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Chi possiede il mondo?

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di Noam Chomsky

AMY GOODMAN: Siamo a Portland, Oregon, perché facciamo parte del giro in 100 città organizzato  dalla Maggioranza ridotta al silenzio.  Questa settimana in cui il presidente Obama e l’aspirante alla presidenza, Mitt Romney hanno fatto un dibattito su problemi di politica estera, e sull’economia, noi ci rivolgiamo a Noam Chomsky, dissidente politico famoso in tutto il mondo, linguista, scrittore, e professore al MIT. In un recente discorso, il professor Chomsky ha esaminato argomenti in gran parte ignorati  o soltanto accennati durante la campagna elettorale, dalla Cina alla Primavera Araba, al riscaldamento globale e alla minaccia nucleare posta da Israele contro l’Iran. Ha parlato il mese scorso all’Università del Massachusetts ad Amherst a un evento sponsorizzato dal Center for Popular Economics. La sua conferenza era intitolata. “Chi possiede il mondo?”

 

NOAM CHOMSKY: quando pensavo a queste osservazioni, avevo in mente due argomenti, non riuscivo a decidere quale dei due scegliere, in effetti molto ovvii. Uno è: quali sono i problemi più importanti che dobbiamo affrontare? Il secondo è: quali problemi non si stanno trattando seriamente – o per nulla – in questa follia quadriennale in corso che si chiama elezione? Mi sono però reso conto che non c’è un problema; non è una scelta difficile: sono lo stesso argomento. E ci sono delle ragioni che sono di per se stesse molto significative. Mi piacerebbe tornare su questo punto fra un momento. Prima dirò alcune parole sul contesto, iniziando dal titolo che è stato annunciato: “Chi possiede il mondo?”

In realtà, una bella risposta a questa domanda è stata data tanti anni fa da Adam Smith, una persona che ci si aspetta che adoriamo, ma che non leggiamo. Era un po’ sovversivo quando lo si legge. Si riferiva alla nazione che era la più potente del mondo ai suoi tempi, e, naturalmente, era la nazione che lo interessava, cioè l’Inghilterra. E ha fatto notare che in Inghilterra gli architetti della politica sono coloro che possiedono la nazione: e che ai suoi tempi erano i mercanti e i  produttori di merci. E ha detto che essi si assicurano di disegnare le linee politiche, in modo che i loro interessi vengano seguiti in modo particolare. La politica è al servizio dei loro interessi, per quanto sia doloroso l’impatto sugli altri, compreso il popolo inglese.

Smith era, però un conservatore vecchia maniera con principi morali, quindi ha aggiunto le vittime dell’Inghilterra, le vittime di quella che chiamava “l’ingiustizia selvaggia degli Europei”, dimostrata specialmente in India. Ebbene, non aveva illusioni su chi fossero i proprietari, quindi, per citarlo di nuovo, “Tutto per noi stessi e nulla per le altre persone, sembra, in ogni età del mondo, essere stata la ignobile  massima dei padroni del genere umano.” Era vero allora; è vero adesso.

La Gran Bretagna ha mantenuto la sua posizione come potenza mondiale dominante quando il ventesimo secolo era già cominciato da un pezzo, malgrado il  suo declino progressivo. Alla fine della seconda guerra mondiale, il dominio si era spostato rapidamente nelle mani dell’ultimo arrivato  al di là del mare, gli Stati Uniti, di gran lunga la società più potente e ricca nella storia del mondo. La Gran Bretagna poteva aspirare soltanto ad essere il suo socio meno anziano,  come aveva mestamente riconosciuto il Foreign Office britannico (il mistero degli esteri). In quel momento, il 1945, gli Stati Uniti possedevano letteralmente la metà della ricchezza mondiale, incredibile sicurezza, controllavano l’intero emisfero occidentale, entrambi gli oceani, le sponde opposte di entrambi gli oceani. Non c’è nulla, non c’è mai stato nulla del genere nella storia.

E i pianificatori lo hanno capito. I pianificatori di Roosvelt si incontravano  durante la Seconda  guerra mondiale per disegnare il mondo del dopo guerra. Erano molto sofisticati al riguardo, e  i loro piani sono stati abbastanza messi in pratica. Volevano assicurarsi che gli Stati Uniti avrebbero controllato quella che  chiamavano una “grande area” che avrebbe incluso, sistematicamente l’intero emisfero occidentale, tutto l’Estremo Oriente, l’ex Impero britannico, di cui gli Stati Uniti avrebbero preso il controllo, e il più possibile dell’Eurasia – cosa di importanza cruciale – i suoi centri di commercio e di industria in Europa occidentale. E nell’ambito di questa area, dicevano, gli Stati Uniti avrebbero mantenuto un potere indiscutibile con una supremazia militare ed economica, assicurando nello stesso tempo la limitazione di qualunque esercizio di sovranità da parte di stati che potessero interferire con questi disegni globali.

Quelli erano piani piuttosto realistici a quell’epoca, data l’enorme disparità di potere. Gli Stati Uniti erano stati di gran lunga il più ricco paese del mondo perfino prima della Seconda Guerra mondiale, sebbene non ne fossero ancora i principali protagonisti mondiali. Durante la Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti avevano guadagnato moltissimo. La produzione industriale era quasi quadruplicata, e ci aveva fatto uscire dalla depressione economica. I rivali nell’industria sono stati rovinati o seriamente indeboliti. Era dunque  un sistema di potere incredibile.

