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TYLER: l’alternativa di Anonymous a WikiLeaks (intervista esclusiva)

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«Anonymous» lancia la piattaforma TYLER

di John Robles

Il gruppo «Anonymous» ha fissato il 21 dicembre 2012 come data di lancio di TYLER, una nuova piattaforma online sicura, economica e decentralizzata, per la pubblicazione di importanti informazioni che i governi di diversi Paesi nascondono ai propri cittadini.

In un’intervista esclusiva un rappresentante del gruppo Anonymous ha parlato al corrispondente de «La Voce della Russia» John Robles del conflitto al centro del quale si trovano le tecniche di raccolta fondi e la mancanza di trasparenza dei rendiconti finanziari di WikiLeaks.

Perchè le strade di Anonymous e di WikiLeaks si sono divise?

– Il nucleo del nostro conflitto erano le tecniche di raccolta di fondi usate da Wikileaks e la scarsa trasparenza dei loro rendiconti finanziari.

Ci sono state dichiarazioni che Anonymous fosse intenzionato a pubblicare informazioni segrete su WikiLeaks, può parlarne più dettagliatamente?

– La nostra organizzazione pubblicherà la lista dettagliata di quelle che consideriamo violazioni dal puno di vista etico da parte di WikiLeaks. Si tratta di informazioni interne a WikiLeaks, che sono trapelate e di cui noi siamo al corrente. Un’organizzazione che pretende trsaparenza per il mondo dovrebbe quantomeno essere trasparente lei stessa.

Come influirebbe su Julian Assange e sulla sua condizione attuale un eventuale fallimento di WikiLeaks?

– Bisogna prima di tutto definire che cosa sia WikiLeaks. La stampa diffonde il mito che WikiLeaks sia un’enorme squadra di attivisti che prendono tutte le decisioni per il bene dell’organizzazione, ma non è per niente così. WikiLeaks è il business editoriale di Julian Assange, che lo ha creato, gestito e autarchicamente amministrato. WikiLeaks e Assange sono la stessa cosa. Julian aveva già minacciato di chiudere il progetto, visto che la raccolta di fondi non corrispondeva alle aspettative. È stato proprio allora che la nostra organizzazione ha iniziato a progettare la creazione di proprie piattaforme per la divulgazione di materiale segreto. Per Julian WikiLeaks è molto importante, ed è l’unico che può chiudere il progetto. Fino a che si troverà in condizioni economiche difficili però non lo farà, nonostante assicuri di farlo. Sorge però spontanea la domanda: che cosa ne sarà di WikiLeaks se Julian se ne andrà? Penso sarebbe la fine di WikiLeaks.

In che cosa TYLER sarà migliore di WikiLeaks?

– TYLER è una fra le piattaforme creata da Anonymous. Esiste il progetto Par-Anoia. L’anno scorso abbiamo lanciato LocalLeaks e HackerLeaks per sostenere il Peoples Liberation Front. Ognuna di queste piattaforme ha i propri punti forti e tutte sono fondamentali per la missione di Anonymous, trovare un modo affidabile, economico e decentralizzato di rivelazione delle informazioni. Quello che rende TYLER unica è che non ha un server stazionario, ma utilizza il principio della rete decentralizzata, basato sulla parità di diritto degli utenti. Teoricamente questo la rende simile a BitCoin o ad altre piattaforme P2P, che non possono essere attaccate o chiuse. Ovviamente verrà decentralizzata con estrema cautela.

Perchè la scelta del 21 dicembre 2012?

– La data è stata scelta perchè corrisponde alla profezia Maya della fine del mondo. È puramente a scopo di marketing, non crediamo in questo mito.

Che cosa ne è di quei membri di Anonymous che sono stati accusati negli Stati Uniti? Dove si trovano e come procede il loro processo?

