Daily Archives: 04/08/2012

Non è più possibile dire che non sapevamo

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DA: A.L.F. Fronte Liberazione Animale:

Preghiamo la ATTENTA e completa lettura e la massima divulgazione..

Neuroscienziati riconoscono la coscienza nei mammiferi e uccelli.
“Un polpo ha 500 miliardi di neuroni (gli esseri umani ne hanno 100 miliardi)”

La sofferenza degli animali è stata riconosciuta a livello scientifico…
una verità scomoda….

Sabato scorso in una conferenza a Cambridge neuroscienziati di tutto il mondo hanno firmato una petizione che indica che tutti i mammiferi, uccelli e altre creature, tra cui i polpi, hanno una coscienza.

Il Neuroscienziato canadese Philip Low spiega perché i ricercatori si sono riuniti per firmare una dichiarazione che riconosce l’esistenza della coscienza in tutti i mammiferi e come questa scoperta potrebbe avere un impatto sulla società.

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Philip Low, “Tutti i mammiferi e gli uccelli sono coscienti.”

Low è un ricercatore presso la Stanford University e il MIT (Massachusetts Institute of Technology), entrambi i luoghi si trovano negli Stati Uniti. Lui e altri 25 ricercatori ritengono che le strutture cerebrali che producono la coscienza negli esseri umani esistono anche negli animali. “Le aree del cervello che ci distinguono dagli altri animali sono quelli che producono la coscienza”, dice Low, che ha dato la seguente intervista a un sito web:

Intervistatore: Gli studi sul comportamento animale hanno sostenuto che gli animali vari hanno un certo grado di coscienza. Cosa le neuroscienze dicono in proposito?

Low: Abbiamo trovato che le strutture che ci distinguono dagli altri animali, come la corteccia cerebrale, non sono responsabili per la manifestazione della coscienza. In breve, se il resto del cervello responsabile per la coscienza e queste strutture sono simili tra gli esseri umani e altri animali come i mammiferi e gli uccelli, possiamo concludere che questi animali sono anche consapevoli.

Intervistatore: Quali animali hanno una coscienza?

Low: Sappiamo che tutti i mammiferi, tutti gli uccelli e molte altre creature, come il polpo, sono dotate di strutture nervose che producono coscienza.
Ciò significa che questi animali soffrono.
Si tratta di una verità scomoda: è sempre stato facile dire che gli animali non hanno coscienza. Ora abbiamo un gruppo di autorevoli neuroscienziati che studiano il fenomeno della coscienza, comportamento animale, la rete neurale, anatomia e genetica del cervello. Non si può dire che non sapevamo.

Intervistatore: E ‘possibile misurare la somiglianza tra la coscienza di mammiferi e uccelli e gli esseri umani?

Low: Questa domanda è stata lasciata aperta sul documento. Non abbiamo un indicatore, data la natura del nostro approccio. Sappiamo che ci sono diversi tipi di coscienza. Possiamo dire, tuttavia, che la capacità di sentire piacere e dolore nei mammiferi e nell’uomo è molto simile.

Intervistatore: Che tipo di comportamento animale sostiene l’idea che essi hanno la coscienza?

Low: Quando un cane ha paura o di dolore o di gioia nel vedere il suo padrone, si attivano nel cervello come le strutture che si attivano negli esseri umani, quando ci mostriamo la paura, dolore e piacere. Un comportamento molto importante è il riconoscimento di sé allo specchio. Tra gli animali che possono, oltre che gli esseri umani, sono i delfini, scimpanzé, bonobo, cani e una specie di uccello chiamato pica-pica.

Intervistatore: Quali vantaggi potrebbero derivare da una comprensione della coscienza negli animali?

Low: C’è una certa ironia. Spendiamo un sacco di soldi cercando di trovare vita intelligente fuori dal pianeta, mentre siamo qui, circondato da intelligenza cosciente del pianeta stesso. Se si considera che un polpo – che ha 500 miliardi di neuroni (gli esseri umani hanno 100 miliardi) – si capisce che il polpo ha coscienza, siamo molto più vicini alla produzione di una coscienza sintetica di quanto pensassimo.

Intervistatore: Qual è l’ambizione di questo studio? Sarà che i neuroscienziati sono diventati membri del movimento per i diritti degli animali?