In effetti, le politiche che erano state  delineate sono ancora valide. Si possono leggere nelle dichiarazioni del governo.  E’ diminuita, però, in modo significativo la capacità di attuarle. In realtà c’è un tema importante nelle discussioni di politica estera, nel giornalismo e così via. Il tema si chiama “declino americano.” Quindi, per esempio, sul più prestigioso giornale di relazioni internazionali dell’establishment, il Foreign Affairs, (Affari esteri), un paio di mesi fa,  c’era un argomento che aveva sulla prima pagina in grandi lettere in neretto la domanda: “L’America è finita?” Questo annunciava il tema della questione. E c’è un corollario standard a riguardo: il potere si sta spostando verso occidente, verso la Cina e l’India, che sono le due potenze in ascesa e che saranno gli stati egemonici del futuro.

In effetti penso che il declino sia piuttosto reale, ma si richiedono  alcuni seri requisiti. Prima di tutto, il corollario è altamente improbabile, almeno nell’immediato futuro. La Cina e l’India sono paesi molto poveri. Date soltanto un’occhiata, per esempio, all’Indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite: quei due paesi sono molto in basso. La Cina è circa novantesima. Penso che l’India sia  intorno al centoventesimo posto, l’ultima volta che ho guardato l’indice. E hanno anche terribili problemi interni: problemi demografici, povertà estrema, disuguaglianza terribile, problemi ecologici. La Cina è un grande centro manifatturiero, ma in realtà è soprattutto un impianto di assemblaggio. Assembla quindi parti e componenti,  frutto di un’alta tecnologia che arriva dai suoi centri industriali più avanzati: il Giappone, Taiwan, la Corea del sud, Singapore, gli Stati Uniti, l’Europa – e fondamentalmente si limita a un lavoro di assemblaggio. E così comprate una di queste cose che iniziano con la  -i,  un ipod  della Cina – si chiama prodotto di esportazione cinese, ma le parti, i componenti, e la tecnologia vengono da fuori. E il valore aggiunto in Cina è pochissimo: è stato calcolato.  Saliranno nella scala della tecnologia, ma sarà una salita difficile, per l’India ancora di più. Si dovrebbe quindi essere scettici riguardo al corollario.

C’è però un altro requisito che è più serio. Il declino è reale, ma non è un fatto nuovo. Va avanti dal 1945, ed è avvenuto molto rapidamente. Alla fine degli anni 40, c’è un avvenimento che è noto qui come “la perdita della Cina”. La Cina  diventava indipendente. Era la perdita di un enorme pezzo della vasta area asiatica, ed è diventata un problema fondamentale nella politica interna americana. Chi è responsabile della perdita della Cina? Ci sono state un sacco di recriminazioni, ecc. In effetti l’espressione è piuttosto interessante. Per esempio, io non posso perdere  il tuo computer, giusto? perché non lo possiedo. Posso perdere il mio computer. Ebbene, la locuzione “perdita della Cina” presuppone in un certo quale modo un principio profondamente rispettato del tipo di consapevolezza dell’elite americana: noi possediamo il mondo e se qualche suo pezzo diventa indipendente, lo abbiamo perduto. E quella è una perdita terribile; dobbiamo fare qualche cosa al riguardo. Non si mette mai in dubbio, e questo è di per sé interessante.

Ebbene, circa nello stesso periodo, intorno al 1950, cominciarono a sorgere preoccupazioni sulla perdita del Sud est asiatico. Questo ha portato gli Stati Uniti alle guerre in Indocina, alle peggiori atrocità del dopo guerra – in parte vinte in parte no. Un avvenimento molto significativo nella storia moderna è avvenuto nel 1965, quando in Indonesia, che era il punto di maggiore preoccupazione – infatti essa è la nazione del Sud est asiatico con la maggior parte della ricchezza e delle risorse – c’è stato un colpo di stato militare, quello di Suharto. Ha portato a un incredibile massacro, che il  New York Times ha chiamato una “sconvolgente strage di massa,” che ha ucciso centinaia di migliaia di persone, per lo più contadini senza terra; ha distrutto l’unico partito politico di massa; ha aperto il paese allo sfruttamento dell’Occidente. L’euforia in occidente era così enorme, che non si poteva contenere. E così sul New York Times , quando ha descritto la “sconvolgente strage di massa”, la ha chiamata “un barlume di luce in Asia.” Quell’ articolo è stato scritto da James Reston, il principale intellettuale liberale del Times. E lo stesso è accaduto altrove -in Europa, in Australia. E’ stato considerato un avvenimento fantastico.

Anni dopo, McGeorge Bundy, che era il consigliere per la sicurezza nazionale di Kennedy e Johnson, a posteriori  ha fatto notare che sarebbe stata una buona idea porre fine alla guerra del Vietnam, a quel punto, e ritirarsi. Contrariamente a tante illusioni, la Guerra del Vietnam è stata combattuta principalmente per assicurarsi che un Vietnam indipendente non si sarebbe evoluto con successo e non sarebbe diventato un modello per altre nazioni di quella area. Per prendere a prestito la terminologia di Henry Kissinger usata per il Cile, dobbiamo impedire che quello che chiamava il “virus” dello sviluppo indipendente diffondesse il contagio altrove. Questa è una parte critica della politica estera americana fin dalla Seconda guerra mondiale: la Gran Bretagna, la Francia e altri paesi in grado minore. E nel 1965, era  finito. Il Vietnam del sud era praticamente distrutto. Si sparse la voce rivolta al resto dell’Indocina che esso non doveva essere il modello per nessuno e il contagio è stato contenuto. Il regime di Suharto si era assicurato di non venire contagiato.  E abbastanza presto gli Stati Uniti hanno avuto dittature in ogni nazione di quella zona: Marcos nelle Filippine, una dittatura in Tailandia, Park Chun  nella Corea meridionale. Non c’erano problemi per l’infezione. Pensava che sarebbe quindi stato un buon periodo per mettere fine alla Guerra del Vietnam.  Ebbene questo è il Sudest asiatico.