– Tutti i membri del gruppo Anonymous 16 negli Stati Uniti sono stati accusati di aver preso parte agli attacchi DdoS (Denial of Service) a siti politici. Uno è stato accusato di aver organizzato e gestito gli attacchi alle azioni in rete della rock star Gene Simmons, dei Kiss, che sostiene attivamente le leggi contro la pirateria. Non so quale tribunale abbia preso in carico la causa, ma Simmons si è giustamente copiaciuto dell’arresto di questa persona. L’attivista Christopher Mark Doyon è stato accusato di aver organizzato e preso parte al DdoS delle campagne nella regione di Santa Cruz (California), in risposta alle azioni di oppressione dei partecipanti alle proteste locali. Il suo processo è stato sospeso in conseguenza alla sua fuga in Canada, dove ha chiesto asilo politico.

Altri 14 attivisti ogni tanto si chiamano PayPal 14. Sono tutti accusati del famoso attacco DdoS a PayPal in difesa di WikiLeaks. Il processo nei loro confronti viene in ogni modo ritardato dalle procure americane.

Jerremy Hammond, presunto membro dell’equipe di hacker LulzSec/AntiSec e di Anonymous, è ritenuto responsabile dell’attacco al server della compagnia privata Stratfor, che si occupa di raccolta e analisi di informazioni, e dell’intercettazione di dati per posta elettronica. Questi materiali ora si trovano su WikiLeaks. Ad Hammond è proibito uscire su cauzione e il suo caso viene esaminato a rilento. L’hacker AntiSec, famoso con il nome di Neuron, si è recentemente dichiarato colpevole dell’attacco alla Sony nel 2011. È in attesa di giudizio. Esistono altri casi di cui non so nulla, compreso quello di LulzSec e dell’altra squadra di hacker CabinCrew.

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Fonte: La Voce della Russia

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Approfondimento

Video:   Anonymous – TYLER / Project Mayhem 2012 #PM2012

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Anonymous attacca Wikileaks

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Anonymous, scontro sulle donazioni di Wikileaks

Il gruppo hacktivista contro una finestra pop-up affiancata all’ultimo pacchetto di file sulle presidenziali statunitensi. Il sito si difende: non costringiamo alle donazioni

di Mauro Vecchio

È aperta la battaglia del paywall, scatenata dal celebre collettivo hacker Anonymous contro gli amici delle soffiate, accusati di aver inserito una finestra pop-up per chiedere donazioni agli utenti del web. Uno scontro che ha fatto molto rumore, dati gli ottimi rapporti finora mantenuti con la piattaforma di Julian Assange. Gli Anonimi hanno infatti chiesto ai netizen di non versare nemmeno un soldo per il sostentamento di Wikileaks.

Nella giornata di ieri, il sito delle soffiate pubblicava i cosiddetti Global Intelligence Files (GI Files), un pacchetto contenente svariate migliaia di email scambiate nella sfida elettorale tra i democratici di Barack Obama e i repubblicani di Mitt Romney. Nei GI Files, oltre 5 milioni di messaggi di posta elettronica della società d’intelligence privata Stratfor, già al servizio di grandi multinazionali e dello stesso governo statunitense.

A scatenare la furia degli hacktivisti, una finestra pop-up impossibile da rimuovere, attivata ad ogni tentativo di visualizzazione del nuovo pacchetto di file. Una campagna contenente un video YouTube per “votare Wikileaks”, ovviamente mettendo mano al portafogli per una donazione tra i 15 e i 100 dollari. Per Anonymous, un vero e proprio paywall, un attacco alla libera informazione che corre sul web.

Immediata la risposta del sito di Assange, che ha sottolineato come una condivisione social non rappresenti affatto un paywall. L’attesa imposta agli utenti per la visualizzazione dei file non andrebbe a minare la libera informazione. Per gli hacktivisti, l’immediato reindirizzamento degli utenti verso la pagina delle donazioni non rappresenta la giusta strategia per il sostentamento della piattaforma delle soffiate.

È chiaro che Wikileaks ha un disperato bisogno di finanziamenti, soprattutto dopo il blocco dei canali di pagamento imposto da giganti del credito come Visa e Mastercard. Gli stessi Anonimi erano intervenuti con violenti attacchi DDoS per difendere il sito delle soffiate. Pare che gli stessi responsabili di Wikileaks abbiano deciso di rimuovere la finestra pop-up, lasciando i link per la visione del video e dell’intera campagna per le donazioni al sito.

