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Michael Moore: “Siamo tutti musulmani” lettera a Donald Trump

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La polizia di New York ha allontanato Michael Moore, coraggioso regista americano, dall’ingresso della Trump Tower. Il regista stava manifestando solidarietà ai musulmani con un cartello che riportava: “We are all muslim” (Siamo tutti musulmani). Era la sua risposta alla dichiarazione di Donald Trump: “Se verrò eletto alla Casa Bianca ci sarà una completa, totale chiusura delle frontiere a tutti i musulmani che vogliono fare ingresso negli USA”.

Riporto di seguito la lettera originale di risposta che Moore ha inviato all’imprenditore americano. Qui invece potete leggere la sua traduzione in italiano.

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FIRMA LA PETIZIONE

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FROM: Michael Moore
TO: Donald J. Trump

Dear Donald Trump:

You may remember (you do, after all, have a “perfect memory!”), that we met back in November of 1998 in the green room of a talk show where we were both scheduled to appear one afternoon. But just before going on, I was pulled aside by a producer from the show who said that you were “nervous” about being on the set with me. She said you didn’t want to be “ripped apart” and you wanted to be reassured I wouldn’t “go after you.”

“Does he think I’m going to tackle him and put him in a choke hold?” I asked, bewildered.

“No,” the producer replied, “he just seems all jittery about you.”

“Huh. I’ve never met the guy. There’s no reason for him to be scared,” I said. “I really don’t know much about him other than he seems to like his name on stuff. I’ll talk to him if you want me to.”

And so, as you may remember, I did. I went up and introduced myself to you. “The producer says you’re worried I might say or do something to you during the show. Hey, no offense, but I barely know who you are. I’m from Michigan. Please don’t worry — we’re gonna get along just fine!”

You seemed relieved, then leaned in and said to me, “I just didn’t want any trouble out there and I just wanted to make sure that, you know, you and I got along. That you weren’t going to pick on me for something ridiculous.”

“Pick on” you? I thought, where are we, in 3rd grade? I was struck by how you, a self-described tough guy from Queens, seemed like such a fraidey-cat.

You and I went on to do the show. Nothing untoward happened between us. I didn’t pull on your hair, didn’t put gum on your seat. “What a wuss,” was all I remember thinking as I left the set.

And now, here we are in 2015 and, like many other angry white guys, you are frightened by a bogeyman who is out to get you. That bogeyman, in your mind, are all Muslims. Not just the ones who have killed, but ALL MUSLIMS.

Fortunately, Donald, you and your supporters no longer look like what America actually is today. We are not a country of angry white guys. Here’s a statistic that is going to make your hair spin: Eighty-one percent of the electorate who will pick the president next year are either female, people of color, or young people between the ages of 18 and 35. In other words, not you. And not the people who want you leading their country.

So, in desperation and insanity, you call for a ban on all Muslims entering this country. I was raised to believe that we are all each other’s brother and sister, regardless of race, creed or color. That means if you want to ban Muslims, you are first going to have to ban me. And everyone else.

We are all Muslim.

Just as we are all Mexican, we are all Catholic and Jewish and white and black and every shade in between. We are all children of God (or nature or whatever you believe in), part of the human family, and nothing you say or do can change that fact one iota. If you don’t like living by these American rules, then you need to go to the time-out room in any one of your Towers, sit there, and think about what you’ve said.

And then leave the rest of us alone so we can elect a real president who is both compassionate and strong — at least strong enough not to be all whiny and scared of some guy in a ballcap from Michigan sitting next to him on a talk show couch. You’re not so tough, Donny, and I’m glad I got to see the real you up close and personal all those years ago.

We are all Muslim. Deal with it.

All my best,
Michael Moore

P.S. I’m asking everyone who reads this letter to go here and sign the following statement: “WE ARE ALL MUSLIM” — and then send post a photo of yourself holding a homemade sign saying “WE ARE ALL MUSLIM” on Twitter, Facebook, or Instagram using the hashtag #WeAreAllMuslim. I will post all the photos on my site and send them to you, Mr. Trump. Feel free to join us.