Low: Si tratta di una questione delicata. Il nostro ruolo come scienziati non è quello di convincere la società, ma rendere pubblico quello che abbiamo trovato. La società avrà ora una discussione su ciò che sta accadendo e può decidere se fare leggi nuove, ulteriori ricerche per capire la coscienza degli animali o di proteggerli in qualche modo. Il nostro ruolo è quello di presentare i dati.

Intervistatore: Quale impatto avranno queste scoperte su di lei?

Low: Diventerò vegetariano. E ‘impossibile non essere toccati da questa nuova percezione degli animali, in particolare sulla loro esperienza di sofferenza. Sarà difficile, perché amo il formaggio.

Intervistatore: Cosa può cambiare con questa scoperta?

Low: I dati sono inquietanti, ma molto importanti. In definitiva, penso che la società dovrà contare meno sugli animali. Sarà meglio per tutti.
Lasciate che vi faccia un esempio. Il mondo spende 20 miliardi di dollari uccidendo 100 milioni di animali vertebrati nella ricerca medica. La probabilità che un farmaco proveniente da questi studi sia efficace negli esseri umani è del 6%.
Si tratta di una possibilità terribile. Un primo passo è di sviluppare metodi non invasivi. Non occorre uccidere una vita per studiare la vita.
Penso che dobbiamo fare appello al nostro ingegno e sviluppare migliori tecnologie che rispettano la vita degli animali. Dobbiamo mettere la tecnologia in grado di servire i nostri ideali, piuttosto che competere con loro.

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Fonte: http://veja.abril.com.br/noticia/ciencia/nao-e-mais-possivel-dizer-que-nao-sabiamos-diz-philip-low

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La nostra rovina economica è libertà per i super-ricchi

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di George Monbiot  – The Guardian

Il modello è morto, lunga vita al modello. I programmi d’austerità stanno prolungando la crisi che dovevano risolvere, tuttavia i governi si rifiutano di abbandonarli. La Gran Bretagna offre un esempio efficace. I tagli, prometteva la coalizione, sarebbero stati dolorosi ma avrebbero funzionato. Sono dolorosi, altroché, e ci hanno spinto in una doppia recessione.

Il risultato era stato ampiamente previsto. Se si taglia la spesa governativa e il reddito dei poveri durante una crisi economica, è probabile che la si renda peggiore. Ma la settimana scorsa David Cameron ha insistito a dire che “andremo avanti e completeremo il lavoro”, mentre il cancelliere ha sostenuto che il governo ha “un piano credibile e ci stiamo attenendo ad esso.”

Sorgono due domande. La prima è familiare: perché la reazione del pubblico a quest’attacco alla vita pubblica e al benessere pubblico è stata così tiepida? Dove sono le massicce e prolungate proteste che ci saremmo potuti aspettare? Ma l’altra domanda è ugualmente sconcertante: dov’è l’élite economica?

Certamente la classe imprenditoriale e i super-ricchi  – gli unici che il governo ascolta – possono vedere che queste politiche stanno distruggendo i mercati da cui dipende la loro ricchezza. Certamente sono in grado di capire che questo capitalismo da terra bruciata sta fallendo persino nei suoi stessi termini.

Per capire quest’enigma dovremmo in primo luogo capire che quel che è presentato come un programma economico è, di fatto, un programma politico. E’ l’attuazione di una dottrina: una dottrina chiamata neoliberalismo. Come ogni credo, esiste nella sua forma pura soltanto nei cieli; quando riportata sulla terra si trasforma in qualcosa di diverso.

I neoliberali affermano che abbiamo maggiori vantaggi massimizzando la libertà del mercato e minimizzando il ruolo dello stato. Il libero mercato, lasciato a sé stesso, produrrà efficienza, scelta e prosperità. Il ruolo del governo dovrebbe essere limitato alla difesa, a proteggere la proprietà, a impedire monopoli e a rimuovere le barriere alle attività economiche. Tutti gli altri compiti sarebbe meglio fossero affidati alle imprese private. La ricerca di una purezza da anno zero del mercato è stata abbastanza pericolosa nella teoria: distorta dalle sporche realtà della vita sulla terra è devastante per il benessere sia del popolo sia del pianeta.

Come dimostra Colin Crouch in ‘The Strange Non-Death of Neoliberalism’ [La strana non-morte del neoliberalismo] lo stato e il mercato non sono, come insistono i neoliberali, in perpetuo conflitto. Si sono invece uniti a difesa delle richieste delle mega-imprese.

