Tag Archives: iraq

Trascurato dai media europei e nordamericani il vertice del Movimento dei paesi non allineati (NAM)

 

 

      Stati  membri  –  Membri osservatori

.

Iran. Se il mondo s’incontra a Teheran, senza l’Occidente

Con 120 partecipanti, il vertice del Movimento dei paesi non allineati (NAM) che si è svolto la scorsa settimana ha tutto il sapore di una riorganizzazione del mondo emergente, anche perché per numero di partecipanti è secondo solo alle Nazioni Unite. Tuttavia, l’evento è stato perlopiù trascurato dai media europei e nordamericani. Forse c’entra la sede dell’incontro, Teheran.

di Giovanni Andriolo

Passino le sanzioni, passi la stigmatizzazione del programma di sviluppo delle centrali nucleari o della politica estera dell’Iran; si prescinda per un istante dalle convinzioni personali e dalle posizioni politiche: il XVI vertice del Movimento dei non allineati verrà ricordato come un evento fondamentale di questo 2012.

Il vertice tuttavia è andato ben oltre il clamore attorno alla sua sede (Teheran e quindi questione nucleare, sanzioni, crisi siriana, ect…), offrendo diversi spunti per analizzare quelle che saranno le prossime tendenze nelle relazioni internazionali.

Innanzitutto, il valore simbolico del passaggio di timone del Movimento, dall’Egitto all’Iran.

Da un Egitto che quando lo raccolse, nel 2009, era ancora il paese di Mubarak, il ‘faraone’ a cui gli Stati Uniti fornivano due miliardi di dollari l’anno in aiuti economici e militari, ottenendone in cambio appoggio alle loro “attività” nella regione vicino-orientale.

All’Iran del 2012, il paese forse più lontano, e non geograficamente, dagli Stati Uniti, il paese che da più di trent’anni figura come il nemico per eccellenza (pur con variazioni sul tema, a seconda dei periodi), uno dei pochi che non è stato ancora ‘piegato’ al volere americano.

Raramente un passaggio di consegne fu più drastico e carico di contenuti, nei giochi di potere mondiali.

E sebbene le grandi potenze abbiano cercato di minimizzare la portata dell’evento, sottolineando come il Movimento dei Non Allineati non abbia mai raggiunto risultati concreti dalla sua fondazione, è di per sé rilevante il fatto che, proprio in questo 2012, con il Vicino Oriente in fiamme e una guerra larvata tra lo stesso Iran da una parte e le grandi monarchie arabe spalleggiate dagli Stati Uniti dall’altra, 120 paesi decidano di ‘affidarsi’, per i prossimi tre anni, proprio a Teheran.

Sebbene questa scelta possa essere considerata positiva o negativa per la regione e per il mondo: resta tuttavia un fatto compiuto, e di una certa rilevanza.

Un secondo elemento che colpisce del summit di Teheran riguarda la posizione assunta dal nuovo presidente egiziano, Mohammed Morsi. O piuttosto, le reazioni che ha suscitato in tutto il globo.

Non c’è dubbio che l’intervento di Morsi abbia contribuito, più di ogni altro, a portare l’attenzione dei media europei e nordamericani sul vertice.

Da un lato, la presenza stessa del presidente egiziano nell’Iran post-rivoluzionario è un fatto straordinario: i due paesi hanno rotto i legami diplomatici nel 1979, e da allora nessun capo di Stato si era recato a Teheran.

Ciononostante sono le sue dichiarazioni ad aver fatto breccia nella stampa mainstream: il nuovo raìs ha infatti auspicato un cambio di regime in Siria.

A quel punto, lo shock per la dirigenza iraniana dev’essere stato pari a quello vissuto a Washington quando è stata annunciata la sede che avrebbe ospitato il NAM.

Secondo le cronache, la delegazione siriana ha immediatamente lasciato la sala, mentre le trasmissioni televisive del discorso venivano interrotte sia in Siria che in Iran. Di contro, Europa, Stati Uniti e canali satellitari arabi accendevano all’improvviso le luci sul vertice NAM.

Ma c’è un terzo elemento su cui riflettere. La presenza del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon non è passata inosservata.

Da Washington era tuonata, prima dell’inizio del summit, una richiesta affinché l’alta carica dell’Onu non partecipasse ai lavori del NAM. Inoltre, il premier israeliano aveva definito “un grave errore” la visita di Ban a Teheran.

Un giornale italiano, uno dei pochi, in realtà, che era intervenuto sulla questione del vertice NAM, pur con intenti denigratori, aveva addirittura parlato di “una colpa morale e un errore politico simile a quelli di Chamberlain”, riferendosi alla decisione presa dal numero uno del Palazzo di Vetro.