Il declino però continua. Negli ultimi 10 anni, c’è stato un avvenimento molto importante: la perdita del Sud America. Per la prima volta in 500 anni, dall’epoca dei conquistatori spagnoli, i paesi sudamericani hanno cominciato a muoversi verso l’indipendenza e verso un certo grado di integrazione. La struttura tipica di uno dei paesi Sudamericani era costituita da una piccola elite ricca, occidentalizzata, spesso bianca o per lo più bianca, e da una massa enorme di poveri; paesi separati tra l’uno dall’altro, ciascuno orientato verso l’Europa o, più di recente, verso gli Stati Uniti. Negli ultimi 10 anni, questo aspetto è stato superato in maniera significativa, c’è stato un inizio importante di integrazione, cioè il presupposto dell’indipendenza, e i paesi hanno cominciato ad affrontare alcuni dei loro spaventosi problemi interni. Questa è la perdita del Sud America. Un segno è che  gli Stati Uniti sono stati cacciati via da ogni singola base militare del Sud America. stiamo cercando di ripristinarne alcune, ma proprio adesso non ce ne è nessuna.

AMY GOODMAN : il Professore Noam Chomsky del MIT, discute del riscaldamento globale, della guerra nucleare e della Primavera Araba.

NOAM CHOMSKY: Passando a parlare  dell’anno scorso, la Primavera Araba è proprio una di queste minacce. Minaccia di eliminare quella grande regione dalla grande zona più grande E’ molto più importante del Sudest asiatico e del Sud America. Torniamo agli anni ’40, quando il dipartimento di stato aveva riconosciuto che le risorse energetiche del Medio Oriente sono ciò che chiamavano “uno dei maggiori tesori materiali nella storia del mondo,” una fonte spettacolare di potere strategico; se possiamo controllare l’energia del Medio Oriente, possiamo controllare il mondo. E questo è un tema che pervade tutte le decisioni politiche. Non se ne discute molto, ma è molto importante avere il controllo, proprio come i consulenti del Dipartimento di stato hanno fatto notare negli anni ’40. Se si controlla il petrolio, si controlla la maggior parte del mondo. E va ancora avanti così.

Finora, la minaccia della Primavera Araba è stata abbastanza ben contenuta. Nelle dittature del petrolio, che sono le più importanti per l’Occidente, ogni tentativo di unirsi alla Primavera Araba, è stato stroncato con la forza.  L’Arabia Saudita è stata così eccessiva, che quando c’erano tentativi di scendere in piazza, la presenza della sicurezza era così enorme, che la gente aveva perfino paura di uscire. C’è poco da discutere di quello che succede in Bahrein, dove la rivolta è stata soffocata,  ma l’Arabia Saudita orientale ha fatto di molto peggio. Gli Emirati hanno il controllo totale e quindi tutto va bene. Siamo riusciti ad assicurare che la minaccia di democrazia venisse schiacciata nei luoghi più importanti.

L’Egitto è un caso interessante. E’ un paese importante, è soltanto un piccolo produttore di petrolio. In Egitto gli Stati Uniti hanno però seguito una procedura operativa standard. Se qualcuno di voi entrerà in diplomazia, dovreste comunque impararla. C’è una  procedura standard quando uno dei vostri dittatori preferiti si mette nei guai. Prima lo si appoggia il più a lungo possibile, ma se diventa davvero impossibile, diciamo che l’esercito si rivolti contro di lui, per esempio, allora gli si dà il ben servito e si fa  in modo che la classe degli intellettuali  rilasci  risonanti  dichiarazioni sul proprio amore per la democrazia, e poi si cerca di restaurare il vecchio sistema il più possibile.  Ci sono una serie di casi di questa strategia: Somoza in Nicaragua, Duvalier ad Haiti, Marcos nelle Filippine, Chun nella Corea del sud, Mobutu in Congo. Ci vuole del genio per non accorgersi di tutto ciò. Ed è esattamente ciò che si è fatto in Egitto, e ciò che ha cercato di fare la Francia in Tunisia non proprio con lo stesso  successo.

Ebbene, il futuro è incerto, ma la minaccia della democrazia fin ora è stato contenuta. E’ una minaccia seria. Tornerò sull’argomento in seguito. E’ anche importante riconoscere che il declino negli ultimi 50 anni ce lo siamo inflitto da soli in misura significativa, specialmente a partire dagli anni ’70.  Tornerò anche su questo argomento. Prima però fatemi dire un paio di cose sui problemi più importanti oggi e che vengono ignorati oppure non trattati seriamente – intendo dire trattati seriamente nelle campagne elettorali, per buone ragioni. Fatemi cominciare con gli argomenti più importanti.  Ce ne sono due tra questi: Sono di importanza assoluta, perché da questi dipende il destino della nostra specie. Uno è il disastro ambientale, e l’altro è la guerra nucleare.

