti umani, a riconquistare le terre ancestrali, a difendere le loro vite, a ripristinare i loro orti. Nessun importo sarà mai troppo piccolo.

Scrivi all’ambasciata brasiliana in Italia

Per altre forme di collaborazione, contatta Survival

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Fonte: Survival

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14 novembre – l’Europa in piazza contro il massacro sociale

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di Giorgio Cremaschi

E così tra il fumo dei lacrimogeni e delle bombe carta il parlamento greco ha approvato la nuova quota di tagli sociali, imposta dagli usurai della troika europea per concedere un po’ di crediti.

Con questa nuova rata l’insieme dei tagli alla spesa pubblica imposta da tutti, ripeto tutti, i governi della Unione Europea ammonta al 40% del pil greco. Come se da noi l’insieme delle manovre decise dai governi Berlusconi e Monti avesse tagliato oltre 600 miliardi di euro. Finora siamo ad un quarto di tale cifra e già le province annunciano che spegneranno il riscaldamento nelle scuole.

Immaginiamo dunque quale sia la condizione materiale del popolo greco, anche se facciamo fatica solo a concepirla perché quel paese, per restare nell’Europa dell’austerità, delle banche e dell’euro, sta uscendo dall’Europa dei diritti sociali e precipita in quella che una volta veniva chiamata la condizione del terzo mondo.

Quanti anziani, quanti bambini, quante donne, quanti poveri vedranno degradare le loro condizioni di vita fino a mettere a rischio la vita stessa, per la cancellazione di quel sistema di protezione che – dalla scuola, alla sanità, alle pensioni, ai contratti, alle tutele contro i licenziamenti – ha fatto faticosamente uscire dal medio evo questo nostro piccolo continente? Fu la vittoria contro il fascismo a costruire in Europa lo stato sociale e sono la destra liberista e la sinistra inutile e smemorata a demolirlo.

Da noi il regime dell’informazione tira un sospiro di sollievo bipartizan perché il parlamento greco ha messo sul lastrico altri milioni di persone: qui da noi tutto questo non è neanche degno di discussione, da noi si litiga su legge elettorale e primarie.

Già, le primarie del centrosinistra ove tutti i candidati sono impegnati a rispettare il fiscal compact e quei trattati europei grazie ai quali la Grecia viene distrutta, primarie ove si chiede a chi va votare di vigilare perché quei candidati mantengano quegli impegni.

Non so in quale percentuale, ma la responsabilità del massacro greco – attribuito quanto spetta al governo di quel paese, a Draghi, a Merkel e a Hollande – tocca anche a Monti, a Berlusconi, a Bersani e a chi accetta i vincoli europei.

Il popolo greco subisce danni e vittime paragonabili a quelli di una guerra e questo è un crimine e chi lo compie è un criminale.

Si può essere criminali perché si fa consapevolmente del male, oppure perché non ci si oppone a esso per opportunismo, paura, ignoranza. Ma resta il fatto che i crimini ci sono e i criminali sono tra noi.

Il 14 novembre ci sarà una prima giornata di lotta europea. È un appuntamento importante, giustamente fatto proprio dagli indignados spagnoli e dal No Monti Day, nonostante che la piattaforma ufficiale della confederazione sindacale europea sia totalmente subalterna alla criminalità economica. Noi andremo in piazza contro tutte le complicità verso il massacro della Grecia e di tutta l’Europa.

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Fonte: Micromega

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