In realtà, Ban Ki Moon si è limitato a fare il proprio dovere. Il fatto che il segretario generale delle Nazioni Unite presenzi a un vertice internazionale che riunisce 120 membri dell’Onu (sui 193 totali) e che si svolge nella capitale di un paese membro, seppur controverso, non dovrebbe sollevare tante polemiche.

O per lo meno, non dovrebbe sollevare polemiche qualora non esistessero paesi membri, all’interno dell’Onu, che mirano a pilotare le istituzioni internazionali per soddisfare i propri interessi nazionali, a detrimento di altri paesi (altrettanto membri).

Il discorso di Ban a Teheran è stato criticato aspramente, sia da chi supporta le posizioni iraniane, sia da chi invece le reputa aggressive. In realtà, anche in questo caso il segretario si è limitato a svolgere il proprio dovere: portare il punto di vista delle Nazioni Unite sulle maggiori questioni internazionali.

Se da un lato ha riconosciuto all’Iran la possibilità di svolgere un ruolo chiave nella regione, un ruolo “costruttivo e moderato”, dall’altro Ban ha criticato le esternazioni anti-israeliane di alcune cariche iraniane, proprio mentre sedeva a fianco del presidente Mahmoud Ahmadinejad.

Parlando della Siria, se l’è presa con “coloro che forniscono armi a entrambi le parti”, il governo e i gruppi all’opposizione, spiegando come un’ulteriore militarizzazione non sia la risposta alla crisi siriana.

Un discorso, in effetti, abbastanza vago, che non prende posizioni forti, se non in alcuni casi, e che, d’altra parte viene pronunciato da chi ha il dovere di rappresentare le istanze di più di 190 paesi nel mondo.

Nonostante le polemiche, i tentativi di orientare le attività del segretario generale e l’ostracismo dimostrato da parte dei media euro-americani (del Nord) nei confronti dell’evento, il vertice dei paesi non allineati rappresenta un chiaro segnale di come, al di fuori di Europa e Stati Uniti, il resto del mondo, la maggior parte del mondo, stia cominciando a orientarsi verso nuovi poli macroregionali.

In quest’ottica, il tentativo da parte delle grandi potenze internazionali di isolare a tutti i costi avvenimenti come quello del NAM di Teheran non può che favorire tali tendenze nei paesi emergenti. Con il rischio che le grandi potenze, piuttosto che isolare, si trovino a loro volta sempre più isolate.

.

Fonte: Osservatorioiraq.it

.

___________________________

Approfondimento

Movimento dei paesi non allineati (NAM)

.


Iraq: fuori i soldati, dentro i mercenari della Blackwater

.

Sono sempre più diffuse le voci secondo cui la Blackwater, la nota compagnia “fornitrice di soluzioni di sicurezza”, intenderebbe ritornare a operare in Iraq, il paese da cui era stata bandita nel 2007. Per riuscirci, ha cambiato il suo nome in Academi.

.

di Giovanni Andriolo

Nel linguaggio del marketing, il termine rebranding  sta a indicare un processo attraverso il quale un prodotto o un servizio viene reintrodotto nuovamente sul mercato con altro nome o una diversa identità.

E’ proprio quello che ha fatto anche la Blackwater, nota compagnia militare privata statunitense, attiva negli scenari internazionali più “caldi” del pianeta.

In realtà, il nome della Blackwater è famoso nel mondo per lo scandalo che colpì nel 2007 alcuni dei suoi contractors, colpevoli di aver ucciso 17 civili nel corso di una sparatoria in piazza Nisour, a Baghdad, mentre cercavano di proteggere un convoglio di diplomatici statunitensi caduti in un’imboscata.

All’epoca, le “soluzioni di sicurezza” della Blackwater furono giudicate eccessive, e il governo iracheno le revocò la licenza per operare nel paese.

A quel punto, subentrò il primo rebranding: nel 2009 la Blackwater si trasformò nella Xe Services LLC.

Gli affari proseguivano e la compagnia ha continuato a lavorare con il governo statunitense su molteplici fronti, il più importante dei quali in Afghanistan.

Tuttavia, il ritiro delle truppe americane di stanza in Iraq apre nuove prospettive.

Soprattutto perché Washington intende dispiegare da gennaio 2012 un nuovo “esercito” di 5.500 contractors, militari privati, a protezione delle sedi e del corpo diplomatico statunitense nel paese.

La posta in gioco è alta e la Blackwater non vuole mancare in quello che potrebbe diventare il teatro più “redditizio”.

Basti pensare che finora i contratti per la protezione dei diplomatici statunitensi in Iraq sono stati affidati a tre grandi compagnie di sicurezza: la Triple Canopy – che ha un contratto di 1,53 miliardi di dollari statunitensi -, la Global Strategies Group – che proteggerà il consolato di Bassora per la cifra di 401 milioni di dollari -, e la SOC Incorporated – che resterà a ‘guardia’ dell’enorme ambasciata a stelle e strisce con sede a Baghdad, per 974 milioni di dollari.