Non dedicherò molto tempo a esaminare le minacce del disastro ambientale. In realtà, sono in prima pagina tutti i giorni.   Per esempio, la settimana scorsa il New York Times aveva una notizia in prima pagina intitolata: “Alla fine dello scioglimento estivo, il ghiaccio del Mare Artico stabilisce un nuovo record negativo che provoca allarme.” Lo scioglimento questa estate è stato molto più rapido di quanto era stato predetto dai sofisticati modelli informatici e dal più recente rapporto delle Nazioni Unite. Si prevede ora che forse il ghiaccio scomparirà entro il 2020. Secondo la precedente previsione la data doveva essere il 2050. Hanno citato scienziati che hanno detto che questo è “un primo esempio del conservatorismo intrinseco  delle [nostre] previsioni metereologiche. Per quanto terribili [siano le previsioni] sulle conseguenze a lungo termine delle emissioni  che intrappolano il calore….molti [di noi] temono che forse si stanno sottostimando la velocità e la gravità dei cambiamenti impellenti.” In realtà, c’è un programma di studio sui cambiamenti del clima al MIT (Massachusetts Institute of Technology) dove lavoro. Hanno avvertito di questo fenomeno da anni e ripetutamente si è dimostrato che avevano ragione. Il servizio del Times discute brevemente il grave attacco, il grave impatto di tutto questo sul clima del mondo, e aggiunge: “I governo non hanno però replicato al cambiamento con nessuna maggiore urgenza per limitare le emissioni di gas serra. Al contrario, la loro  principale replica è stata quella di programmare lo sfruttamento di minerali di recente accessibili nell’Artico, e le trivellazioni per cercare altro petrolio.” Questo vuol dire accelerare la catastrofe. E’molto interessante. Dimostra una straordinaria volontà di sacrificare la vita dei nostri figli e nipoti a favore di guadagni a breve termine, o forse una volontà ugualmente notevole  di chiudere gli occhi in modo da non vedere il pericolo incombente – queste cose talvolta si notano nei bambini piccoli; una cosa sembra pericolosa, alloara chiudo gli occhi e non voglio guardarla.

C’è un’altra possibilità, intendo dire che forse glie esseri umani stano in qualche modo cercando di far avverare alla previsione di un grande biologo americano scomparso di recente, Ernst Mayr. Sosteneva, anni fa, che l’intelligenza pare che sia una mutazione letale, e ne aveva delle buone prove. C’è una nozione di successo biologico, che vuol dire che ci sono tantissimi esseri umani sulla terra. Questo è il successo biologico. E ha fatto notare che se si guarda alle diecine di miliardi di specie nella storia del mondo, quelle che sono riuscite bene  sono quelle che mutano molto rapidamente, come i batteri, o quelle che hanno una nicchia ecologia fissa, come gli scarafaggi. Sembra che se la cavino bene. Se però ci si sposta in alto sulla scala di quella che chiamiamo intelligenza, il successo diminuisce nettamente.  Quando si arriva ai mammiferi, è molto bassa. Ne esistono pochi. Cioè, ci sono un sacco di mucche, soltanto perché le addomestichiamo. Quando parliamo degli umani, è la stessa cosa. Fino a tempi recenti,  troppo recenti  per comparire in qualsiasi  spiegazione di tipo evoluzionistico, gli esseri umani erano molto sparsi. C’erano tantissimi altri ominidi che però sono scomparsi, probabilmente perché gli umani li hanno sterminati, ma nessuno lo sa di sicuro. Comunque forse stiamo cercando di dimostrare che gli esseri umani  si inseriscono bene  in un modello generale. Possiamo anche sterminare noi stessi e anche il resto del mondo insieme a noi, e noi siamo fortemente determinati a farlo  proprio adesso.

Bene, passiamo alle elezioni. Entrambi i partiti politici ci chiedono di peggiorate questo problema. Nel 2008 entrambe le piattaforme dedicavano un certo spazio ai modi in cui il governo avrebbe dovuto occuparsi dei cambiamenti climatici. Attualmente, nella piattaforma repubblicana, l’argomento è essenzialmente  scomparso. La piattaforma, domanda, però, che  il Congresso agisca rapidamente per impedire che l’Agenzia di protezione dell’ambiente regoli i gas serra. Assicuriamoci, quindi, di peggiorare la situazione. E chiede anche di aprire la zona dove  dell’Arctic Refuge alle trivellazioni – per trarre (adesso riporto le parole) “vantaggio da tutte le risorse americane che Dio ci ha concesso.”

Dopo tutto, non si può disobbedire a Dio. Riguardo alla politica ambientale il programma dice: “Dobbiamo ripristinare l’integrità scientifica nelle istituzioni pubbliche per la ricerca e eliminare gli incentivi politici dalla ricerca finanziata con il denaro pubblico.” Tutto questo è una parola in codice rivolta al mondo della scienza climatica che significa:smettetela di finanziare le ricerche scientifiche sul clima. Lo stesso Romney dice che non c’è consenso tra gli scienziati, e quindi si dovrebbero sostenere altri dibattiti e ricerche all’interno della comunità scientifica, ma nessuna azione, tranne quella destinata a peggiorare il problema.