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Fonte:  Punto Informatico

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La caccia ad Assange: aggressione alla libertà e parodia di giornalismo

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di John Pilger

La minaccia del governo britannico di invadere l’ambasciata ecuadoriana di Londra per catturare Julian Assange è di portata storica. David Cameron, l’ex uomo delle pubbliche relazioni di un imbonitore televisione e venditore di armi agli sceicchi, è ben piazzato per non onorare le convenzioni internazionali che hanno protetto i britannici in luoghi di rivolta. Proprio come l’invasione dell’Iraq da parte di Tony Blair ha condotto direttamente agli atti di terrorismo a Londra del 7 luglio 2005, così Cameron e il Segretario agli Esteri William Hague hanno compromesso la sicurezza delle rappresentanze britanniche nel mondo.

Minacciando di abusare di una legge mirata ad espellere gli assassini dalle ambasciate straniere e diffamando nel frattempo un innocente definendolo “presunto criminale”, Hague ha fatto della Gran Bretagna lo zimbello del mondo, anche se la sua opinione è prevalentemente celata in Gran Bretagna. Gli stessi giornali e le stesse emittenti coraggiose che hanno appoggiato la parte svolta dalla Gran Bretagna in epici crimini sanguinari, dal genocidio in Indonesia all’invasione dell’Iraq e dell’Afghanistan, ora attaccano “i precedenti nel campo dei diritti umani” dell’Ecuador, il cui vero delitto consiste nell’opporsi ai prepotenti di Londra e Washington.

E’ come se la plaudente religiosità olimpica sia stata sovvertita nel giro di una notte da un’esibizione rivelatrice di criminalità coloniale. Testimoni l’ufficiale dell’esercito e giornalista della BBC Mark Urban che “intervista” un ragliante sir Christopher Meyer, ex apologeta di Blair a Washington, all’esterno dell’Ambasciata ecuadoriana, la coppia eruttante pomposa indignazione nazionalistica per il fatto che l’introverso Assange e il non intimidito Rafael Correa osino denunciare il sistema di potere rapace dell’occidente. Un simile affronto appare vivido nelle pagine del Guardian, che ha consigliato Hague di essere “paziente” e che attaccare l’ambasciata avrebbe fatto “più danni del necessario”. Assange non è un rifugiato politico, ha dichiarato il Guardian, perché “né la Svezia né la Gran Bretagna deporterebbero in nessun caso qualcuno che potesse essere sottoposto a tortura o condannato a morte.”

L’irresponsabilità di questa dichiarazione è coerente con il perfido ruolo svolto dal Guardian nell’intero affare Assange. Il giornale sa benissimo che i documenti diffusi da WikiLeaks indicano che la Svezia si è costantemente sottomessa alle pressioni degli Stati Uniti in questioni di diritti civili. Nel dicembre 2001 il governo svedese ha sbrigativamente revocato lo status di rifugiato politico a due egiziani, Ahmed Agiza e Mohammed el-Zari, che sono stati consegnati alla squadra sequestri della CIA all’aeroporto di Stoccolma e “restituiti” all’Egitto, dove sono stati torturati. Un’indagine del difensore civico svedese per la giustizia ha rilevato che il governo aveva “gravemente violato” i diritti umani dei due uomini. In un dispaccio del 2009 dell’ambasciata USA ottenuto da WikiLeaks, intitolato “WikiLeaks mette la neutralità nel cestino della storia”, la vantata reputazione di neutralità dell’élite svedese è denunciata come una mistificazione. Un altro dispaccio statunitense rivela che “la misura della collaborazione [dell’esercito e dei servizi segreti svedesi con la NATO] non è diffusamente nota” e se non tenuta segreta “esporrebbe il governo a critiche all’interno”.

