Monthly Archives: Marzo 2013

Hugo Chávez, la leggenda del Liberatore del XXI secolo

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Hugo Chávez

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Hugo Chávez non è stato un dirigente come tanti nella storia della sinistra. È stato uno di quei dirigenti politici che segnano un’intera epoca storica per il suo paese, il Venezuela, e per la patria grande latinoamericana. Soprattutto, però, ha incarnato l’ora del riscatto per la sinistra dopo decenni di sconfitte, l’ora delle ragioni della causa popolare dopo la lunga notte neoliberale.

L’America nella quale il giovane Hugo iniziò la sua opera era solo apparentemente pacificata dalla cosiddetta “fine della storia”. Questa, in America latina, non era stata il trionfo della libertà come nell’Europa dove cadeva il muro di Berlino. Era stata invece imposta nelle camere di tortura, con i desaparecidos del Piano Condor e con la carestia indotta dal Fondo Monetario Internazionale. Il migliore dei mondi possibili lasciava all’America latina un ruolo subalterno e ai latinoamericani la negazione di diritti umani e civili essenziali. Carlos Andrés Pérez, da vicepresidente dell’Internazionale socialista in carica, massacrava nell’89 migliaia di cittadini inermi di Caracas per ottemperare ai voleri dell’FMI. L’America che oggi lascia Hugo Chávez, ad appena 58 anni, è un continente completamente diverso. È un continente in corso di affrancamento da molte delle sue dipendenze storiche e rinfrancato da una crescita costante che, per la prima volta, è stata sistematicamente diretta a ridurre disuguaglianze e garantire diritti.

Non voglio tediare il lettore e citerò solo un paio di dati indispensabili. Nella Venezuela “saudita”, quella considerata una gran democrazia e un modello per l’FMI, ma dove i proventi del petrolio restavano nelle tasche di pochi, i poveri e gli indigenti erano il 70% (49 e 21%) della popolazione. Nel Venezuela bolivariano del “dittatore populista” Chávez ne restano meno della metà (27 e 7%). A questo dato affianco la moltiplicazione del 2.300% degli investimenti in ricerca scientifica e il ricordo che, con l’aiuto decisivo di oltre 20.000 medici cubani, è stato costruito da zero un sistema sanitario pubblico in grado di dare risposte ai bisogni di tutti.

Oggi che il demonio Chávez è morto, è sotto gli occhi di chiunque abbia l’onestà intellettuale di ammetterlo cosa hanno rappresentato tre lustri di chavismo: pane, tetto e diritti. Gli osservatori onesti, a partire dall’ex-presidente statunitense Jimmy Carter, che gli ha rivolto un toccante messaggio di addio, riconoscono in Chávez il sincero democratico e il militante che si è dedicato fino all’ultimo istante «all’impegno per il miglioramento della vita dei suoi compatrioti». No, Jimmy Carter non è… chavista. Semplicemente è intellettualmente onesto ed è andato a vedere. Tutto il resto, la demonizzazione, la calunnia sfacciata, la rappresentazione caricaturale, è solo squallida disinformazione.

Chávez entra oggi nella storia ed è già leggenda perché ha mantenuto i patti e fatto quello che è l’essenza dell’idea di sinistra: lottare con ogni mezzo per la giustizia sociale, dare voce a chi non ha voce, diritti a chi non ha diritti, raggiungendo straordinari risultati concreti. In questi anni ha cento volte errato perché cento volte ha fatto in un paese terribilmente difficile come il Venezuela. Ha chiamato il suo cammino “socialismo”, proprio per sfidare il pensiero unico che quel termine demonizzava. Chávez diventa così leggenda perché, in pace e democrazia, ha realizzato quello che è il dovere di qualunque dirigente socialista: prendere la ricchezza dov’è, nel caso del Venezuela nel petrolio, e investirla in beneficio delle classi popolari. Lo ha fatto al di là della retorica rivoluzionaria, propria di anni caldissimi di lotta politica, da formichina riformista. Utilizzo il termine “riformista” sapendo che a molti, sia apologeti che critici, non piace pensare che Chávez non sia stato altro che un riformista, ma radicale, in grado di raggiungere risultati considerati impossibili sulla base di defaticanti trattative e su politiche basate sulla ricerca del consenso e sulla partecipazione. Chávez è già leggenda perché ha piegato al gioco democratico un’opposizione indotta, in particolare da George Bush e José María Aznar (molto meno da Obama), all’eversione, esplicitatasi nel fallito golpe dell’11 aprile 2002 quando un popolo intero lo riportò a Miraflores e nella susseguente serrata golpista di PDVSA, la compagnia petrolifera nazionalizzata. È il controllo di quest’ultima ad aver garantito la cassaforte di politiche sociali generose.

