Monthly Archives: Dicembre 2013

Chomsky, Papa Francesco e la Teologia della liberazione

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Prendere i Vangeli sul serio: Chomsky a proposito della Chiesa

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di Abel Collins

Papa Francesco è sbalorditivo. Finalmente uno dei personaggi simbolo del mondo occidentale confessa i peccati del modello economico ingiusto che ci sta spingendo tutti nel baratro. E’ forse ironico che quest’uomo umile e risoluto, che ha preso possesso della Santa Sede nel bel mezzo della sua disgrazia, sia colui che si fa avanti a sollecitare l’espiazione delle nostre malefatte collettive. Ecco solo un assaggio di ciò che Papa Francesco ha da dire nel suo recente “Evangelii Gaudium” (Gioia del Vangelo):

“La sete di potere e possessi non conosce limiti. In questo sistema, che tende a divorare tutto ciò che ostacola l’accrescimento del profitto, tutto ciò che è fragile, come l’ambiente, è indifeso di fronte agli interessi di un mercato divinizzato, che diviene la sola regola.”

“Una delle cause di questa situazione va trovata nel nostro rapporto con il denaro, poiché né accettiamo tranquillamente il dominio su di noi e sulle nostre società. L’attuale crisi finanziaria può farci trascurare che essa ha avuto origine in una profonda crisi umana: la negazione del primato della persona umana! Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro (vedere Esodo 32:1-35) è tornata sotto spoglie nuove e spietate nell’idolatria del denaro e nella dittatura di un’economia impersonale priva di un verso scopo umano. La crisi mondiale che colpisce la finanza e l’economia mette a nudo gli squilibri di entrambe e, soprattutto, la loro mancanza di un vero interesse per gli esseri umani; l’uomo è ridotto a uno solo dei suoi bisogni: al consumo.”

La semplice verità di queste accuse dà loro una potenza morale. La stessa potenza che Gesù stesso esercitò nei racconti dei Vangeli. Infatti i racconti ci dicono che Gesù predicò un pacifismo radicale che elevò ed esaltò i più miseri.

L’indignazione nei confronti del sistema finanziario che le parole del Papa intimano e che la maggior parte di noi avverte, echeggia l’indignazione che indusse Cristo a rovesciare i tavoli dei cambiavalute e a cacciarli dal tempio. Così le parole di Francesco sono al tempo stesso un’espressione di fede e una testimonianza dell’ingiustizia del nostro tempo.

Non dovrebbe sorprendere troppo che questo Papa abbia portato la Chiesa cattolica in questa direzione. Papa Francesco (nato Jorge Mario Bergoglio, nel 1936, in Argentina) ha trascorso gli anni formativi della sua adolescenza, gli anni ’50 e ’60, in America Latina dove la teologia della liberazione fece presa, vitalizzando la Chiesa cattolica e influenza il Vaticano II, il concilio convocato da Papa Giovanni XXIII per modernizzare il cattolicesimo nei primi anni ’60. Anche se Giovanni, il “Papa buono”, non visse abbastanza da vedere la fine del Vaticano II, fu in grado di assicurare che i vangeli e la loro concentrazione sulla giustizia sociale fossero ripristinati come principale insegnamento della fede. Questa convalida della teologia della liberazione incoraggiò l’opera della Chiesa in America Latina e la successiva ascesa della politica radicale che premeva per la giustizia sociale per i contadini della regione.

Gli Stati Uniti finirono a collaborare con gli stati vassalli dittatoriali dell’America centrale e meridionale per reprimere la teologia della liberazione. Una violenza orribile persistette per tutti gli anni ’80 e riuscì a prevenire la maggior parte delle riforme perseguite dal movimento. Ciò nonostante gli ideali di giustizia sociale non andarono mai persi del tutto e gli USA da allora hanno cominciato a perdere influenza nella regione. Papa Francesco oggi sarà nuovamente in grado di rovesciare i tavoli?

Ho discusso una vasta gamma di argomenti con l’idolo delle mie scuole superiori, Noam Chomsky, all’inizio di ottobre. E’ stato prima della diffusione della Evangelii Gaudium, ma dopo molte parole incoraggianti di Papa Francesco sulla giustizia economica. Gli occhi di Chomsky si sono illuminati quando gli ho chiesto che cosa pensasse della direzione impressa dal nuovo papa alla Chiesa cattolica.

Essenzialmente ha ammirato la retorica del papa ma era preoccupato perché “non sta succedendo granché”.

Dobbiamo vedere se arriverà a dire alle persone che si organizzano di insistere sui loro diritti e a perseguire la via di una scelta preferenziale a favore dei poveri, a prendere i Vangeli sul serio.”

Così, anche se mi dà piacere leggere il papa che reitera la sua opposizione al modello economico attuale, io, come Chomsky, cercavo qualcosa di più. Fortunatamente è ciò che ho trovato nella Evangelii Gaudium. In realtà Francesco dedica il suo scritto più a come la Chiesa dovrebbe cambiare i propri metodi di evangelizzazione che a quali devono essere i temi dell’evangelizzazione.

