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Elezioni presidenziali USA: un appello di Michael Moore ai compatrioti

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di Michael Moore

“Presidente Romney” – Come evitare che queste due parole siano mai pronunciate

Tra due settimane noi statunitensi ci recheremo ancora una volta alle urne per decidere chi sarà il presidente per i prossimi quattro anni. Non ci sarà consentito di votare su chi detiene il potere vero in questo paese. Il 6 novembre non voteremo il presidente della ExxonMobil o della JPMorgan Chase o della Citibank o il presidente della Cina. Ci arriveremo, ma non quest’anno.

Ora, io so che c’è un bel numero di voi, là fuori, che ritiene che non ci sia la benché minima probabilità che Barack Obama non sia rieletto alla Casa Bianca. E perché dovreste pensarla diversamente? Dopo l’incredibile congresso Democratico questa settimana, con il meglio dei discorsi del tipo ‘pestali e falli a pezzi’ che io abbia mai ascoltato da una bocca democratica da quando … da quando…  non mi ricordo da quando. Non si può fare a meno di avere dei contatti in alto se, dopo la settimana scorsa, si è quel tipo di persone che credono nella giustizia economica, nella pace e in un caffelatte da cinque dollari. Proprio ora, con il telefono che squilla, siete lì seduti a pensare che i vostri concittadini statunitensi si presenteranno in gran numero, o perché voglio proseguire l’era Obama o perché se la fanno addosso dalla fifa per i barbari alle porte, o per entrambe le cose. Siete convinti che i Repubblicani si siano fumati il cervello con tutti quei loro discorsi sulle parti del corpo femminile che voglio controllare anche se ora noi sappiamo che non hanno  idea di dove si trovino quelle parti, cosa siano o come funzionino.

Sì, pare certamente che gli elettori rifiuteranno questo tizio oscenamente ricco di nome Romney – Romney del Michigan/Massachusetts/New Hampshire/Utah/Zurigo/Grand Cayman – che non vuole spiegare esattamente da dove gli viene tutta questa ricchezza, dove la tiene, o quante tasse ci paga sopra. Lui vuole riportare indietro l’orologio agli anni ’50 – gli anni ’50 del 1800 – e si rifiuta di presentare un qualche piano specifico a proposito di quello che farà riguardo a una qualsiasi cosa. Lui vuole gestire il paese come un’impresa ma non è neppure in grado di controllare un attore ottantaduenne sul suo stesso palco congressuale, una leggenda di Hollywood che, nel giro di dieci minuti e mezzo, è passato dal Buono (l’ingresso sul palco) al Brutto (il parlare a una sedia) e al Cattivo (la sedia ha cominciato a … bestemmiare?). E’ stato meglio del miglior video su YouTube del gatto che tira l’acqua del water ed è stato un dono a tutti noi che sappiamo che Romney sarà condannato il prossimo novembre.

O no?

La settimana scorsa ho detto nel programma web HuffPost Live che faremmo tutti meglio a far pratica del pronunciare l’espressione “Presidente Romney” perché, vivendo in Michigan, posso dirvi che ci sono problemi qui, nelle due penisole, e non soltanto perché Romney è nato da queste parti o perché vorremmo vedere i nostri ragazzi di Cranbrook dare la caccia ai ragazzi gay e raparli a zero. Un sondaggio recente qui ha mostrato che Romney è in testa a Obama di quattro punti! Come può essere? Obama non ha salvato Detroit?

No, non l’ha salvata. Ha salvato la General Motors e la Chrysler. “Detroit” (e Flint e Pontiac e Saginaw) non sono state definite dalle imprese globali che succhiano le nostre città lasciandole a secco e poi se ne fuggono a far soldi altrove (eccetto, ovviamente, che continuano a progettare e fabbricare auto di merda, cosicché alla fine non fanno soldi per niente). Queste città del Michigan sono le persone che ci vivono e nel processo di “salvare Detroit” il signor Obama ha dovuto licenziare migliaia di queste persone e ridurre le indennità e le pensioni di quelle che sono state abbandonate. Ci sono un mucchio di licenziati in Michigan (e nel Wisconsin e in Ohio).  Persone che non sono state salvate anche se sono state salvate le imprese. Sto semplicemente affermando un fatto, e quelli di voi che non vivono qui dovrebbero conoscerlo.