È questo che la sinistra da operetta europea non ha mai perdonato a Chávez. Per la sinistra europea l’America latina è un remoto ricordo di gioventù, non un continente parte della nostra stessa storia. È troppo facile archiviare la presunta anomalia chavista, che è quella di un Continente, l’America latina dove destra e sinistra hanno più senso che mai, ed è necessario schierarsi, come un’utopia da chitarrate estive, Intillimani e hasta siempre comandante. È troppo scomodo riconoscerne la prassi politica nelle due battaglie storiche che Hugo Chávez ha incarnato: la lotta di classe, che portò Chávez, il ragazzo di umili origini che per studiare poteva fare solo il militare o il prete, a scegliere di stare dalla parte degli umili, e quella anticoloniale che ha preso forma nel processo d’integrazione del Continente.

Il consenso, la partecipazione al progetto chavista, si misura proprio nella vigenza, nelle classi medie e popolari venezuelane, di un pensiero contro-egemonico rispetto a quello liberale dell’imperio dell’economia sulla politica. I latinoamericani hanno maturato nei decenni scorsi solidi anticorpi in merito. Chávez ha catalizzato tali anticorpi riportando in auge il ruolo della lotta di classe nella Storia, la continuità della lotta anticoloniale, perché i “dannati della terra” continuano ad esistere e a risiedere nel Sud del mondo e non bastano 10 o 15 anni di governo popolare per sanare i guasti di 500 anni. Lo accusano di aver usato a fini di consenso la polemica contro gli Stati Uniti. C’è del vero, ma non è stato Chávez a tentare sistematicamente di rovesciare il presidente degli Stati Uniti e non è il dito di Chávez ad oscurare la luna di rapporti diseguali e ingiusti tra Nord e Sud del mondo.

Si conceda a chi scrive il ricordo dell’intervista quasi visionaria che Chávez mi concesse a fine 2004 proprio sul tema della Patria grande latinoamericana. Sento ancora la forza del suo abbraccio al momento di salutarci. Con lui c’erano Lula e Néstor Kirchner, anch’egli scomparso neanche sessantenne nel momento di massima lucidità politica, dopo aver liberato l’Argentina dalla morsa dell’FMI e restaurato lo Stato di diritto in grado di processare i violatori di diritti umani. Poi vennero Evo Morales e tutti gli altri dirigenti protagonisti della primavera latinoamericana. A Mar del Plata nel 2005 tutti insieme sconfissero il progetto criminale di George Bush che con l’ALCA voleva trasformare l’intera America latina in una maquiladora al servizio della competizione globale degli USA contro la Cina. Dire “no” agli USA: qualcosa d’impensabile!

Adesso, seppellita la pietra dello scandalo Chávez, tutti sono certi che l’anomalia rientrerà, che Nicolás Maduro non sarà all’altezza, che il partito socialista esploderà per rivalità personali e che la storia riprenderà il proprio corso come se Hugo non fosse mai esistito. Chissà; ma cento volte nell’ultimo decennio i venezuelani e i latinoamericani hanno dimostrato di ragionare con la loro testa. Hanno dimostrato di non voler tornare al modello che hanno vissuto per decenni e che oggi sta divorando il sud dell’Europa. La forza del Brasile di Dilma come potenza regionale ha superato con successo vari esami di legittimazione. Il processo d’integrazione appare un fatto irreversibile che fa da pilastro all’impedire il ritorno del «Washington consensus». No, una semplice restaurazione non è all’ordine del giorno anche se dovesse cambiare il segno politico del governo venezuelano, cosa improbabile sul breve termine, anche per l’enorme emotività causata dalla scomparsa di un leader così popolare.

Da oggi qualunque governo venezuelano e latinoamericano si dovrà misurare con la leggenda di Chávez, il presidente invitto, quattro volte rieletto dal suo popolo, in grado di sopravvivere a golpe e complotti, che aveva tutti i media contro e che solo il cancro ha sconfitto. Di dirigenti come lui o Néstor Kirchner non ne nascono tanti e il futuro non è segnato. Ma il suo lascito è enorme ed è un patrimonio che resta nelle mani del popolo.

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Fonte: Giornalismo partecipativo

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Pedofilia: lista della “sporca dozzina” di cardinali non papabili

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Lo SNAP (la Rete dei superstiti vittime di abusi da sacerdoti) rende pubblico, in una riunione tenutasi oggi a Roma  al  The Orange Hotel davanti alla stampa internazionale, l’elenco della “dirty dozen” ovvero “sporca dozzina” di cardinali non papabili. L’elenco include Presuli di dieci nazioni: Honduras, Messico, Canada, Ghana, Australia, Italia, Argentina, Repubblica Ceca e Stati Uniti. Tre cardinali della lista sono stati fortemente e recentemente criticati dallo  SNAP (Turkson, Mariadeiga, e Dolan). Di questi ultimi il più compromesso, secondo lo SNAP  è Dolan, cardinale di New York. Egli avrebbe pensato di pagare i preti pedofili in cambio del loro silenzio e dell’abbandono della chiesa.