“Il ministero pastorale in chiave missionaria cerca di abbandonare l’atteggiamento compiaciuto che dice: ‘Abbiamo sempre fatto così’. Invito tutti a essere audaci e creativi in questo compito di ripensamento degli obiettivi, delle strutture, delle strutture e dei metodi dell’evangelizzazione nelle comunità di ciascuno. … La cosa importante è non camminare da soli.”

Egli sottolinea la necessità di uscire dai confini delle chiese e di entrare nella comunità, incontrando le persone dove esse sono e promuovendo l’organizzazione su temi che stanno a cuore alla gente, come l’uguaglianza economica. Per come io lo interpreto, Papa Francesco sta dando al clero e ai membri laici della Chiesa il permesso di impegnarsi pienamente nella teologia della liberazione e sospetto che lo faranno. Voi no?

E questa è in realtà la questione, perché cattolici o no (quanto a me, sono quacchero) questa onestà radicale può accendere una scintilla negli occhi di tutti. Possiamo tutti prenderci quel permesso di evangelizzare sulla giustizia economica nelle nostre comunità, e la luce che getteremo indurrà altri a unirsi a noi. “La cosa importante è non camminare da soli”.

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Fonte: ZNetItaly

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Approfondimento

Teologia della liberazione

Noam Chomsky

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Documentario: “Mi chiamo Massimo e chiedo giustizia” di Dario Tepedino

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Il documentario dedicato al tragico incidente in cui ha perso la vita Massimo Casalnuovo, il meccanico ventiduenne morto a Buonabitacolo (SA) cadendo dallo scooter al presunto posto di blocco dei carabinieri la sera del 20 agosto 2011.

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Erano le 20 e 30 di due anni fa quando il giovane percorreva senza casco via Grancia evitando l’alt dell’appuntato Francesco Luca Chirichella. Il maresciallo dei carabinieri Giovanni Cunsolo allora si portava al centro della carreggiata per fermare il ragazzo che qualche secondo più tardi cadeva a terra, sbattendo il petto sullo spigolo del muretto del ponte che sovrasta il fiume Peglio.

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Dopo l’incidente si diffondono due versioni dei fatti totalmente opposte tra loro; quella dell’Arma secondo cui Massimo è caduto dopo avere cercato di investire il maresciallo e ferendolo a un piede, e quella invece di alcuni testimoni secondo cui Massimo ha sbandato a causa del calcio sferrato allo scooter dal maresciallo Cunsolo. All’ospedale di Polla comunque arrivava prima il maresciallo, mentre Massimo moriva in ambulanza.

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In 40 minuti il documentario prende in esame tutte le fasi dell’accaduto; dal primo comunicato stampa dell’Arma che incolpava Massimo di avere investito il maresciallo dei carabinieri, all’insurrezione della comunità di Buonabitacolo, le voci di Emilio Risi ed Elia Marchesano testimoni oculari dell’incidente, le istituzioni locali, gli atti di indagine della polizia giudiziaria, le perizie tecniche, fino alla battaglia portata avanti dalla famiglia Casalnuovo in questi due anni, e l’udienza preliminare che lo scorso 5 luglio ha visto assolvere il maresciallo dei carabinieri Giovanni Cunsolo, unico indagato per la morte di Massimo.

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Regia: Dario Tepedino
Testi: Elisa Ravaglia
Musiche originali: Pasquale Citera
Voce: Ivano Pelizzoni
Casa di produzione: Dadalab

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Pagina Ufficiale: massimocasalnuovo.it

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Renzi e la mutazione genetica del “partito della classe operaia”

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Il Pieraccioni della politica

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di Angelo d’Orsi

È sempre difficile, nelle analisi storiche, individuare le discontinuità nella linea del tempo: le rotture, i punti di non ritorno, insomma svolgere quel lavoro, che pure è fondamentale per chi faccia professione di storico, che si chiama periodizzazione. Esistono, certo, processi di lunga durata, e di breve periodo; ma la nostra capacità, mentre li ricostruiamo, deve essere quella di individuare delle cesure all’interno di quei processi. E giustificarle, spiegarle, o almeno tentare di darne ragione, per quanto sia possibile, ricordando sempre che nella storia agiscono tre fattori: le scelte degli individui, i contesti e il caso.

Tutta questa premessa è per arrivare a dire che non è semplice capire come nasca Matteo Renzi, che giunge oggi alla guida del Partito Democratico. Quello che mi pare chiaro è che Renzi è, per ora, il punto terminale di un tragitto costellato di vicende delle quali sono stati protagonisti, comprimari o comparse vari personaggi, figure e figuri, ora semplicemente inetti, ora più o meno squallidi, talvolta peggio.