L’altro problema che affrontiamo in queste elezioni (avviso importante: i bianchi arrabbiati possono voler interrompere la lettura qui) … è la razza. Temiamo tutti che ci sia probabilmente un 40% del paese che semplicemente non vuole un nero nello Studio Ovale. In effetti, nel 2008 Obama ha perso il voto dei bianchi. Ha perso ogni fascia di età dei bianchi tranne i giovani (dai 18 ai 29 anni).  E tuttavia ha comunque vinto per dieci milioni di voti! Il segreto ottimista che conosce la gente di Obama è che solo circa il 70% dei votanti a novembre sarà composto da bianchi. Così se lui riesce a conquistare appena il 35-40% di loro e poi ottiene una grande maggioranza della gente di colore, potrà ottenere la rielezione. Nella mia testa non c’è alcun dubbio che Obama sia più popolare di Romney e se tutti potessero votare per il loro allenatore come votano per l’American Idol, Obama vincerebbe a mani basse. Come ho detto in passato, viviamo in un paese liberale. La maggioranza degli statunitensi (che non si definisce “liberale”) ora appoggia la maggior parte del programma liberale: è per il matrimonio tra omosessuali, è per la libertà di scelta [riguardo al portare a termine una gravidanza – n.d.t.], è contro la guerra, crede che ci sia il riscaldamento globale e odia Wall Street per tutto quello che ha fatto a lei e ai suoi vicini. I Repubblicani lo sanno: sanno che noi, la maggioranza, faremo sesso quando ci pare e con chi ci pare, leggeremo e guarderemo quel che ci pare quando ci pare, fumeremo marijuana se ci va e se non ci va di certo non vorremo sbattere in galera i nostri amici che la fumano. Siamo stanchi e stufi di essere avvelenati, dalle sostanze chimiche e dalla propaganda, pensiamo che ai palestinesi sia stato riservato un trattamento iniquo e vogliamo indietro i nostri fottuti posti di lavoro! La Destra Cristiana (e i suoi finanziatori di Wall Street) lo sanno sin troppo bene: gli Stati Uniti hanno svoltato e non c’è modo di tornare indietro a non amare qualcuno a causa del colore della sua pelle o ad aspettarsi che una donna ceda il controllo del suo corpo a un branco di neandertaliani. Così cosa deve fare un destrorso adesso che abbiamo preso la corsia per Sodoma e il punto G? Devono sopprimere il voto! Devono impedire di votare al maggior numero possibile di liberali. Così hanno approvato molte leggi per la soppressione del voto per rendere difficile ai poveri, alle minoranze, ai disabili e agli studenti di votare. Credono onestamente di cavarsela così, ed è semplicemente possibile che ci riescano. La sola cosa “positiva” in questo è che la loro necessità di avere leggi simili per vincere le elezioni è un’ammissione da parte dei Repubblicani che sanno che gli Stati Uniti sono un paese liberale e l’unico modo in cui possono vincere adesso è barando. Credetemi, se credessero che gli Stati Uniti fossero un paese di destra approverebbero leggi che renderebbero il voto così facile che lo si potrebbe fare alla coda della cassa del Walmart.