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Fonte: michaelmoore.com

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Michael Moore – New docufilm: “Where to invade next” (La guerra infinita degli Stati Uniti)”

 

 

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La guerra infinita nel nuovo film di Michael Moore

Ci lavorava in gran segreto dal 2009, ma nei giorni scorsi ha rivelato il suo progetto e lo ha annunciato pubblicamente: Michael Moore sta per uscire con il suo nuovo film, “Where to invade next”. Avete indovinato di cosa parlerà? Di come il governo degli Stati Uniti mantiene questo stato di guerra infinita.

Sui social network lo ha definito lui stesso “un film epico”: è con “Where to invade next” che il regista americano Michael Moore torna sul grande schermo dopo gli Oscar già vinti con i suoi documentari al vetriolo. Dopo avere pubblicamente criticato le strategie di controllo di massa degli Usa e dopo avere definito Edward Snowden “eroe dell’anno”, Moore si appresta a proporre un lavoro (la prima mondiale sarà al Toronto Film Festival a settembre) girato in tre continenti che punta a raccontare di come «l’obiettivo degli Stati Uniti sia la guerra infinita, cosa che mi preoccupa da tempo e che mi ha indotto a tirare fuori la satira che serviva per questo film». «C’è questa sorta di bisogno costante di avere un nemico – ha spiegato Moore – c’è bisogno di individuare quale sarà il prossimo nemico, in modo da mantenere e alimentare il grande sistema e business dell’industria bellica, garantendo gli affari di chi fa soldi con questo business. Mi sono proprio seccato di tutto questo, così ho deciso di raccontarlo in commedia». E ammonisce ironicamente: «Che il Pentagono stia in guardia, perché mi sto preparando ad invaderlo». Quando un follower di Twitter gli ha chiesto se riteneva fosse più importante far ridere la gente o mandare un messaggio, Moore ha risposto: «Entrambe le cose. L’umorismo è un formidabile veicolo di riflessione e commento sociale su ciò che accade oggigiorno». Il responsabile della programmazione del Toronto Film Festival, Thom Powers, ha commentato dopo avere visto personalmente il film alcune settimane fa che si tratta di un lavoro «veramente impressionante, è divertente, ben costruito, è destinato a catturare l’attenzione a livello mondiale. Si avvia ad essere il miglior lavoro di Moore».

L’ultimo film di Moore è stato “Capitalismo: una storia d’amore”, uscito sei anni fa. Nel 2004 aveva vinto la Palma d’Oro con “Fahreneheit 9/11”, in cui ha spiegato come George.W. Bush a suo tempo abbia vinto le elezioni presidenziali in maniera non proprio limpidissima e come molte migliaia di elettori – in gran parte afro-americani – siano stati privati, in Florida, del loro diritto di voto. Poi i rapporti di affari che Bush e la sua famiglia avevano con la famiglia Bin Laden, con gestione congiunta di società di costruzioni di armi. Moore ha sostenuto anche che Bush e la sua amministrazione non solo hanno sottovalutato il pericolo di un attacco terrorista alla vigilia dell’11 settembre, ma che hanno anche ignorato un eloquente rapporto dell’Fbi che parlava di un imminente attacco su larga scala sul territorio americano. Poi illustra come Bush abbia tratto giovamento dall’attacco alle torri gemelle instaurando un clima di paura e terrore tra gli americani per poi decurtare del 40% i fondi per la sicurezza nazionale e far sorvegliare la costa dell’Oregon  da un solo poliziotto.

Bentornato Michael!

Fonte: Il Cambiamento

 

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Approfondimento – madu

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RT Live News (Video intrevista M.Moore – “Where to invade next”)

Stockolm International Peace Research Istitute (SIPRI)

Stati per spesa militare

Michael Moore (Official website)

Biografia Michael Moore

 

 


Stati Uniti: Michael Moore indica come fermare la lobby delle armi

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Le vittime del massacro di Sandy Hook. A destra in alto la madre dell’omicida, uccisa anch’essa, e, in basso, l’omicida.

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Stati Uniti, non distogliete lo sguardo! (Come farla finita con la lobby delle armi)

di Michael Moore

L’anno era il 1955. Emmett Till era un giovane ragazzo afroamericano di Chicago in visita a parenti nel Mississippi. Un giorno Emmett fu visto “flirtare” con una giovane della città e a causa di ciò fu mutilato e assassinato all’età di quattordici anni. Fu trovato con una parte di una sgranatrice di cotone legata attorno al collo con un pezzo di filo spinato. I suoi assassini, due uomini bianchi, gli avevano sparato in testa prima di gettarlo nel fiume.