Quando lo stato taglia i regolamenti e le provvidenze sociali, il mondo degli affari si arricchisce. Esso usa la sua ricchezza per calpestare la stessa dottrina che l’ha arricchito. Mediante finanziamenti alle campagne elettorali, facendo rete e mediante attività di lobby, le grandi imprese arruolano lo stato perché si faccia campione dei loro interessi. In Gran Bretagna le imprese hanno esercitato pressioni per programmi di privatizzazione che sostituissero i monopoli pubblici con quelli privati. Hanno anche persuaso il governo a creare piani ibridi (come l’iniziativa della finanza privata) che garantiscano finanziamenti statali alle imprese. Negli stati uniti le mega-imprese hanno convinto il Congresso a rimuovere i regolamenti chiave che disciplinavano i revisori e le banche. Ciò ha portato prima agli scandali Enron e WorldCom, e poi alla crisi finanziaria.

Le grandi imprese hanno usato il loro potere per convincere lo stato a lasciarle continuare a scaricare i loro costi ambientali sul resto di noi. Hanno indebolito le leggi antitrust. Hanno escluso nuovi ingressi sul mercato (mediante i loro investimenti pubblicitari e le loro reti di distribuzione) e sono diventate grandi abbastanza da impedire la propria uscita anche quando falliscono (si vedano i salvataggi delle banche). Questi sono i risultati delle politiche neoliberali che Cameron sta applicando, ma che sono in grave contrasto con le previsioni fatte dai neoliberali su come dovrebbero comportarsi i liberi mercati.

Soprattutto, il programma neoliberale ha precluso le scelte politiche. Se il mercato, come insiste la dottrina, è l’unico valido fattore decisivo per stabilire come si evolvono le società e il mercato è dominato dalle mega-imprese, allora quello che la società riceve è quello che vuole la grande industria. Si può costatare questa squallida realtà nel discorso di Cameron della scorsa settimana. “Abbiamo ascoltato quello che vogliono le imprese e stiamo provvedendo. Le imprese hanno detto: ‘Vogliano trattamenti fiscali competitivi’, e dunque stiamo creando il regime fiscale per le imprese più competitivo in tutto il G20 e le aliquote fiscali a carico delle imprese più basse del G7 …”  E il resto di noi? Non abbiamo voce in capitolo?

L’ipotesi neoliberale è stata smentita in modo spettacolare. Lungi dall’autoregolarsi, i mercati non vincolati sono stati salvati dal crollo solo dall’intervento del governo e da massicce iniezioni di denaro pubblico. Lungi dal produrre la prosperità universale, i tagli governativi ci hanno spinto ancor più profondamente nella crisi. E tuttavia questa stessa crisi è ora usata come scusa per applicare la dottrina ancor più ferocemente di prima.

E dunque dov’è l’élite economica? A contare i soldi che ha accumulato in paradisi fiscali non regolamentati. Trent’anni di neoliberalismo hanno consentito ai super-ricchi di distaccarsi dalle vite degli altri in misura tale che la crisi economica li tocca a malapena. Si può considerare ciò come un altro fallimento del mercato. Anche se sono toccati, i ricchi sono indubbiamente pronti a pagare un prezzo economico per i vantaggi politici – libertà dalle restrizioni della democrazia – che la dottrina offre.

Un programma che prometteva libertà e scelta ha invece prodotto qualcosa che assomiglia a un capitalismo totalitario, in cui nessuno può dissentire dalla volontà del mercato e in cui il mercato è diventato un eufemismo per la grande impresa. Offre libertà, poco ma sicuro, ma solo a quelli che stanno al vertice.

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Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo   www.znetitaly.org

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2012 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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La risposta a Monti della “Generazione perduta”

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Da:  Generazione perduta

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Il Manifesto della Generazione Perduta

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Noi siamo la generazione perduta. Quei 30-40enni italiani per i quali – come ha di recente confermato il Presidente Monti – lo Stato non potrebbe far altro che limitare i danni. Perché è ormai troppo tardi per offrirci speranze e futuro.

Siamo consapevoli – e ce lo ha ricordato lo stesso Premier – che le responsabilità di questa situazione sono di un’altra generazione: quella alla quale appartiene buona parte della classe dirigente che negli ultimi venti anni ha guidato questo Paese.

Oggi i quasi dieci milioni di italiani che appartengono alla nostra generazione vengono considerati “perduti” ed invitati ad accettare con rassegnazione un destino senza speranze né futuro. E padri senza futuro non possono generare figli capaci di averne.