Ebbene, e i Democratici? Ammettono che ci sia un problema e sostengono che dovremmo operare per arrivare a un’intesa  che stabilisca i limiti delle emissioni [di gas serra], di comune accordo con altre potenze emergenti. Ma non è così. Nessuna azione. E infatti, come ha sottolineato Obama, dobbiamo lavorare duramente per guadagnare quello che chiama cento anni di indipendenza energetica ottenuta sfruttando le risorse nazionali o quelle canadesi per mezzo della fratturazione o di altre tecnologie elaborate. Non si chiede come cosa sarà il mondo fra cento anni.  Ci sono, quindi delle differenze che riguardano  il livello di entusiasmo con cui i pecoroni dovranno marciare verso il precipizio.

Passiamo adesso al secondo problema principale: la guerra nucleare. Anche questo argomento è sulle prime pagine ogni giorno, ma in un modo che sembrerebbe stravagante a un osservatore indipendente  che consideri che cosa sta accadendo sulla terra, e infatti sembra   stravagante a una notevole maggioranza di nazioni del mondo. L’attuale minaccia è ora, e non per la prima volta, in Medio Oriente ed è incentrata sull’Iran.  Il quadro generale in occidente è chiaro: è di gran lunga troppo pericoloso permettere che l’Iran ottenga quella che si chiama “potenziale nucleare”, cioè il potenziale che hanno a disposizione molte potenze, dozzine di potenze, per produrre armi nucleari se decidono di farlo. In quanto a dire se lo hanno deciso, i servizi segreti statunitensi dicono di non saperlo. L’Agenzia internazionale per l’energia atomica ha appena fornito il suo rapporto più recente

due  settimane fa e conclude che non può dimostrare – “l’assenza di materiale nucleare non dichiarato e di attività nucleari in Iran.” Ora, vuol dire che non può dimostrare qualche cosa, una condizione che non può essere soddisfatta. Non c’è modo di dimostrare l’assenza dell’azione -questo è utile – perciò all’Iran  deve essere negato il diritto dia arricchire l’uranio, il che è garantito a ogni potenza che ha firmato il Trattato di non-proliferazione.

Bene, questo è il quadro dell’occidente, che non è come quello che c’è nel resto del mondo. Sono sicuro che sapete che a Teheran c’è stato da poco (in agosto, n.d.t.) un incontro dei Paesi non-allineati – cioè una grande maggioranza delle nazioni del mondo che rappresentano la maggior parte della popolazione mondiale. E ancora una volta, e non è stata la prima, hanno rilasciato una risonante dichiarazione per sostenere il diritto dell’Iran ad arricchire l’uranio, diritto che ha ogni nazione che ha firmato il trattato di non-proliferazione [nucleare]. La stessa cosa è abbastanza vera anche nel mondo arabo. E’ interessante e ci tornerò tra poco.

C’è un motivo fondamentale di preoccupazione che è stato espresso in maniera concisa dal generale Lee Butler, ex capo deo Commando strategico degli Stati Uniti che controlla le armi nucleari e la strategia nucleare. ha scritto che “E’ estremamente pericoloso che nel calderone di animosità che chiamiamo Medio Oriente” una nazione debba avere armamenti nucleari, poiché potrebbe ispirare altre nazioni a fare lo stesso. Il generale Butler non si riferiva però all’Iran; si riferiva a Israele, il paese che è ai primi posti nei sondaggi europei come nazione più pericolosa del mondo – appena sopra l’Iran – e, non a caso, al mondo arabo, dove il pubblico considera gli Stati Uniti come la seconda nazione più pericolosa, subito dopo Israele. Nel mondo arabo l’Iran, anche se non è amato, è considerato inferiore come minaccia dalle popolazioni,  cioè, non dalle dittature.

Per quanto riguarda le armi nucleari dell’Iran, nessuno vuole che quel paese le abbia, ma in molti sondaggi, maggioranze di persone, spesso notevoli maggioranze, hanno detto che la regione sarebbe più sicura se l’Iran possedesse armi nucleari, per bilanciare quelle delle loro maggiori minacce. Ci sono un sacco di commenti sui mezzi di informazione occidentali sugli atteggiamenti arabi verso l’Iran, e quello che si legge, normalmente, è che gli Arabi vogliono un’azione decisa contro l’Iran che è vero se parliamo di dittatori, non delle popolazioni.  Ma chi si preoccupa delle popolazioni che vengono chiamate,  in modo dispregiativo,  la strada araba?  Non ce ne importa. Questo è un riflesso del disprezzo estremamente profondo rispetto alla democrazia esistente nelle elite occidentali; è così profondo che non si può neanche percepire. Lo studio degli atteggiamenti popolari nel mondo arabo – e al riguardo esiste un ampio studi delle agenzie occidentali di sondaggi – rivela rapidamente perché gli Stati Uniti e i loro alleati si preoccupano così tanto delle minacce della democrazia e fanno quello che possono per evitarla. Certamente non vogliono che atteggiamenti come quelli che ho appena indicato diventino politica, naturalmente, ma allo stesso pubblicano calorose affermazioni sulla nostra appassionata dedizione alla democrazia. E queste vengono trasmesse con obbedienza dai giornalisti e dagli opinionisti.

