Tag Archives: venezuela

Cuba, Venezuela, il maestro Abbado e “L’altra voce della musica”

.

.

Maestro Abbado in Venezuela

Maestro Abbado in Venezuela

.

Il maestro Abbado, Cuba, Venezuela

.

di Marzio Castagnedi*

Il maestro Claudio Abbado, scomparso a Bologna a ottant’anni, non solo è stato uno dei più grandi direttori d’orchestra del mondo ma anche uomo di cultura a tutto tondo particolarmente sensibile al lato sociale e umano dell’arte musicale. Quindi, oltre alla grande carriera concertistica e alle famose direzioni storiche alla Scala di Milano o coi Berliner Filarmoniker, oggi vogliamo ricordare quì due speciali attività negli ultimi dieci anni portate a conclusione da Abbado a Cuba e in Venezuela che, pare, siano poco tenute a mente da grande stampa e tv italiane.

Vidi arrivare il maestro Abbado all’Avana due volte, nel 2003 e 2004, e fermarsi nel tiepido inverno cubano per oltre un mese a cavallo del capodanno, e andai qualche volta alle prove nel moderno auditorio Amedeo Roldàn dove il geniale maestro italiano dirigeva una grande orchestra di 70 elementi,  tutti giovani strumentisti cubani impegnati nella creazione di una grande orchestra sinfonica giovanile latinoamericana. Scattai qualche foto e pochi minuti di video durante una sessione di quelle prove dove un Abbado autorevole ma affabile dirigeva, insegnava e commentava le varie partiture coi giovani allievi. C’era abbastanza gente in quella occasione ad ascoltare nella platea del Roldàn, ma ce ne fu moltissima di più (almeno due  milioni di telespettatori) quando uno stupendo concerto ,tenuto sempre al teatro Roldàn , venne trasmesso su Cubavisiòn , la rete ammiraglia della tv cubana nel programma “La grande scena”.

Ancora lunghi e scroscianti applausi Claudio Abbado li ricevette qualche tempo dopo, nel maggio 2004, da più di mille entusiasti studenti all’ISA de L’Avana (Instituto Superior de Arte),  mentre  riceveva dall’allora ministro della cultura Abel Prieto Jimènez la più alta onorificenza social-culturale cubana intitolata all’eroe nazionale Josè Martì.  Negli anni seguenti, 2005 e 2006, Abbado spostò a Caracas, la fase conclusiva della selezione e definitiva creazione della grande orchestra sinfonica giovanile Latinoamericana.

Il Venezuela del presidente Hugo Chàvez  in quel tempo era in pieno, nuovo e positivo fermento sociale e culturale col fiorire delle note “missioni” in atto a favore dei grandi strati popolari poveri e bisognosi.  Erano in svolgimento importanti campagne di sviluppo pubblico dell’ assistenza medica, della scolarizzazione, della nutrizione, dello sport e della cultura. Tutte poderose iniziative di massa cui collaborava in modo fondamentale Cuba inviando nell’alleato paese sudamericano diverse migliaia di medici, professori, allenatori.

In Venezuela esisteva già nell’educazione musicale il ” metodo Abreu” (fondato da un esperto e valoroso musicista venezuelano), ma col rilancio sostenuto da quel particolare momento storico, la pratica musicale dallo studio di base fino agli alti livelli di perfezionamento aveva avuto un fortiissimo e nuovo impulso. In Caracas erano state create, in decine di barrios, centinaia di orchestre musicali classiche e sinfoniche: c’erano quelle dei bambini fino a diec’anni, poi degli adolescenti fino a 15, poi quelle giovanili fino ai 21, poi ancora quelle dei musicisti gia adulti e formati. Una cosa davvero eccezionale. E lì non poteva non andare ad immergersi non solo un grande artista ma anche uno straordinario uomo di cultura come Abbado. A Caracas ultimò il lavoro iniziato all’Avana costruendo in modo definitivo la straordinaria Orchestra sinfonica giovanile Latinoamericana. Non a caso negli anni seguenti fu chiamato tra i migliori direttori d’orchestra della Scala di Milano, il trentenne venezuelano Dudamel emerso in un’altra bella formazione venezuelana ,l’Orchestra Simòn Bolìvar.  Ecco,tra le altre attività concertistiche dei primi anni 2000, il percorso latinoamericano di Claudio Abbado che già aveva svolto simile lavoro formatore in Europa creando altre orchestre giovanili come la famosta “Mozart”.

