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Le 10 Prime Pagine che hanno fatto il giro del mondo nel 2012

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by pedroelrey

233 Grados, “superblog” specializzato sull’attualità dei media e del mondo editoriale, ha pubblicato prima di Natale le 10 prime pagine che hanno fatto il giro del mondo per la loro rilevanza o anche per le polemiche che hanno generato.

Nella speciale classifica, che in qualche modo riassume anche l’anno informativo, figura la copertina del settimanale satirico francese «Charlie Hebdo» che ridicolizzava il profeta Mahoama e che generò proteste e violenze nel mondo arabo e, sempre per restare in Francia, la prima pagina di «Liberation» che a caratteri cubitale “consigliava” a Bernard Arnault “chasse-toi riche con” [vattene ricco coglione], o ancora la recente prima pagina del «New York Post» che decise di mettere a tutta pagina la foto di un uomo che stava per essere investito dalla metropolitana.

Il podio della classifica, il primo posto spetta però ad «Il Giornale» del 3 agosto di quest’anno che sopra la fotografia delprimo ministro tedesco Angela Merkel recava a caratteri cubitali la scritta “quanto reich” con chiaro riferimento al nazismo e che ovviamente fece infuriare i tedesci e fu ripreso in tutto il mondo non esattamente come esempio di eccellenza giornalistica, per usare un eufemismo.

No comment!

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Fonte:  giornalaio.wordpress.com

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“Girlfriend in a coma” docu-film di Bill Emmott sull’Italia in coma

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Mala Italia o Buona Italia. Il nostro si sa è il paese delle contraddizioni e dei paradossi per eccellenza. Divisi tra genio e malvagità, arte e ignoranza, malasanità ed eccellenza, le criticità del Belpaese si sono acutizzate e sono venute alla luce in modo chiaro e delineato negli ultimi cinque anni, come esempio lampante della crisi che sta agonizzando l’Europa. L’Italia, che è entrata a fare parte della temuta zona di confine in cui sono relegati i cosiddetti Pigs (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna), sta attraversando un momento difficile. Eppure a sentir parlare chi annovera qualche primavera in più, la situazione del paese di Dante e Leonardo è sempre stata al limite e mai del tutto prospera. Tuttavia i nostri genitori sembrano essere sopravvissuti tutti, accumulando una buona ricchezza privata, superiore alla media europea. Forse in Italia si tende a pensare che “in fondo si stava meglio quando si stava peggio”e non è escluso che tra vent’anni ricorderemo questo inizio millennio proprio seguendo lo stesso spirito.

Per criticare l’Italia non bisogna poi metterci molto impegno, forse anche perché i primi accusatori feroci del modo in cui funzionano le cose nel nostro paese, siamo noi stessi. Ciò nonostante sembra che le disapprovazioni e le analisi non bastino mai e c’è sempre qualcuno pronto a ritornare sul discorso mafia, criminalità, politica scadente, corruzione, assenteismo, immoralità. Mali atavici che purtroppo caratterizzano l’Italia già prima del 1861, ma che tuttavia non hanno impedito lo sviluppo ( seppur non avendone consentito tutto il potenziale) delle arti, dei migliori cervelli in giro per il mondo, dell’industria, dell’impresa, che raggiungono in ogni campo livelli d’eccellenza.

A ricordarci che gli italiani devo risollevarsi da soli e indipendentemente da questa situazione di stasi ci ha pensato stavolta l’ex caporedattore dell’Economist, Bill Emmott, che ispirandosi al suo libro “Good Italy, Bad Italy” ha realizzato un docu-film dedicato al nostro paese dal titolo “Girlfriend in a coma”. Già dal titolo e dal trailer, la trama che il documentario intende perseguire è abbastanza chiara. Si susseguono diverse interviste ad attori, giornalisti, imprenditori, che raccontano la situazione di dissesto, ma di enorme potenziale inespresso che caratterizzano l’Italia. Una panoramica realizzata attraverso una raccolta di punti di vista, alcuni speranzosi, altri dubbiosi e scoraggiati. Un film per farci riflettere ancora una volta sui nostri limiti e capacità.