Ma il voto del 6 novembre non avrà luogo in un posto come il Walmart o stando seduti in poltrona con le patatine. Può aver luogo solo in un seggio elettorale e, per non dichiarare l’ovvio, la parte che porta fisicamente il maggior numero di persone ai seggi quel giorno vince. Sappiamo che i Repubblicani stanno spendendo decine di milioni di dollari per assicurarsi che accada proprio questo. Hanno costruito una gigantesca macchina per trascinare la gente a votare il giorno delle elezioni e la pura forza del loro tsunami di odio è pronta a schiacciarci in un modo che non abbiamo mai visto prima. Quelli di noi che stanno nel Midwest ne hanno avuto un assaggio nel 2008. Stati tradizionalmente democratici – che hanno votato tutti per Obama – hanno visto le nostre amministrazioni statali e i posti da governatore sequestrati da questa macchina ben oliata. Non abbiamo saputo cosa ci avesse colpito, ma questi nuovi Repubblicani non hanno perso tempo per smantellare alcune delle cose fondamentali che ci sono care. Il Wisconsin ha contrattaccato, ma anche quella grande rivolta della base non è stata sufficiente a fermare il governatore comprato e pagato dai fratelli Koch. E’ stata una sveglia, di sicuro, ma ci siamo davvero svegliati?

E’ stata una gran settimana a Charlotte è mi sto preparando a sentire Obama tenere il suo discorso. Per noi va bene prenderci un paio di giorni per darci reciprocamente un cinque ma non posso sottolineare abbastanza che, a meno che voi ed io facciamo qualcosa ogni giorno nei prossimi sessanta giorni per portare la gente a votare, allora c’è la possibilità che il prossimo gennaio tutti diremo “presidente Romney”. Non pensate che non possa succedere. L’odio, triste a dirsi, almeno negli Stati Uniti di questi tempi, è una motivazione di gran lunga più forte dell’amore e del sentirsi fighi.

Per quelli di noi che ritengono che la storia dei Democratici e dei Repubblicani consista nell’eseguire gli ordini dell’un per cento (il finanziatore numero uno di Obama nel 2008 è stata la gente della Goldman Sachs) e che, anche se i Demo sono una banda più garbata/gentile, sono altrettanto pronti a mandarci in guerra e a venderci agli interessi delle imprese (e, sì, l’Obamacare [il programma di assistenza sanitaria di Obama] è stato un regalo di dollaroni alle compagnie assicurative; solo un sistema di assicurazione unica può fermare questo) queste elezioni sono un po’ una pillola amara. Siamo stati fortemente delusi quando il presidente Obama non è partito alla carica dopo l’insediamento a sistemare i danni che erano stati causati (come Franklin Delano Roosevelt fece nei suoi primi cento giorni) e solo quando Wall Street ha smesso di firmargli grossi assegni per la campagna elettorale l’anno scorso ha ritrovato le palle e ha cominciato a combattere la battaglia che va combattuta. E’ una persona buona e onesta (quando non manda droni a uccidere civili pachistani o non incrimina gole profonde del governo) e la sua elezione quattro anni fa è stata un momento alto di tale intensità emotiva che non sono riuscito a rimettermi da quanto ero fiducioso che questo paese fosse cambiato e avessimo trovato la nostra saldezza morale. La realtà ha fatto irruzione poche settimane dopo quando ha dato a Tim Geithner e a Larry Summers la reponsabilità della politica economica e poi ha cambiato idea a proposito della chiusura di Guantanámo.

Bene, allora le persone come me, almeno una volta nella vita, vorrebbero averla vinta fino in fondo! E’ chiedere troppo? Naturalmente c’è una domanda diversa ora nell’aria: dobbiamo ridare il paese alla massa che ha dato il paese all’un per cento? Penso di no. E allora uniamoci alla nostra maggioranza liberale e siamo accaniti e implacabili nei prossimi due mesi. Impieghiamo il tempo a spiegare alla gente cosa intendiamo quando diciamo cose come “assicurazione unica” e “Blackwater”. La politica e il destino della nazione (e del mondo, chiedo scusa, del mondo) sono al centro della contesa e quelli di noi che vogliono strappare il controllo della nostra società dalle mani dei pochi possono ricavare un robusto vantaggio dalle prossime settimane.  Non restati inattivi. Non cercate di convincere tutti che Obama ci ha miracolosamente trasformati; dite semplicemente loro che quattro anni semplicemente non bastano per rimediare a tutti i danni causati dal maggior crollo economico dopo la Grande Depressione e dalla maggior bestialità/menzogna militare della nostra storia.