Ebbene, al contrario dell’Iran, Israele rifiuta assolutamente le ispezioni, rifiuta di aderire al Trattato di non-proliferazione, ha sistemi avanzati di lancio. Inoltre ha un lungo curriculum di violenza e repressione. Si è annessa e si è istallata in territori conquistati in modo illegale, in violazione degli ordini del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ha fatto molte azioni di aggressione – cinque volte soltanto contro il Libano, senza alcun pretesto plausibile. Sul New York Times di ieri, si può leggere che le Alture del Golan siriano sono territorio disputato. C’è una risoluzione del Consiglio nazionale di sicurezza dell’ONU, la 497, che è stata presa all’unanimità, che dichiara illegale l’annessione delle alture del Golan da parte di Israele e chieda che venga annullata. E infatti se ne discute soltanto a Israele e sul New York Times che infatti riflette la reale politica degli Stati Uniti, non quella formale.

Il curriculum di aggressioni dell’Iran in varie centinaia di anni recenti comprende l’invasione e la conquista di un paio di isole arabe. Questo è accaduto quando regnava lo Scià, il dittatore imposto dagli Stati Uniti. Questo è in realtà l’unico caso in varie centinaia di anni.

Nel frattempo, – le avete da poco sentite all’ONU – continuano  le gravi  minacce di attacchi da parte degli Stati Uniti, ma specialmente da Israele. Ora c’è una reazione a questo ad altissimo  livello negli Stati Uniti. Leon Panetta, segretario alla Difesa,  ha detto che noi non vogliamo attaccare l’Iran, speriamo che Israele non attacchi l’Iran, ma Israele è un paese sovrano e devono prendere da soli le loro decisioni su che cosa fare. Potreste chiedervi quale sarebbe la reazione se ribaltassimo il cast dei protagonisti. E chi di voi ha interessi  di argomenti “antiquari”   potrebbe ricordare che c’è un documento che si chiama Carta (statuto) delle Nazioni Unite, il fondamento della moderna legge internazionale, che proibisce la minaccia o l’uso della forza negli affari internazionali. Ci sono due stati canaglia – gli Stati Uniti e Israele – per i quali ciò che riguarda la Carta e la legge internazionale come soltanto un’inezia  noiosa, quindi fate come volete. E questo atteggiamento viene accettato.

Ebbene, queste non sono soltanto parole; c’è una guerra in corso, che include terrorismo, uccisione di scienziati nucleari, una guerra economica. Le minacce degli Stati Uniti, non quelle internazionali, hanno tagliato fuori l’Iran dal sistema finanziario internazionale. Gli analisti militari occidentali identificano quelle che chiamano ” armi della finanza” con atti di guerra che giustificano una replica violenta – quando, cioè, sono diretti contro di noi. Tagliare fuori l’Iran dai mercati finanziari internazionali è diverso.

Gli Stati Uniti  stanno attuando apertamente una vasta guerra cibernetica contro l’Iran, cosa molto lodata. Il Pentagono la  considera equivalente a un attacco armato che giustifica una reazione militare, ma questo, naturalmente, quando è diretto contro di noi. Il principale personaggio liberale del Dipartimento di stato,  Harold Koh – è consulente legale di massimo livello del Dipartimento di stato –  dice che la guerra cibernetica è un’azione bellica se provoca distruzioni significative come l’attacco contro le installazioni nucleari iraniane, e tali azioni, dice, giustificano la forza come autodifesa. Naturalmente intende soltanto attacchi contro gli Stati Uniti o i loro clienti.

L’arsenale letale di Israele che è enorme, comprende sottomarini all’avanguardia, forniti di recente dalla Germania. Questi sono in grado di trasportare i missili a testata nucleare di Israele, che di sicuro saranno dislocati in nel Golfo Persico o nei pressi se Israele procederà nei suoi piani di bombardare l’Iran, o, più probabilmente, sospetto, per cercare di creare condizioni per le quali gli Stati Uniti lo faranno. E gli Stati Uniti, naturalmente, hanno un vasto arsenale di armi nucleari in tutto il mondo, ma anche intorno a quella zona, dal Mediterraneo all’Oceano indiano, compresa una  potenza di fuoco nel Golfo Persico  che basta distruggere la maggior parte del mondo.

Un’altra storia che è nei notiziari proprio adesso è il bombardamento da parte di Israele del reattore nucleare di Osirak che viene indicato come modello per il bombardamento israeliano dell’Iran. Si dice raramente, tuttavia, che il bombardamento del reattore di Osirak non ha posto fine al programma di Saddam Hussein per le armi nucleari. Lo ha iniziato. Prima di quelle evento non c’era nessun programma. E il reattore di Osirak non era in grado di produrre l’uranio per le armi nucleari. Naturalmente, però,  dopo i bombardamenti, Saddam si è  immediatamente dedicato a sviluppare un programma di armi nucleari. E se l’Iran sarà bombardato, quasi sicuramente procederà proprio come ha fatto Saddam Hussein dopo il bombardamento di Osirak.

Fra poche settimane, commemoreremo il 50°anniversario “del momento più pericoloso nella storia umana.” Queste sono le parole dello storico e consigliere di Kennedy, Arthur Schlesinger. Si riferiva, naturalmente, alla crisi dei missili dell’ottobre  1962, “il momento più pericoloso nella storia umana.” Altri sono d’accordo. In quel periodo, Kennedy aveva portato l’allerta nucleare al secondo più alto livello, quasi al punto di lanciare delle armi. Aveva  autorizzato i velivoli della NATO, con piloti turchi o altri piloti, a decollare, a volare a Mosca, e buttare delle bombe, cosa che avrebbe forse scatenato una probabile conflagrazione nucleare.