Il corpo di Emmett Till fu ritrovato e rimandato a Chicago. Con sconvolgimento di molti sua madre insisté per una cassa aperta al suo funerale, in modo che il pubblico potesse vedere cosa succede al corpo di un ragazzino quando i fanatici decidono che lui è meno che umano. Volle che i fotografi scattassero delle foto del suo figlio mutilato e le pubblicassero liberamente. Più di 10.000 parteciparono al funerale e la foto di Emmett Till apparve sui quotidiani e le riviste di tutta la nazione.

“Volevo soltanto che il mondo vedesse,” disse la madre. “Volevo soltanto che il mondo vedesse.”

Il mondo vide davvero e nulla fu più lo stesso per i suprematisti bianchi degli Stati Uniti d’America. Grazie a Emmett Till, grazie alle fotografie sconvolgenti del suo piccolo corpo morto, solo pochi mesi più tardi “iniziò ufficialmente la rivolta il 1 dicembre 1955” (da Eyes on the Prize), quando Rosa Parks decise di non cedere il suo posto sull’autobus a Montgomery, Alabama. Lo storico boicottaggio degli autobus ebbe inizio e, con le immagini di Emmett Till ancora fresche nella mente di molti statunitensi, non ci fu modo di tornare indietro.

Nel marzo del 1965 la polizia di Selma, Alabama, picchiò, innaffiò e sparò brutalmente gas lacrimogeni contro un gruppo di afroamericani soltanto perché aveva attraversato un ponte durante una marcia di protesta. La nazione fu sconvolta dalle immagini di neri brutalmente malmenati e feriti. E’ lo stesso accadde al Presidente. Solo una settimana dopo Lyndon Johnson convocò una seduta del Congresso statunitense e si presentò alla sessione congiunta e disse ai parlamentari di approvare una legge che stava proponendo quella sera: la Legge sul Diritto di Voto del 1965. E solo cinque mesi dopo il Presidente Johnson firmò, promulgandola, la Legge sul Diritto di Voto.

Nel marzo del 1968 soldati statunitensi massacrarono 500 civili a My Lai, in Vietnam. Un anno e mezzo dopo il mondo finalmente vide le fotografie, di mucchi di contadini morti coperti di sangue, di un bambino terrorizzato pochi secondi prima di essere abbattuto e di una donna con il cervello fatto letteralmente schizzare fuori dal cranio. (Tali fotografie sarebbero andate ad aggiungersi ad altre foto della guerra del Vietnam, tra cui quella di una bambina nuda ustionata dal napalm in fuga su una strada e di un generale sud-vietnamita che si avvicina a un sospetto in manette, estrae la pistola e gli fa saltare la testa sul notiziario serale della NBC).

Con questa valanga di immagini orribili il pubblico statunitense si rivoltò contro la guerra del Vietnam. Il renderci conto di ciò di cui eravamo capaci di fare ci sconvolse a tal punto che divenne molto difficile per i futuri presidenti (fino a George W. Bush) invadere di punto in bianco una nazione sovrana ed entrare in guerra per un decennio.

Bush è stato in grado di scatenarla perché i suoi gestori, i signori Cheney e Rumsfeld, sapevano che la cosa più importante da fare fin dall’inizio era controllare le immagini della guerra, assicurarsi che nulla di simile alle fotografie di My Lay comparisse mai sulla stampa statunitense.

E questo è il motivo per cui non vedrete mai più una foto del tipo di morte e distruzione che potrebbe farvi balzare dal divano e correre fuori urlando ‘maledetti assassini’ ai responsabili di quelle atrocità.

E’ questo il motivo per cui ora, dopo il massacro dei bambini a Newtown, assolutamente l’ultima cosa che la National Rifle Association vuole che sia di pubblico dominio è QUALSIASI immagine di ciò che è accaduto in quel tragico giorno.