Giudicate voi se ne avevamo bisogno oppure no, a fronte degli avvenimenti che si sono susseguiti in Italia negli ultimi dodici mesi. Certo la strada è ancora lunga, ma per percorrerla più in fretta non dovremmo forse smetterla di rimuginare nel passato? “Cosa fatta capo ha”, tanto vale imparare dall’esperienza per evitare gli stessi errori.

TRAILER

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Fonte:  TAFTER

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La caccia ad Assange: aggressione alla libertà e parodia di giornalismo

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di John Pilger

La minaccia del governo britannico di invadere l’ambasciata ecuadoriana di Londra per catturare Julian Assange è di portata storica. David Cameron, l’ex uomo delle pubbliche relazioni di un imbonitore televisione e venditore di armi agli sceicchi, è ben piazzato per non onorare le convenzioni internazionali che hanno protetto i britannici in luoghi di rivolta. Proprio come l’invasione dell’Iraq da parte di Tony Blair ha condotto direttamente agli atti di terrorismo a Londra del 7 luglio 2005, così Cameron e il Segretario agli Esteri William Hague hanno compromesso la sicurezza delle rappresentanze britanniche nel mondo.

Minacciando di abusare di una legge mirata ad espellere gli assassini dalle ambasciate straniere e diffamando nel frattempo un innocente definendolo “presunto criminale”, Hague ha fatto della Gran Bretagna lo zimbello del mondo, anche se la sua opinione è prevalentemente celata in Gran Bretagna. Gli stessi giornali e le stesse emittenti coraggiose che hanno appoggiato la parte svolta dalla Gran Bretagna in epici crimini sanguinari, dal genocidio in Indonesia all’invasione dell’Iraq e dell’Afghanistan, ora attaccano “i precedenti nel campo dei diritti umani” dell’Ecuador, il cui vero delitto consiste nell’opporsi ai prepotenti di Londra e Washington.

E’ come se la plaudente religiosità olimpica sia stata sovvertita nel giro di una notte da un’esibizione rivelatrice di criminalità coloniale. Testimoni l’ufficiale dell’esercito e giornalista della BBC Mark Urban che “intervista” un ragliante sir Christopher Meyer, ex apologeta di Blair a Washington, all’esterno dell’Ambasciata ecuadoriana, la coppia eruttante pomposa indignazione nazionalistica per il fatto che l’introverso Assange e il non intimidito Rafael Correa osino denunciare il sistema di potere rapace dell’occidente. Un simile affronto appare vivido nelle pagine del Guardian, che ha consigliato Hague di essere “paziente” e che attaccare l’ambasciata avrebbe fatto “più danni del necessario”. Assange non è un rifugiato politico, ha dichiarato il Guardian, perché “né la Svezia né la Gran Bretagna deporterebbero in nessun caso qualcuno che potesse essere sottoposto a tortura o condannato a morte.”

L’irresponsabilità di questa dichiarazione è coerente con il perfido ruolo svolto dal Guardian nell’intero affare Assange. Il giornale sa benissimo che i documenti diffusi da WikiLeaks indicano che la Svezia si è costantemente sottomessa alle pressioni degli Stati Uniti in questioni di diritti civili. Nel dicembre 2001 il governo svedese ha sbrigativamente revocato lo status di rifugiato politico a due egiziani, Ahmed Agiza e Mohammed el-Zari, che sono stati consegnati alla squadra sequestri della CIA all’aeroporto di Stoccolma e “restituiti” all’Egitto, dove sono stati torturati. Un’indagine del difensore civico svedese per la giustizia ha rilevato che il governo aveva “gravemente violato” i diritti umani dei due uomini. In un dispaccio del 2009 dell’ambasciata USA ottenuto da WikiLeaks, intitolato “WikiLeaks mette la neutralità nel cestino della storia”, la vantata reputazione di neutralità dell’élite svedese è denunciata come una mistificazione. Un altro dispaccio statunitense rivela che “la misura della collaborazione [dell’esercito e dei servizi segreti svedesi con la NATO] non è diffusamente nota” e se non tenuta segreta “esporrebbe il governo a critiche all’interno”.