Al culmine della crisi dei missili, Kennedy aveva valutato la possibilità di una guerra nucleare forse al 50 per cento. E’ una guerra che distruggerebbe l’emisfero settentrionale, aveva avvertito il presidente Eisenhower. E di fronte a quel rischio, Kennedy rifiutò di accettare pubblicamente un’offerta da parte di Kruschev di porre fine alla crisi con il contemporaneo ritiro dei missili russi da Cuba e quelli degli Stati uniti dalla Turchia.  Erano già stati sostituiti con sottomarini Polaris inattaccabili, ma si era sentita la necessità di  stabilire con fermezza il principio che la Russia non ha alcun diritto di avere alcuna arma di offesa in nessun luogo che sia al di là dei confini dell’Unione Sovietica neanche per difendere un alleato da un attacco degli Stati Uniti. Si è ora riconosciuto che questa era il motivo principale per schierare là i missili, in realtà un motivo plausibile. Nel frattempo, gli Stati Uniti devono  conservare il diritto di averli in tutto il mondo, puntati contro la Russia o la Cina o qualsiasi altro nemico. Infatti, abbiamo saputo di recente, che nel 1962 gli Stati Uniti avevano in segreto dislocato missili nucleari  a Okinawa, puntati sulla  Cina. Quello era stato un momento di alte tensioni nella regione. Tutto ciò è coerente con concezioni di grandi     quelle che avevo detto  essere state sviluppate dai pianificatori di Roosevelt.

Ebbene, fortunatamente, nel 1962, Krushev si tirò indietro. Ma il mondo non può essere sicuro che questa ragionevolezza ci sia per sempre. E, secondo me, è particolarmente pericoloso il fatto che gli intellettuali e perfino il mondo della cultura acclamino il comportamento di Kennedy come il momento più bello della sua vita. Il mio punto di vista è che è stato uno dei peggiori momenti della storia. L’incapacità di affrontare la realtà di noi stessi è una caratteristica fin troppo comune della cultura intellettuale, e ha implicazioni inquietanti anche  per la vita personale.

Ebbene, 10 anni più tardi, durante la guerra arabo-israeliana, Henry Kissinger alzò al massimo il livello  di allarme nucleare.. Lo scopo era di avvertire i Russi  mentre  (così abbiamo saputo da poco) informava  in segreto Israele  che avevano autorizzato di violare il cessate il fuoco che era stato imposto congiuntamente dagli Stati Uniti e dalla Russia. Quando Reagan assunse la carica un paio di anni dopo, gli Stati Uniti avviarono operazioni per indagare sulle  difese russe, volando in Russia a questo scopo,  simulando attacchi aerei e navali e allo stesso tempo piazzando in Germania  missili Perishing che in 5 minuti di volo raggiungevano i bersagli russi. Stavano fornendo quello che la CIA chiamava la capacità di “un primo attacco super-improvviso”. I Russi, non c’è da meravigliarsi, erano profondamente preoccupati. In realtà  questo portò a una importante allerta di guerra nel 1983.  Ci sono statti centinaia di casi quando l’intervento umano  ha sospeso il lancio per un primo attacco a   pochi minuti prima del lancio. Questo dopo che sistemi automatici avevano dato un falso allarme. Non abbiamo rapporti dei Russi, ma non c’è dubbio che i loro sistemi sono molto più soggetti a incidenti. In realtà è un miracolo che finora sia stata evitata una guerra nucleare.

Nel frattempo, India e Pakistan sono arrivati vicino a una guerra nucleare varie volte e le situazioni di  crisi che hanno portato a questo punto, specialmente quella per il Kashmir, restano. Sia l’India che il Pakistan hanno rifiutato di firmare il Trattato di non-proliferazione, insieme a Israele, ed entrambi i paesi hanno ricevuto appoggio di Stati Uniti per sviluppare i loro programmi nucleari fino a oggi, nel caso dell’India,  che è ora alleato del nostro paese.

Le minacce di guerra in Medio Oriente che potrebbero diventare una realtà molto presto, ancora una volta aumentano i pericoli. Per fortuna c’è un modo per uscirne, un modo semplice. C’è un modo di attenuare,forse anche di porre fine a qualunque minaccia si presuma che l’Iran possa porre.E’ semplicissimo: andare verso la creazione di una zona libera da armi nucleari in Medio Oriente. L’occasione si presenterà di nuovo questo dicembre. C”è in programma una conferenza internazionale per trattare questa proposta che ha un appoggio internazionale entusiasta, compresa, per inciso, una maggioranza della popolazione di Israele, fortunatamente. Sfortunatamente è bloccata dagli Stati Uniti e da Israele. Un paio di giorni fa, Israele ha annunciato che non parteciperà, e che non considererà la questione fino a quando non ci sarà una pace generale nella regione. Obama prende la stessa posizione. Insiste anche che qualsiasi accordo deve escludere Israele e deve perfino escludere le richieste ad altre nazioni perché forniscano informazioni circa le attività nucleari di Israele.

Gli Stati Uniti e Israele possono rimandare indefinitamente la pace nella regione. Lo hanno fatto per 35 anni per la situazione di Israele e Palestina, praticamente l’isolamento internazionale. E’ una storia lunga, importante, che non ho tempo di approfondire qui. Non c’è quindi speranza di trovare un modo  facile per porre fine a quello che l’Occidente considera la crisi attuale più grave – nessun modo a meno che ci sia una pressione pubblica su vasta scala. Non può però esserci,  questo tipo di pressione a meno che la gente ne sappia qualche cosa. E i mezzi di informazione hanno fatto un lavoro stupendo  allontanando quel pericolo: nulla è stato riferito sulla conferenza o su qualche cosa del contesto, nessuna discussione, a parte i giornali specialisti sul controllo delle armi dove si  possono leggere delle notizie al riguardo. E’ questo quindi che blocca il modo facile per mettere fine alla peggiore crisi che esiste attualmente a meno che la gente non trovi una maniera di aprirsi varco perverso la soluzione.