Ma ho una profezia. Sono convinto che qualcuno a Newtown, Connecticut – un genitore in lacrime, un agente della polizia sconvolto, un cittadino che ne ha abbastanza di questo carnaio nel nostro paese – qualcuno, tra non molto, farà uscire le foto della scena del crimine del massacro della Scuola Elementare di Sandy Hook. E quando il popolo statunitense vedrà cosa possono fare al corpo di un bambino le pallottole di un fucile d’assalto sparate a distanza ravvicinata, quello sarà il giorno in cui le danze saranno finite per la NRA. Sarà il giorno in cui il dibattito sulle armi arriverà al termine. Non resterà nulla di cui discutere. E ogni statunitense sano di mente esigerà provvedimenti.

Naturalmente ci saranno urli e strepiti bigotti da parte dei guru che deprecheranno la pubblicazione di quelle raccapriccianti fotografie. Quelli che le pubblicheranno o le metteranno in rete saranno definiti “scandalosi” e “vergognosi” e “di cattivo gusto”. Come può un canale mediatico essere così insensibile nei confronti dei bambini morti? Qualcuno poi comincerà a boicottare la rivista o il sito web che le pubblicherà.

Ma si tratterà di indignazione falsa. Perché la verità vera è questa: non vogliamo che ci vengano mostrate le conseguenze concrete di una società violenta. Di una società che scatena guerre illegali, che giustizia criminali (o presunti tali), che aggredisce e picchia le proprie donne ogni 15 secondi e spara ogni giorno a 30 dei propri cittadini. Oh no!, per favore, NON FATECI VEDERE QUESTO!

Perché se davvero dovessimo guardare i venti bambini massacrati – intendo dire guardarli sul serio, con i corpi fatti a pezzi, molti così irriconoscibili che l’unico modo in cui i genitori hanno potuto identificarli è stato grazie agli abiti che indossavano – quale sarebbe la nostra scusa per non agire? Adesso. Proprio in questo momento. Esattamente ora! Come diavolo potrebbe qualcuno non buttarsi ad agire nello stesso momento dopo aver visto i corpi devastati dai proiettili di questi bambini e bambine?

Non sappiamo cosa esattamente mostrino quelle foto di Newtown. Ma voglio che tu, sì, tu, la persona che legge questo in questo momento, pensi a cosa effettivamente sappiamo:

I bambini di sei e sette anni uccisi nella Scuola Elementare di Sandy Hook sono stati colpiti fino a undici volte da un fucile semi-automatico  Bushmaster AR-15. La velocità iniziale di un fucile come l’AR-15 è circa tre volte quella di una pistola. E poiché l’energia cinetica di una pallottola è uguale alla metà della massa del proiettile moltiplicata per la sua velocità al quadrato, la forza distruttiva potenziale di una pallottola sparata da un fucile è circa nove volte maggiore di quella di un proiettile simile sparato da una pistola.

Nove volte. Ho parlato con il dottor Victor Weedn, presidente del Dipartimento di Scienze Forensi presso l’Università George Washington, il quale mi ha detto che i raggi X al torace di una persona colpita da un fucile hanno spesso l’aspetto di una “tempesta di neve”, perché le ossa sono ridotte in frantumi. Questo succede non solo a causa dell’impatto diretto del proiettile, ma perché ogni proiettile trasmette un’onda d’urto agli organi molli del corpo, un’onda così potente che può spezzare le ossa anche senza averle colpite. Un video qui mostra gli effetti dell’onda d’urto sulla “gelatina balistica” utilizzata dagli esperti per simulare un tessuto umano. (Gabby Giffords sarebbe sopravvissuta se le avessero sparato con un fucile anziché con una pistola Glock? Probabilmente no, dice il dottor Weedn: l’onda d’urto avrebbe danneggiato le parti più critiche del suo cervello).

Per quanto orribile sia questo, c’è di peggio, di molto peggio. Il dottor Cyril Wecht, ex presidente dell’Accademia Statunitense delle Scienze Forensi, mi ha detto questo:

“Il tipo di munizioni usato dall’assassino di Newtown deve aver prodotto lesioni molto estese, gravi e mutilanti alla testa e al volto di queste piccole vittime. A seconda del numero di colpi alla testa di un bambino, considerevoli parti della testa sarebbero scagliate via. Il tessuto cerebrale sottostante sarebbe estesamente lacerato con porzioni di tessuto cerebrale emorragico in fuoruscita dalla parte anteriore e da quella basale del cranio, parte delle quali rimarrebbe su segmenti del volto … l’effettiva identificazione fisica di ciascun bambino sarebbe estremamente difficoltosa e in molti casi impossibile, anche da parte di genitori di ciascun bambino specifico.”