Il ministro degli esteri svedese, Carl Bildt, ha svolto un ruolo eminente, tristemente noto, nel Comitato per la Liberazione dell’Iraq di George Bush e mantiene rapporti stretti con l’estrema destra del Partito Repubblicano.  Secondo l’ex direttore svedese della pubblica accusa, Sven-Erik Alhem, la decisione della Svezia di perseguire l’estradizione di Assange per accuse di molestie sessuali è “irragionevole e non professionale, nonché scorretta e sproporzionata”.  Essendosi reso disponibile all’interrogatorio Assange ha avuto il permesso di lasciare la Svezia per recarsi a Londra dove, di nuovo, si è offerto per essere interrogato. A maggio, in un giudizio finale d’appello sull’estradizione, la Corte Suprema britannica ha introdotto un’ulteriore farsa facendo riferimento ad “accuse” inesistenti.

Ad accompagnare il tutto c’è stata una campagna di vituperazione personale contro Assange. Gran parte di essa proviene dal Guardian che, come un amante respinto, si è rivoltato con la sua ex fonte assediata avendo enormemente approfittato delle rivelazioni di WikiLeaks. Senza che un solo penny andasse ad Assange o a WikiLeaks, un libro del Guardian ha portato a un lucroso accordo cinematografico con Hollywood. Gli autori, David Leigh e Luke Harding, insultano gratuitamente Assange come “personalità lesionata” e “insensibile”. Rivelano anche la password segreta che egli aveva dato confidenzialmente al giornale, intesa a proteggere un file digitale contenente i dispacci dell’ambasciata USA. Il 20 agosto Harding era all’esterno dell’ambasciata ecuadoriana gongolando sul suo blog che “Scotland Yard può ridere per ultima”. E’ ironico, anche se del tutto inappropriato, che un editoriale del Guardian che dà il più recente calcio ad Assange abbia un’inquietante somiglianza con il prevedibile accresciuto fanatismo della stampa di Murdoch sullo stesso tema. Come svanisce la gloria di Leveson, Hackgate e dell’onorevole giornalismo indipendente!

I suoi aguzzini fanno della persecuzione di Assange un punto d’onore. Non accusato di alcun crimine, non è un fuggiasco dalla giustizia. I documenti del caso svedese, compresi i messaggi delle donne coinvolte, dimostrano a qualsiasi persona imparziale l’assurdità delle accuse sessuali, denunce quasi interamente immediatamente scartate dal procuratore capo di Stoccolma, Eva Finne, prima dell’intervento di un politico, Claes Borgstrom. All’udienza preliminare di Bradley Manning, un inquirente dell’esercito statunitense ha confermato che lo FBI stava segretamente mettendo nel mirino i “fondatori, proprietari o gestori di WikiLeaks” per accusarli di spionaggio.

Quattro anni fa un documento scarsamente notato del Pentagono, fatto trapelare da WikiLeaks, descriveva come WikiLeaks e Assange sarebbero stati distrutti da una campagna di fango che avrebbe portato all’”incriminazione penale”. Il 18 agosto il Sidney Morning Herald ha scoperto, in documenti diffusi in base alla legge sulla libertà d’informazione, che il governo australiano aveva ricevuto ripetutamente conferma che gli Stati Uniti stavano conducendo una caccia “senza precedenti” ad Assange e non aveva sollevato obiezioni.  Tra i motivi dell’Ecuador per concedere l’asilo c’è l’abbandono di Assange “da parte dello stato di cui è cittadino”. Nel 2010 un’indagine della polizia federale australiana ha rilevato che Assange e WikiLeaks non avevano commesso alcun crimine. La sua persecuzione è un attacco a noi tutti e alla libertà.

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/the-pursuit-of-julian-assange-is-an-assault-on-freedom-and-a-mockery-of-journalism-by-john-pilger

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2012 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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Approfondimento (madu)

Wikileaks: la vera storia della pubblicazione senza filtri degli archivi

La guerra a #WikiLeaks – John Pilger intervista Julian #Assange

WikiLeaks – Bradley Manning per la nomination al premio Nobel per la Pace 2012

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