C’è un equivoco: la cultura è di tutti, non di una sola persona. Il diritto d’autore è pensato per preservare gli interessi collettivi, non per fare felici i singoli autori. Ricordarlo non fa mai male.
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Corrado Calabrò presidente AGCOM
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di M. Mantellini
Il Presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, Corrado Calabrò ha presentato nei giorni scorsi la sua relazione annuale. In questo testo Calabrò, che vanta una laurea in giurisprudenza e una lunga carriera prima alla Corte dei Conti poi al Consiglio di Stato, fra molte altre cose, accenna alla annosa questione del diritto d’autore su Internet e lo fa pronunciando la seguente frase:
Il diritto alla libera circolazione del pensiero nelle nuove forme della tecnologia è indubbiamente un principio fondamentale per la società d’oggi ma non può e non deve strangolare il diritto di proprietà delle opere dell’ingegno. I due diritti devono trovare un modus (con)vivendi.
Sembra una frase banale ma non lo è. Così, a questo punto, per i lettori intanto, ma anche per il Presidente dell’Agcom, si impone un modestissimo ripasso storico sulle nozioni base del diritto d’autore. Che è una elegante e bella idea, vecchia di oltre trecento anni, la cui essenza è fino ad oggi rimasta sostanzialmente invariata. Provo a riassumerla in poche parole: il diritto d’autore nasce e si sviluppa come un diritto temporaneo (nella sua prima estensione nell’Inghilterra settecentesca durava 14 anni) periodo nel quale l’autore può, se lo ritiene, vantare diritti economici sulle proprie creazioni. Ci si affranca da sfruttatori e mecenati in questa maniera, venendo direttamente retribuiti dal proprio pubblico per quanto il proprio talento ha saputo creare.
Scaduto questo intervallo temporale, che nel frattempo il legislatore ha più e più volte allungato (oggi la copertura delle opere dell’ingegno da noi dura qualcosa come 70 anni dalla morte dell’autore, mentre negli Stati Uniti, nella seconda metà del secolo scorso, come ci ricorda Lawrence Lessig, il periodo di protezione delle opere è stato esteso per ben 11 volte) l’opera dell’ingegno, qualsiasi essa sia, torna al suo naturale proprietario che è la collettività. Se esiste “un proprietario delle opere dell’ingegno” per usare le sfortunate parole di Calabrò, questi non è l’autore ma il fruitore dell’opera stessa. (leggi tutto)
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Fonte: PuntoInformatico
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