Secondo il dotto Wecht sappiamo anche questo:

“In un caso i genitori hanno commentato pubblicamente le lesioni al loro bambino, riferendo che il suo collo e la sua mano sinistra mancavano. Molto probabilmente quel bambino aveva portato la mano al volto per lo shock e per proteggersi e ha avuto la mano tranciata via assieme alla parte inferiore del volto.”

Veronique Pozner, madre di Noah, il bambino di sei anni descritto dal dottor Wecht ha insistito che il governatore del Connecticut guardasse Noah nella bara aperta. “Sentivo di dover essere sincera con lui,” ha detto. Il governatore ha pianto.

Le fotografie che mostrano tutto questo oggi esistono, da qualche parte negli archivi della polizia e dell’anatomopatologo in Connecticut. E da oggi abbiamo in qualche modo tutti deciso insieme che non abbiamo necessità di vederle, che in qualche modo siamo a posto con quello che c’è in quelle fotografie (dopotutto più di 2.600 statunitensi sono stati uccisi da colpi d’arma da fuoco dopo Newtown), fintanto che non guardiamo di persona quelle foto.

Ma oggi io vi dico che verrà il momento delle foto di Newtown. E dovrete guardarle. Dovrete guardare chi e cosa sono e cosa abbiamo permesso che accadesse. Alla fine della seconda guerra mondiale il generale Eisenhower ordinò che migliaia di civili tedeschi fossero obbligati a marciare attraverso i campi di concentramento in modo da poter essere testimoni di quello che accadeva appena di là dalla loro strada negli anni in cui avevano guardato da un’altra parte, o non avevano chiesto, o non avevano fatto nulla per fermare l’omicidio di milioni di persone.

Noi non abbiamo fatto nulla dopo Columbinenulla – e in conseguenza ci sono stati più di trenta omicidi di massa da allora. La nostra inerzia significa che siamo tutti, a qualche livello, responsabili e perciò, per aver nascosto la testa nella sabbia, dobbiamo essere obbligati a guardare i venti bambini morti alla Scuola Elementare di Sandy Hook.

Le persone a favore delle quali abbiamo votato dopo Columbine – ad eccezione di Michael Bloomberg – quasi tutte, Democratici e Repubblicani, non hanno osato parlare contro la NRA prima di Newtown e tuttavia noi, il popolo, abbiamo continuato a votarle. E per questo siamo responsabili, ed è per questo che dobbiamo guardare i venti bambini morti.

La maggior parte di noi continua a dire che noi “sosteniamo il Secondo Emendamento” come se fosse stato scritto da Dio (oppure perché temiamo di essere considerati antiamericani). Ma quell’emendamento fu scritto da quegli stessi bianchi che pensavano che un negro fosse solo per tre quinti umano. Non abbiamo fatto nulla per rivedere o revocare questo, e ciò ci rende responsabili, ed è per questo che dobbiamo guardare le fotografie dei venti bambini morti, distesi con quel che resta dei loro corpi sul pavimento dell’aula di Newtown, Connecticut.

E mentre guardiamo quelle atroci fotografie dobbiamo cercare di dire ad alta voce: “Sostengo il Secondo Emendamento!” Qualcosa, scommetto, suonerebbe sbagliato. Ù

Sì, un giorno o l’altro una madre di Sandy Hook – o una madre di Columbine, o una madre di Aurora, o una madre di un massacro ancora di là da venire – dirà, come la madre di Emmett Till: “Ho voluto soltanto che il mondo vedesse.” E poi nulla, a proposito delle armi in questo paese sarà più lo stesso.

Fa’ le valige NRA. Stanno per mostrarti la porta. Perché ci rifiutiamo di permettere che un altro bambino sia ucciso in questo modo. Capito? Spero di sì.

Tutto quello che adesso puoi sperare è che nessuno diffonda quelle foto.

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Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/america-you-must-not-look-away-how-to-finish-off-the-nra-by-michael-moore

Originale: Michaelmoore.com

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2013 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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