Il ministro degli esteri svedese, Carl Bildt, ha svolto un ruolo eminente, tristemente noto, nel Comitato per la Liberazione dell’Iraq di George Bush e mantiene rapporti stretti con l’estrema destra del Partito Repubblicano.  Secondo l’ex direttore svedese della pubblica accusa, Sven-Erik Alhem, la decisione della Svezia di perseguire l’estradizione di Assange per accuse di molestie sessuali è “irragionevole e non professionale, nonché scorretta e sproporzionata”.  Essendosi reso disponibile all’interrogatorio Assange ha avuto il permesso di lasciare la Svezia per recarsi a Londra dove, di nuovo, si è offerto per essere interrogato. A maggio, in un giudizio finale d’appello sull’estradizione, la Corte Suprema britannica ha introdotto un’ulteriore farsa facendo riferimento ad “accuse” inesistenti.

Ad accompagnare il tutto c’è stata una campagna di vituperazione personale contro Assange. Gran parte di essa proviene dal Guardian che, come un amante respinto, si è rivoltato con la sua ex fonte assediata avendo enormemente approfittato delle rivelazioni di WikiLeaks. Senza che un solo penny andasse ad Assange o a WikiLeaks, un libro del Guardian ha portato a un lucroso accordo cinematografico con Hollywood. Gli autori, David Leigh e Luke Harding, insultano gratuitamente Assange come “personalità lesionata” e “insensibile”. Rivelano anche la password segreta che egli aveva dato confidenzialmente al giornale, intesa a proteggere un file digitale contenente i dispacci dell’ambasciata USA. Il 20 agosto Harding era all’esterno dell’ambasciata ecuadoriana gongolando sul suo blog che “Scotland Yard può ridere per ultima”. E’ ironico, anche se del tutto inappropriato, che un editoriale del Guardian che dà il più recente calcio ad Assange abbia un’inquietante somiglianza con il prevedibile accresciuto fanatismo della stampa di Murdoch sullo stesso tema. Come svanisce la gloria di Leveson, Hackgate e dell’onorevole giornalismo indipendente!

I suoi aguzzini fanno della persecuzione di Assange un punto d’onore. Non accusato di alcun crimine, non è un fuggiasco dalla giustizia. I documenti del caso svedese, compresi i messaggi delle donne coinvolte, dimostrano a qualsiasi persona imparziale l’assurdità delle accuse sessuali, denunce quasi interamente immediatamente scartate dal procuratore capo di Stoccolma, Eva Finne, prima dell’intervento di un politico, Claes Borgstrom. All’udienza preliminare di Bradley Manning, un inquirente dell’esercito statunitense ha confermato che lo FBI stava segretamente mettendo nel mirino i “fondatori, proprietari o gestori di WikiLeaks” per accusarli di spionaggio.

Quattro anni fa un documento scarsamente notato del Pentagono, fatto trapelare da WikiLeaks, descriveva come WikiLeaks e Assange sarebbero stati distrutti da una campagna di fango che avrebbe portato all’”incriminazione penale”. Il 18 agosto il Sidney Morning Herald ha scoperto, in documenti diffusi in base alla legge sulla libertà d’informazione, che il governo australiano aveva ricevuto ripetutamente conferma che gli Stati Uniti stavano conducendo una caccia “senza precedenti” ad Assange e non aveva sollevato obiezioni.  Tra i motivi dell’Ecuador per concedere l’asilo c’è l’abbandono di Assange “da parte dello stato di cui è cittadino”. Nel 2010 un’indagine della polizia federale australiana ha rilevato che Assange e WikiLeaks non avevano commesso alcun crimine. La sua persecuzione è un attacco a noi tutti e alla libertà.

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/the-pursuit-of-julian-assange-is-an-assault-on-freedom-and-a-mockery-of-journalism-by-john-pilger

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2012 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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Approfondimento (madu)

Wikileaks: la vera storia della pubblicazione senza filtri degli archivi

La guerra a #WikiLeaks – John Pilger intervista Julian #Assange

WikiLeaks – Bradley Manning per la nomination al premio Nobel per la Pace 2012

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