Passerò ora al mio lato ottimista (scusatemi cinici, sapete che vi amo) e immaginerò un secondo mandato di Obama (e un Congresso controllato dai Democratici) che perseguirà tutto il bene che il nostro popolo merita e riporterà nelle nostre mani il potere della democrazia. C’è un buon motivo per cui la Destra è terrorizzata da un secondo mandato di Obama perché è esattamente questo che essa pensa che lui farà: apparirà il vero Obama e ci condurrà lungo il cammino della giustizia e della tolleranza sociale e a un equilibrio del terreno di gioco economico. Per una volta mi piacerebbe dire che sono d’accordo con la Destra e che spero sinceramente che il suo incubo peggiore diventi realtà.

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Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo       www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/president-romney-how-to-prevent-those-two-words-from-ever-being-spoken-by-michael-moore

Originale: Michaelmoore.com

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2012 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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Iraq: fuori i soldati, dentro i mercenari della Blackwater

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Sono sempre più diffuse le voci secondo cui la Blackwater, la nota compagnia “fornitrice di soluzioni di sicurezza”, intenderebbe ritornare a operare in Iraq, il paese da cui era stata bandita nel 2007. Per riuscirci, ha cambiato il suo nome in Academi.

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di Giovanni Andriolo

Nel linguaggio del marketing, il termine rebranding  sta a indicare un processo attraverso il quale un prodotto o un servizio viene reintrodotto nuovamente sul mercato con altro nome o una diversa identità.

E’ proprio quello che ha fatto anche la Blackwater, nota compagnia militare privata statunitense, attiva negli scenari internazionali più “caldi” del pianeta.

In realtà, il nome della Blackwater è famoso nel mondo per lo scandalo che colpì nel 2007 alcuni dei suoi contractors, colpevoli di aver ucciso 17 civili nel corso di una sparatoria in piazza Nisour, a Baghdad, mentre cercavano di proteggere un convoglio di diplomatici statunitensi caduti in un’imboscata.

All’epoca, le “soluzioni di sicurezza” della Blackwater furono giudicate eccessive, e il governo iracheno le revocò la licenza per operare nel paese.

A quel punto, subentrò il primo rebranding: nel 2009 la Blackwater si trasformò nella Xe Services LLC.

Gli affari proseguivano e la compagnia ha continuato a lavorare con il governo statunitense su molteplici fronti, il più importante dei quali in Afghanistan.

Tuttavia, il ritiro delle truppe americane di stanza in Iraq apre nuove prospettive.

Soprattutto perché Washington intende dispiegare da gennaio 2012 un nuovo “esercito” di 5.500 contractors, militari privati, a protezione delle sedi e del corpo diplomatico statunitense nel paese.

La posta in gioco è alta e la Blackwater non vuole mancare in quello che potrebbe diventare il teatro più “redditizio”.

Basti pensare che finora i contratti per la protezione dei diplomatici statunitensi in Iraq sono stati affidati a tre grandi compagnie di sicurezza: la Triple Canopy – che ha un contratto di 1,53 miliardi di dollari statunitensi -, la Global Strategies Group – che proteggerà il consolato di Bassora per la cifra di 401 milioni di dollari -, e la SOC Incorporated – che resterà a ‘guardia’ dell’enorme ambasciata a stelle e strisce con sede a Baghdad, per 974 milioni di dollari.

I contratti sono dunque ‘generosi’, e offrono margini di guadagno interessanti: in palio ci sono ancora i consolati di Mosul, Kirkuk e Irbil. Un’occasione ghiotta, che la Blackwater non può davvero lasciarsi sfuggire.

Per questo motivo, a dicembre del 2011 è stato annunciato un nuovo rebranding della compagnia, che trasferirà la sua sede dal Nord Carolina alla Virginia e si chiamerà Academi.