Chissà se i media italiani ricorderanno anche questo lavoro di Abbado a Cuba e in Venezuela ?  Difficile a dirsi, specie se si ricorda un’ intervista apparsa sul Corriere della Sera di qualche anno fa. Chiede, l’ignaro cronista, ad Abbado a Milano: ” ma scusi, maestro, come mai lei va a svolgere attività artistiche in città come Caracas ?”. Risposta secca. ” Perchè laggiù posso ascoltare e valutare 200 orchestre giovanili !”.Ha dichiarato più volte infine Claudio Abbado: ” Le attività artistiche e in particolare la musica, se sostenute e adeguatamente diffuse possono sensibilmente contribuire anche al riscatto sociale e civile di frange di popolazioni prima tenute in condizioni di abbandono”. E’ chiara la lezione non solo artistica ma anche etica (ed ecologica) del gigante Claudio Abbado? Anche quì ci sfiorano dei dubbi. Come quando il Maestro, a compenso di un importante concerto, chiese all’allora sindaco di Milano signora Letizia Moratti, di non voler nulla per sè, bensì che fossero piantati nella città 20mila alberi.   Non avvenne.

* corrispondente di Radio Città Aperta dall’Avana

.

Fonte: Contropiano.org

.

.

 

 


WikiLeaks rivela la strategia dell’ ambasciata USA per destabilizzare il governo Chavez

.

wikileaks-venezuela-3-86239_186x186

.

Reference id 06CARACAS3356 aka Wikileaks id #85138  ? 
Subject Usaid/oti Programmatic Support For Country Team 5 Point Strategy
Origin Embassy Caracas (Venezuela)
Cable time Thu, 9 Nov 2006 15:03 UTC
Classification SECRET
Source http://wikileaks.org/cable/2006/11/06CARACAS3356.html
History

 

.

In un cablogramma i segreti americani pubblicati online da Wikileaks, l’ex ambasciatore in Venezuela, William Brownfield, delinea un piano globale per infiltrarsi e destabilizzare il governo dell’ex presidente Hugo Chavez.

Inviato nel novembre del 2006 da Brownfield – ora Assistente Segretario di Stato – il documento dell’ambasciata conteneva cinque obiettivi fondamentali per il Venezuela del 2004. Gli obiettivi erano:

penetrare nella base politica di Chavez

dividere lo chavismo

protezione vitale degli affari USA

isolare Chavez a livello internazionale.

La nota, che sembra essere totalmente non-omissis, è chiara: nella realizzazione dei cinque punti è coinvolta l’ambasciata degli Stati Uniti, così come l’Agenzia Statunitense per lo Sviluppo Internazionale (USAID) e l’Ufficio di Iniziative di Transizione (OTI), due delle più prestigiose agenzie che lavorano all’estero per conto degli Stati Uniti.

Secondo Brownfield, che ha preparato il cablogramma specifico per US Southern Command (SOUTHCOM), la “maggioranza” delle attività di USAID e OTI in Venezuela sono state quelle di assistere l’ambasciata a realizzare i suoi obiettivi fondamentali e di infiltrazione per sottomettere il partito politico di Chavez ‘:

Questo obiettivo strategico rappresenta la maggior parte del lavoro in Venezuela dell’USAID / OTI. La società civile organizzata è un pilastro sempre più importante per la democrazia, quella in cui il presidente Chavez non è stato ancora in grado di avere il pieno controllo.

In pratica, l’USAID ha speso circa un milione di dollari per organizzare 3000 forum finalizzati essenzialmente a riconciliare i sostenitori di Chavez con l’opposizione politica, nella speranza di allontanare lentamente i sostenitori dal movimento Bolivariano.

Brownfield a un certo punto si è vantato di un programma dell’ OTI di educazione civica denominata “La democrazia in mezzo a noi”, che ha cercato di lavorare con le ONG nelle regioni a basso reddito, e che avrebbe presumibilmente raggiunto oltre 600.000 venezuelani.

In totale, tra il 2004 e il 2006, l’USAID ha donato circa 15 milioni di dollari a più di 300 organizzazioni, ed ha offerto assistenza tecnica tramite l’OTI nel raggiungimento degli obiettivi degli Stati Uniti e che li ha classificati come diretti a rafforzare le istituzioni democratiche.

Gran parte degli sforzi sono stati fatti per evidenziare i casi di violazioni dei diritti umani, e per sponsorizzare attivisti e membri dell’opposizione politica a partecipare alle riunioni all’estero per esprimere le loro preoccupazioni contro l’amministrazione Chavez:

Finora, l’OTI ha inviato leader delle ONG venezuelani in Turchia, Scozia, Messico, Repubblica Dominicana, Cile, Uruguay, Washington e Argentina (due volte) per parlare della legge. Prossime visite sono previste per il Brasile, il Messico e la Colombia.

Nelle sue osservazioni conclusive, Brownfield ha evidenziato che, se il Presidente Chavez viene rieletto nelle elezioni del dicembre 2006, l’OTI prevede che “l’atmosfera per il nostro lavoro in Venezuela” può diventare molto complicato.