I contratti sono dunque ‘generosi’, e offrono margini di guadagno interessanti: in palio ci sono ancora i consolati di Mosul, Kirkuk e Irbil. Un’occasione ghiotta, che la Blackwater non può davvero lasciarsi sfuggire.

Per questo motivo, a dicembre del 2011 è stato annunciato un nuovo rebranding della compagnia, che trasferirà la sua sede dal Nord Carolina alla Virginia e si chiamerà Academi.

Un riferimento, secondo il nuovo CEO Ted Wright, alla ‘Accademia di Platone’, finalizzato a fornire all’azienda un’immagine più “noiosa”.

Certamente, l’idea di rientrare di soppiatto nel paese da cui era stata bandita, sembra l’unica soluzione per una compagnia che nel paese dei due fiumi guadagnava, prima del 2007, circa un terzo delle sue entrate annuali totali.

Per riottenere l’incarico, l’Academi ha diverse carte da giocare.

Innanzitutto, negli ultimi anni ha ristrutturato e apportato modifiche al suo organigramma, la più eclatante della quali è stata la progressiva marginalizzazione del fondatore, Erik Prince, e l’assunzione di un nuovo amministratore delegato, il già citato Ted Wright.

Inoltre, l’azienda ‘preferita’ di George W. Bush ha perseguito negli ultimi due anni un tenace lavoro di lobbying anche sul versante del partito democratico statunitense, ottenendo buoni risultati.

Tra questi, il contratto da 250 milioni di dollari del 2010 (in piena amministrazione Obama), per operare in Afghanistan sotto la direzione del dipartimento di Stato e della Cia.

Infine, l’Academi possiede una piccola flotta di elicotteri MD-530, già dispiegati in Iraq dalla Blackwater.

Da gennaio 2012 anche il controllo dello spazio aereo iracheno sarà affidato a Baghdad, e per questo Washington sembra volersi muovere nella direzione di assicurare anche una “protezione dall’alto” al suo corpo diplomatico.

Secondo molti analisti si tratta di un matrimonio, quello dell’Academi e dell’Iraq, che non dovrebbe riservare ‘sorprese’. 

Ciononostante, non sfugge il fatto che la compagnia sia ancora sotto inchiesta da parte di diverse agenzie e del Congresso, per una serie di presunti crimini e violazioni che spaziano dall’accusa di omicidio, omicidio colposo, cospirazione, falsa dichiarazione, utilizzo di compagnie di schermo per accaparrarsi contratti da cui la Blackwater era bandita.

Un curriculum degno di nota che, se associato allo scarso favore che tra la popolazione irachena gode la compagnia dopo i fatti del 2007, non mancherà di far parlar di sé nei prossimi mesi. 

19 dicembre 2011

.

Fonte: Osservatorioiraq

.


Ucciso Bin Laden dopo una carneficina durata 10 anni!

Come in tutte le belle storie alla fine il bene trionfa sempre sul male. L’unica differenza evidente è che questa non è proprio una bella storia. Osama Bin Laden è stato ucciso. Si è riusciti, dopo 10 anni, a finirlo. Ma a che prezzo?

.


 

.

USA: attentato 11 settembre 2001 i morti sono stati 2974

IRAQ: uno studio condotto da otto medici iracheni dell’Università Mustansiriya di Bagdad tra il 20 maggio e il 10 giugno 2006 ha stimato che i morti civili, dall’inizio del conflitto, siano stati 601.027.

AFGHANISTAN: le stime compiute da più istituti di ricerca i morti civili registrati fino a oggi oscillano: da 14 mila a 34 mila. Anche in questo caso il gap è notevole. Se aggiungiamo a questi dati poi quelli recentissimi del Centro di monitoraggio dei diritti in Afghanistan (Arm): 739 bambini morti solo nel 2010, e nello stesso anno 2.421 vittime nella popolazione afghana, senza contare i militari, in scontri tra l’esercito.

 

Ah! Dimenticavo. Bin Laden è stato ucciso in un blitz dei servizi segreti e corpi speciali. Scovato in un palazzo non distante da una caserma e non in una grotta come si pensava. Nessun esercito. Nessun attacco massivo. Nessuna distruzione globale. Semplicemente degli uomini addestrati che hanno operato dopo anni di lunghe indagini.

Ho visto in Tv persone in delirio. Capisco la loro gioia, ma non posso condividerla visto che per la morte di uno si son dovute sacrificare negli anni centinaia di migliaia di creature. Donne, vecchi e bambini che hanno avuto solo la sfortuna di nascere nel posto sbagliato.

.

“In tutta la storia ci sono sempre state delle guerre. Per cui continueranno ad esserci”, si dice. “Ma perché ripetere la vecchia storia? Perché non cercare di cominciarne una nuova?”  rispose Gandhi a chi gli faceva questa solita, banale obiezione. (Tiziano Terzani)

.