A me pare sicuro che l’8 dicembre 2013 sarà una data periodizzante, nella futura ricostruzione storica del Pd, ma avrà dei riflessi non da poco sulla scena nazionale, altrimenti forse non varrebbe neppure la pena di discuterne tanto, come si sta facendo: purtroppo, aggiungo. Ebbene, mi pare che con Renzi, si sia compiuta definitivamente, la mutazione genetica del “partito della classe operaia”, del partito che ha guidato l’opposizione al fascismo prima, la Resistenza al nazifascismo dopo, del partito che più di ogni altro ha contribuito alla identità della Repubblica a cominciare dalla stesura della sua Carta costituzionale, del partito che ha difeso i ceti subalterni, del partito che ogni volta si è battuto per frenare le derive autoritarie della DC, o di contrastare l’altra deriva, quella terroristica, del partito che di fatto ha svolto il compito di una onesta classe dirigente democratica, quel compito che i democratico-cristiani con la pletora di partiti e partitini satelliti non ha mai pienamente saputo svolgere, anzi, sovente cedendo a tentazioni di tutt’altro genere.

Insomma, la mutazione politica, culturale, sociale (ossia dei ceti di riferimento), e, persino, antropologica, è compiuta, è arrivata a una meta. Diceva Walter Veltroni, in un memorabile (in senso negativo) discorso del 2000, in occasione dei cinquant’anni della Fondazione intestata ad Antonio Gramsci: “Noi non siamo più a metà del guado, la nostra traversata è compiuta. Gramsci non ci appartiene più: siamo arrivati a Rosselli”. Al di là dell’ignoranza del poveretto (nel ’37, quando morirono entrambi, variamente uccisi dal fascismo, Rosselli era, in certo senso, persino più a sinistra di Gramsci!), non c’è dubbio che Gramsci non appartenga più ai suoi pretesi eredi: e per fortuna! Del partito di Gramsci (e di Bordiga, non dimentichiamolo!), di Togliatti, di Berlinguer, nel PD che oggi viene consegnato, a furor di popolo, all’oscuro Matteo Renzi, non rimane alcunché. La “trasformazione” è compiuta.

Ora si provvederà alla “rottamazione”, in nome di inquietanti e ambigue parole d’ordine che richiamano il giovanilismo fascistoide, ma anche il “novitismo” dei forzitalioti, e di tutti i loro sodali politici, e dei loro tristi ideologi che per decenni hanno cantato le lodi del cambiamento: oggi, ricordiamolo, la destra è per il cambiamento. È una destra all’attacco, con vesti diverse, ma la sostanza è la stessa: cancellare il welfare state, rimovendo ogni ostacolo sul cammino che conduce a tanto nobile obiettivo: e la Costituzione è l’ostacolo n. 1.

La creazione del PD, dopo la “svolta” nefasta della Bolognina (e non c’è dubbio che quell’atto, di cui non era a conoscenza praticamente nessun dirigente del Pci), guidata dall’improvvido nocchiero Achille Occhetto (vi ricordate di lui?), con il grottesco abbraccio con i resti della DC e delle frattaglie residue del PSI (una parte), fu l’esito di un processo di metamorfosi il cui risultato estremo, dopo gli ulteriori guasti compiuti da D’Alema, Fassino, Veltroni (soprattutto), Bersani, e l’imbarazzante, ultima gestione di Epifani, è il Pieraccioni della politica, il berluschino Renzi. Che vincesse era scontato; che stravincesse no. E nella sua vittoria hanno giocato non soltanto le miserie della classe politica (specie quella nuova, devo dire) del PD, ma i cambiamenti stessi della politica, sempre all’insegna della modernizzazione e del “cambiamento”.

Del “nuovo”: e Renzi, occorre riconoscerlo, ha saputo perfettamente interpretare il ruolo. Populismo di tipo modernizzatore, a differenza di quello volgare di un Grillo (ma la sostanza non cambia), aderenza alle posizioni confindustriali su economia, scuola, diritti del lavoro, welfare, immigrazione, sistema elettorale (basti pensare all’apologia del “maggioritario”), eccetera. In realtà Renzi di programmi non ne ha: parla molto per non dire nulla, ma quel nulla lo dice bene, in modo che piaccia al suo popolo, ma non dispiaccia ai ceti dominanti e alle loro agenzie di comunicazione. Il suo è lo smalto sul nulla per citare un verso di Gottfried Benn.

Ma ora la sinistra, quel che ne rimane, dovrà pure fare una riflessione seria, che, oggi, appare drammaticamente urgente. E tentare di ripartire, se ne ha le forze, subito. Un lato positivo forse, peraltro, forse c’è: che farà quel 30% del PD che non è per Renzi? A chi mi accuserà di rimpiangere il bel tempo antico, replicherò, come la mitica Edith Piaf: “No, non rimpiango nulla”. Invece, constato l’ennesimo atto di una catastrofe. Ma come ci insegna la tragedia greca dalla catastrofe si può rinascere.

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Fonte: MicroMega

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