In definitiva, sembra che la nota dell’ex ambasciatore abbia saggiamente previsto il rischio del cambiamento. Infatti, dopo la sua rielezione, nel 2007, il presidente Chavez ha minacciato di espellere l’ambasciatore degli Stati Uniti dal Venezuela accusandolo di interferire negli affari di stato interni.

.

Fonte: RT QUESTION MORE

.

.


Hugo Chávez, la leggenda del Liberatore del XXI secolo

.

Hugo Chávez

.

di

Hugo Chávez non è stato un dirigente come tanti nella storia della sinistra. È stato uno di quei dirigenti politici che segnano un’intera epoca storica per il suo paese, il Venezuela, e per la patria grande latinoamericana. Soprattutto, però, ha incarnato l’ora del riscatto per la sinistra dopo decenni di sconfitte, l’ora delle ragioni della causa popolare dopo la lunga notte neoliberale.

L’America nella quale il giovane Hugo iniziò la sua opera era solo apparentemente pacificata dalla cosiddetta “fine della storia”. Questa, in America latina, non era stata il trionfo della libertà come nell’Europa dove cadeva il muro di Berlino. Era stata invece imposta nelle camere di tortura, con i desaparecidos del Piano Condor e con la carestia indotta dal Fondo Monetario Internazionale. Il migliore dei mondi possibili lasciava all’America latina un ruolo subalterno e ai latinoamericani la negazione di diritti umani e civili essenziali. Carlos Andrés Pérez, da vicepresidente dell’Internazionale socialista in carica, massacrava nell’89 migliaia di cittadini inermi di Caracas per ottemperare ai voleri dell’FMI. L’America che oggi lascia Hugo Chávez, ad appena 58 anni, è un continente completamente diverso. È un continente in corso di affrancamento da molte delle sue dipendenze storiche e rinfrancato da una crescita costante che, per la prima volta, è stata sistematicamente diretta a ridurre disuguaglianze e garantire diritti.

Non voglio tediare il lettore e citerò solo un paio di dati indispensabili. Nella Venezuela “saudita”, quella considerata una gran democrazia e un modello per l’FMI, ma dove i proventi del petrolio restavano nelle tasche di pochi, i poveri e gli indigenti erano il 70% (49 e 21%) della popolazione. Nel Venezuela bolivariano del “dittatore populista” Chávez ne restano meno della metà (27 e 7%). A questo dato affianco la moltiplicazione del 2.300% degli investimenti in ricerca scientifica e il ricordo che, con l’aiuto decisivo di oltre 20.000 medici cubani, è stato costruito da zero un sistema sanitario pubblico in grado di dare risposte ai bisogni di tutti.

Oggi che il demonio Chávez è morto, è sotto gli occhi di chiunque abbia l’onestà intellettuale di ammetterlo cosa hanno rappresentato tre lustri di chavismo: pane, tetto e diritti. Gli osservatori onesti, a partire dall’ex-presidente statunitense Jimmy Carter, che gli ha rivolto un toccante messaggio di addio, riconoscono in Chávez il sincero democratico e il militante che si è dedicato fino all’ultimo istante «all’impegno per il miglioramento della vita dei suoi compatrioti». No, Jimmy Carter non è… chavista. Semplicemente è intellettualmente onesto ed è andato a vedere. Tutto il resto, la demonizzazione, la calunnia sfacciata, la rappresentazione caricaturale, è solo squallida disinformazione.

Chávez entra oggi nella storia ed è già leggenda perché ha mantenuto i patti e fatto quello che è l’essenza dell’idea di sinistra: lottare con ogni mezzo per la giustizia sociale, dare voce a chi non ha voce, diritti a chi non ha diritti, raggiungendo straordinari risultati concreti. In questi anni ha cento volte errato perché cento volte ha fatto in un paese terribilmente difficile come il Venezuela. Ha chiamato il suo cammino “socialismo”, proprio per sfidare il pensiero unico che quel termine demonizzava. Chávez diventa così leggenda perché, in pace e democrazia, ha realizzato quello che è il dovere di qualunque dirigente socialista: prendere la ricchezza dov’è, nel caso del Venezuela nel petrolio, e investirla in beneficio delle classi popolari. Lo ha fatto al di là della retorica rivoluzionaria, propria di anni caldissimi di lotta politica, da formichina riformista. Utilizzo il termine “riformista” sapendo che a molti, sia apologeti che critici, non piace pensare che Chávez non sia stato altro che un riformista, ma radicale, in grado di raggiungere risultati considerati impossibili sulla base di defaticanti trattative e su politiche basate sulla ricerca del consenso e sulla partecipazione. Chávez è già leggenda perché ha piegato al gioco democratico un’opposizione indotta, in particolare da George Bush e José María Aznar (molto meno da Obama), all’eversione, esplicitatasi nel fallito golpe dell’11 aprile 2002 quando un popolo intero lo riportò a Miraflores e nella susseguente serrata golpista di PDVSA, la compagnia petrolifera nazionalizzata. È il controllo di quest’ultima ad aver garantito la cassaforte di politiche sociali generose.