Praticamente, il risultato di un esperimento dall’esito fallimentare, che ha avuto per laboratorio il Paese intero e noi come cavie. Dieci milioni di vittime sono un bilancio inaccettabile per il Paese, rispetto al quale è necessario interrogarsi sulle reali responsabilità di chi ha prodotto questo disastro.

Eppure non ci sentiamo “perduti”. Né abbiamo voglia di rassegnarci ad un destino che altri hanno scritto per noi, anche se siamo consapevoli che molti di noi per troppo tempo hanno atteso che ’altri’ si occupassero dei nostri problemi.

Per questo motivo, siamo convinti che non possono essere gli stessi che ci hanno condotto sin qui a farci uscire da questo guado, soprattutto se la loro più elevata ambizione è quella di ’limitare i danni’.

È arrivato il momento, prima che sia davvero troppo tardi, di ritrovarci, contarci ed aggregarci attorno ad alcune parole chiave, cinque tag dai quali ripartire.

La nostra non è una iniziativa finalizzata a creare un’associazione o un movimento politico. Nè cerchiamo o vogliamo padrini di alcun tipo. Siamo professionisti, dirigenti, giornalisti, docenti, ricercatori, imprenditori, cocopro, che non vogliono – e, visti i risultati, non possono – delegare ancora ad altri il compito di scrivere il proprio futuro e quello dell’Italia.

Vogliamo impegnarci, ciascuno nel proprio ambito di competenza, a scrivere per noi e per il Paese un destino diverso rispetto a quello al quale chi ci ha governato sin qui ci vorrebbe inesorabilemnte condannati, perché siamo convinti di essere una risorsa per il Paese troppo a lungo ignorata e sacrificata.

Servono, probabilmente, poche parole, tanta buona volontà, speranze ed ottimismo. Doti che, evidentemente, non appartengono più a chi ci vorrebbe convincere che il miglior futuro possibile per noi sia la limitazione dei danni.

Ecco le parole per raccontare quello che vogliamo e che faremo.

1. Rispetto

È innanzi tutto quello che chiediamo a chi ci ha condotto a questa situazione ed oggi pretende di tenerci ancora ai margini delle decisioni che riguardano il nostro presente ed il nostro futuro, e quindi quello del Paese, raccontando che per noi è troppo tardi per fare qualsiasi cosa. Rispetto è quello che diamo e promettiamo alle generazioni che ci hanno preceduto, ma alle quali chiediamo ora di passare il testimone. Senza ’guerre generazionali’ ma seguendo il normale ordine delle cose.

2. Merito

Non chiediamo favori o ’quote giovani’ che tanti danni hanno già fatto al Paese. Vogliamo impegnarci per l’affermazione di una vera cultura del merito che premi i migliori e porti con sé un’etica delle responsabilità per la quale essere giovani non debba essere un vantaggio, ma non rappresenti nemmeno un ostacolo. Un Paese che non si doti delle necessarie regole per garantire il merito, oggi rinuncia alle migliori energie ed idee che ha a disposizione. Non perde solo una generazione, ma perde sé stesso.

3. Impegno

Vogliamo recuperare la dimensione perduta dell’impegno. Quella dimensione che ci porta ad essere cittadini attivi nel lavoro, nella società, nella famiglia. È una dimensione troppo spesso dimenticata in questo Paese in favore proprio di quei disvalori (clientelismo, corruzione, lottizzazioni) che ci hanno condotto nella situazione attuale.

4. Progetto

Abbiamo voglia di recuperare progettualità individuale e collettiva. La prima che ci permetta di avere un mutuo, comprare casa, fare figli. La seconda che ci consenta di disegnare il Paese che vogliamo: più moderno, solidale, competitivo. In grado di superare le contingenze guardando sempre al proprio futuro con un obiettivo chiaro.

5. Fiducia

Siamo stanchi di facili disfattismi e diagnosi che, sottraendoci la speranza, ci negano la possibilità di progettare e sognare. Abbiamo deciso di avere fiducia in noi stessi perché siamo convinti di essere una risorsa per il Paese e chiediamo fiducia per non essere considerati prima eterni ragazzi che non sono ancora pronti, e poi errori di percorso da non ripetere e che basta dare per persi.

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Se credi anche tu nei principi del Manifesto della Generazione Perduta, aderisci al nostro appello… Firma il Manifesto!

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