Un riferimento, secondo il nuovo CEO Ted Wright, alla ‘Accademia di Platone’, finalizzato a fornire all’azienda un’immagine più “noiosa”.

Certamente, l’idea di rientrare di soppiatto nel paese da cui era stata bandita, sembra l’unica soluzione per una compagnia che nel paese dei due fiumi guadagnava, prima del 2007, circa un terzo delle sue entrate annuali totali.

Per riottenere l’incarico, l’Academi ha diverse carte da giocare.

Innanzitutto, negli ultimi anni ha ristrutturato e apportato modifiche al suo organigramma, la più eclatante della quali è stata la progressiva marginalizzazione del fondatore, Erik Prince, e l’assunzione di un nuovo amministratore delegato, il già citato Ted Wright.

Inoltre, l’azienda ‘preferita’ di George W. Bush ha perseguito negli ultimi due anni un tenace lavoro di lobbying anche sul versante del partito democratico statunitense, ottenendo buoni risultati.

Tra questi, il contratto da 250 milioni di dollari del 2010 (in piena amministrazione Obama), per operare in Afghanistan sotto la direzione del dipartimento di Stato e della Cia.

Infine, l’Academi possiede una piccola flotta di elicotteri MD-530, già dispiegati in Iraq dalla Blackwater.

Da gennaio 2012 anche il controllo dello spazio aereo iracheno sarà affidato a Baghdad, e per questo Washington sembra volersi muovere nella direzione di assicurare anche una “protezione dall’alto” al suo corpo diplomatico.

Secondo molti analisti si tratta di un matrimonio, quello dell’Academi e dell’Iraq, che non dovrebbe riservare ‘sorprese’. 

Ciononostante, non sfugge il fatto che la compagnia sia ancora sotto inchiesta da parte di diverse agenzie e del Congresso, per una serie di presunti crimini e violazioni che spaziano dall’accusa di omicidio, omicidio colposo, cospirazione, falsa dichiarazione, utilizzo di compagnie di schermo per accaparrarsi contratti da cui la Blackwater era bandita.

Un curriculum degno di nota che, se associato allo scarso favore che tra la popolazione irachena gode la compagnia dopo i fatti del 2007, non mancherà di far parlar di sé nei prossimi mesi. 

19 dicembre 2011

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Fonte: Osservatorioiraq

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Gli indignati newyorkesi non si fermano nonostante la repressione

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Presidente Obama, perché usare la violenza?

Gli indignati newyorkesi non si fermano (GUARDA LA DIRETTA TV) nonostante la repressione. E accusano: “Dov’erano Michael Moore e Jesse Jackson?”

99% vs 1%: VIDEO DEL “GUARDIAN

Tiziana Rinaldi Castro (da New York)

«È questo il paese che non si fa scrupoli a sacrificare la sua gente quando lo ritenga non necessario ma conveniente. Lo ha fatto sempre, dall’inizio, affiancando senza batter ciglio la straordinaria lezione della rivoluzione americana alla schiavitù. La mia gente conosce la sofferenza da generazioni, e l’America è stata sempre generosa in ogni cosa, e quindi anche nell’elargire la sofferenza. I ragazzi giovani che sono qui lo sentono solo ora il bruciore delle promesse non mantenute, ma io sono quarant’anni che aspettavo questo momento». Sono le parole di Gregory, che ho incontrato dopo il violento blitz della polizia a Zuccotti Park davanti al tribunale dove si contrattava il rientro con i giudici e il sindaco e che ho ritrovato in serata alla sua riapertura. «Mi si è risvegliato qualcosa dentro di fronte a quella violenza così inutile, quella boria. Ho avuto paura ma ho anche preso sul serio il movimento. Dall’una stanotte sono stato arrestato, maltrattato, offeso, derubato, e mi si è riempito il mondo dentro». Si leva il cappello rasta e scuote i suoi bei dreads, gli occhi verdi luccicano dietro gli occhiali rotondi sul volto nero.  (leggi tutto)

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Fonte:  il Manifesto

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