È questo che la sinistra da operetta europea non ha mai perdonato a Chávez. Per la sinistra europea l’America latina è un remoto ricordo di gioventù, non un continente parte della nostra stessa storia. È troppo facile archiviare la presunta anomalia chavista, che è quella di un Continente, l’America latina dove destra e sinistra hanno più senso che mai, ed è necessario schierarsi, come un’utopia da chitarrate estive, Intillimani e hasta siempre comandante. È troppo scomodo riconoscerne la prassi politica nelle due battaglie storiche che Hugo Chávez ha incarnato: la lotta di classe, che portò Chávez, il ragazzo di umili origini che per studiare poteva fare solo il militare o il prete, a scegliere di stare dalla parte degli umili, e quella anticoloniale che ha preso forma nel processo d’integrazione del Continente.

Il consenso, la partecipazione al progetto chavista, si misura proprio nella vigenza, nelle classi medie e popolari venezuelane, di un pensiero contro-egemonico rispetto a quello liberale dell’imperio dell’economia sulla politica. I latinoamericani hanno maturato nei decenni scorsi solidi anticorpi in merito. Chávez ha catalizzato tali anticorpi riportando in auge il ruolo della lotta di classe nella Storia, la continuità della lotta anticoloniale, perché i “dannati della terra” continuano ad esistere e a risiedere nel Sud del mondo e non bastano 10 o 15 anni di governo popolare per sanare i guasti di 500 anni. Lo accusano di aver usato a fini di consenso la polemica contro gli Stati Uniti. C’è del vero, ma non è stato Chávez a tentare sistematicamente di rovesciare il presidente degli Stati Uniti e non è il dito di Chávez ad oscurare la luna di rapporti diseguali e ingiusti tra Nord e Sud del mondo.

Si conceda a chi scrive il ricordo dell’intervista quasi visionaria che Chávez mi concesse a fine 2004 proprio sul tema della Patria grande latinoamericana. Sento ancora la forza del suo abbraccio al momento di salutarci. Con lui c’erano Lula e Néstor Kirchner, anch’egli scomparso neanche sessantenne nel momento di massima lucidità politica, dopo aver liberato l’Argentina dalla morsa dell’FMI e restaurato lo Stato di diritto in grado di processare i violatori di diritti umani. Poi vennero Evo Morales e tutti gli altri dirigenti protagonisti della primavera latinoamericana. A Mar del Plata nel 2005 tutti insieme sconfissero il progetto criminale di George Bush che con l’ALCA voleva trasformare l’intera America latina in una maquiladora al servizio della competizione globale degli USA contro la Cina. Dire “no” agli USA: qualcosa d’impensabile!

Adesso, seppellita la pietra dello scandalo Chávez, tutti sono certi che l’anomalia rientrerà, che Nicolás Maduro non sarà all’altezza, che il partito socialista esploderà per rivalità personali e che la storia riprenderà il proprio corso come se Hugo non fosse mai esistito. Chissà; ma cento volte nell’ultimo decennio i venezuelani e i latinoamericani hanno dimostrato di ragionare con la loro testa. Hanno dimostrato di non voler tornare al modello che hanno vissuto per decenni e che oggi sta divorando il sud dell’Europa. La forza del Brasile di Dilma come potenza regionale ha superato con successo vari esami di legittimazione. Il processo d’integrazione appare un fatto irreversibile che fa da pilastro all’impedire il ritorno del «Washington consensus». No, una semplice restaurazione non è all’ordine del giorno anche se dovesse cambiare il segno politico del governo venezuelano, cosa improbabile sul breve termine, anche per l’enorme emotività causata dalla scomparsa di un leader così popolare.

Da oggi qualunque governo venezuelano e latinoamericano si dovrà misurare con la leggenda di Chávez, il presidente invitto, quattro volte rieletto dal suo popolo, in grado di sopravvivere a golpe e complotti, che aveva tutti i media contro e che solo il cancro ha sconfitto. Di dirigenti come lui o Néstor Kirchner non ne nascono tanti e il futuro non è segnato. Ma il suo lascito è enorme ed è un patrimonio che resta nelle mani del popolo.

.

.

Fonte: Giornalismo partecipativo

.

.