Ecco, secondo l’associazione, l’elenco dei cardinali non papabili:

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Norberto Rivera Carrera (Messico)

Oscar Rodriguez Maradiaga (Honduras)

Timothy Dolan (New York)

Angelo Scola (Italia)

George Pell (Australia)

Dominik Duka (Rep.Ceca)

Tarcisio Bertone (Italia)

Donald Wuerl (Washington D.C.)

Marc Ouellet (Quebec Canada)

Sean O’Malley (Boston)

Leonardo Sandri (Argentina)

Peter Turkson (Ghana).

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C’è da aggiungere che sempre secondo lo SNAP ci sarà una dura opposizione per alcuni cardinali considerati papabili. L’opposizione  è dovuta all’insabbiamento dei casi o alla protezione dei pedofili. L’elenco dei papabili contestati:

Connell (Irlanda), Brady (Irlanda), O’Brien (Scozia), Sodano (Italia), Re (Italia), Danneels (Belgio) ed i seguenti degli Stati Uniti: Egan, Rigali, Burke, Legge, Maida , Levada, Mahony, e O’Brien.

Infine, lo SNAP chiude la conferenza stampa sottolineando che lo scandalo ancora non è venuto completamente alla luce. Secondo Barbara Doris e David Clohessy,  leader dell’associazione,  ciò che si è scoperto fino ad oggi è solo la punta dell’iceberg.

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Fonte: SNAP ITALY – Victims release “dirty dozen” list   –   ITALY – “No one from Curia should be made pope,” victims say

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Approfondimento

Pedofilia e chiesa cattolica

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Napoli 10 marzo 2013: Flash Mob Citta’ della Scienza

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Incendio Città della Scienza

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“Notte insonne. Per la mia Napoli stavolta. Città della Scienza in fiamme, distrutta. Quando ho visto la prima foto, ieri sera, ho pensato ad uno scherzo. Mi ricordava la coreografia del San Paolo. Pochi istanti per capire che, ahimè, era amara realtà. Un duro colpo a Napoli e ai napoletani . Quale è il significato? Perché? Al momento ci leggo una matrice malavitosa. Nuovi appalti in scadenza, nuove opere da realizzare. Una sfida alle istituzioni, una sfida alla parte sana dei napoletani. Possiamo restare inermi ad osservare e subire l’ennesimo affronto? Credo di no. Credo sia giunto il momento di dire BASTA.

BASTA a chi vuole depredarci ancora.

BASTA a chi continua a rubarci il futuro.

BASTA a chi continua a giocare con le nostre vite. La parte sana dei napoletani deve dire BASTA.

L’incendio di ieri sera non solo ha distrutto Città della Scienza ma bensì la nostra voglia di rinascere e a questo dobbiamo ribellarci. Riguarda tutti noi. Nessuno escluso. Dobbiamo capire che è un attacco a tutti i napoletani. A tutti quelli che ogni giorno con fatica lavorano e vivono nella città di Napoli e nella sua provincia. Il mio appello va a tutti i cittadini per bene, che per fortuna sono la maggioranza, spesso dietro le quinte per paura. Paura della sopraffazione violenta di questi BASTARDI che speculano sul nostro quotidiano. Imprenditori, commercianti, operai, impiegati, studenti, disoccupati, anziani, casalinghe, a TUTTI. Tutti noi dobbiamo comprendere che è il momento di fare fronte unico e riprenderci la nostra città. Pretendere dalle istituzioni atti concreti. Che rompano, una volta per tutte, gli accordi di non belligeranza sottoscritti decenni fa, se non addirittura secoli. Napoli ha già dato, troppo. Mai come in questo caso è e deve essere funzionale il detto “L’Unione fa la Forza”. Senza retorica. Agli amici avvocati chiedo di studiare se vi è la possibilità di costituirci parte civile per una causa contro ignoti, dove TUTTI i napoletani possono richiedere un risarcimento per danni alla propria sopravvivenza. Inoltre, come primo atto lancerei un Flash Mob da tenersi lì, sulle ceneri di Città della Scienza. Può sembrare inutile ma credo simbolico. Senza bandiere, senza appartenenze politiche. Solo il cuore napoletano. Al grido di “Napoli Risorgerà”. Sì, Risorgerà. Lo meritiamo. Lo dobbiamo pretendere. Pensavo al giorno 10 marzo, ore 11:00. Cosa ne pensate? Date il Vostro contributo. Fate girare.

Una NAPOLETANA, orgogliosa di esserlo, molto INCAZZATA!”

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NAPOLI Città della Scienza
domenica 10 marzo 2013
Flash Mob dalle ore 12.00

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Qui la pagina Facebook per aderire al Flash Mob

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Per contribuire alla ricostruzione di Città della Scienza è disponibile il conto corrente, intestato a Fondazione Idis Città della Scienza – IBAN IT41X0101003497100000003256 – causale Ricostruire Città della Scienza – questo è l’unico conto corrente dove esprimere il nostro sostegno alla Città della Scienza!

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Approfondimento  (Ki)

Comunicato  Fondazione IDIS Città della Scienza

Città della Scienza

Immagini

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