AMY GOODMAN : Il professore  del MIT, Noam Chomsky, ha parlato il 27 settembre di questo anno all’Università del Massachusetts, a Amherst. La sua conferenza era intitolata “Chi possiede il mondo?”

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

http://www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/who-owns-the-world-by-noam-chomsky

              IT: http://znetitaly.altervista.org/art/8272

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Romney – Obama: l’alternativa non è tra destra e sinistra. E’ tra Obama e morte.

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Se vince Romney

di Nicola Melloni

Per molti, a sinistra, il primo mandato di Obama è stato deludente. Tante le cose che non sono state fatte, tante quelle fatte in maniera parziale. La mancata chiusura di Guantanamo grida vendetta. La riforma sanitaria di modesta portata, ben diversa dalla copertura universale che si credeva, a torto, essere quella proposta dal Presidente. E la riforma della finanza è stata timida, incompleta, che si limita a mettere qualche granello di sabbia nei ben oliati meccanismi di Wall Street. Ma nulla di più.
Deludente, quindi? Sì, forse, per quei tanti che si erano fatti coinvolgere dall’affascinante retorica di Barack. Ma che ben poco conoscono le logiche della politica americana. Un sistema che limita fortemente qualsiasi deviazione dal mainstream liberista. Obama ha fatto quello che poteva (e forse, fin dall’inizio voleva) fare. Nulla di meno.
Il grande equivoco c’è stato perché si è pensato che nel 2008 avesse vinto la sinistra, moderata quanto vogliamo, ma pur sempre sinistra. Ma il partito democratico non è, da almeno qualche decennio, un partito di sinistra. E’ un partito che farebbe sembrare un rivoluzionario terzomondista anche il suo più scatenato fan, il da poco pensionato Walter Veltroni. In America, i finanziamenti delle campagne elettorali – e dunque l’attività di tutti e due i partiti e del parlamento – sono controllate dalle lobby e dalle corporation, che sono l’unico vero dominus della politica a stelle e strisce.  Quello che i poteri forti non vogliono, semplicemente, non lo si fa ed anche un presidente più coraggioso non avrebbe avuto alcuna reale possibilità di cambiare le regole del gioco.
Questo però non vuol dire che non ci sia differenza tra Obama e Romney. Il Great Old Party, il partito repubblicano, è infatti un partito estremista ed una sua vittoria potrebbe provocare danni inimmaginabili. Vediamo con ordine cosa si propone di fare Romney una volta eletto presidente. Il primo punto del programma è la cancellazione della riforma sanitaria di Obama che tanto aveva scatenato le ire dei Tea Party. I repubblicani vogliono tagliare i fondi di MedicAid, togliendo la copertura sanitaria a circa 45 milioni di cittadini e propongono di sostituire la copertura federale data da Medicare con un sistema di voucher – a là Formigoni – con cui ogni cittadino anziano potrà decidere che tipo di assicurazione sottoscrivere. Il discorso è sempre lo stesso che sentiamo da anni, più mercato, meno stato, meno burocrazia, costi inferiori, servizi migliori. Una marea di balle. Nel 2007 la spesa pro-capite americana per i servizi sanitari raggiungeva l’allucinante cifra di 7.290$. Tanto per intenderci, la spesa pro-capite in Norvegia nello stesso anno era di 4.763$. Un business gigantesco fatto sulla pelle dei cittadini, sulla loro salute – e come potrebbe essere altrimenti se si trasforma la sanità in una macchina per fare profitti (questo fanno, legittimamente, le compagnie private)?
Naturalmente poi, se i voucher non saranno abbastanza consistenti da comprare una buona assicurazione questo sarà un problema del cittadino, che dovrà dunque farne a meno, o accontentarsi di un piano assicurativo insufficiente. Non ci può dunque sorprendere che gli Usa siano lo stato “occidentale” con la più bassa aspettativa di vita e con una mortalità infantile superiore a quella di Cuba.
Per quanto riguarda la finanza, Romney vuole ovviamente abolire la modesta riforma Dodd-Frank, supportato in massa da tutte le più grandi compagnie finanziarie. Il candidato repubblicano non dice neppure con cosa vorrebbe rimpiazzarla, probabilmente con nulla, riportando le lancette indietro al 2007 e alle fittizie regole che permisero la crescita sregolata della finanza e la sua successiva esplosione. Per rilanciare l’economia invece il piano è più chiaro. Il primo passo prevede una guerra commerciale contro la Cina, accusata di tenere artificialmente basso il valore del renminbi. Proprio quello che ci vuole per stabilizzare l’economia mondiale.
Sul piano domestico, invece, basta investimenti pubblici (già scarsi con Obama, ma che per quanto modesti almeno avevano leggermente ravvivato l’economia americana) e soprattutto il ritorno ad un grande classico repubblicano: meno tasse per i ricchi, proprio quello che aveva cominciato a fare prima Reagan – con risultati disastrosi – e poi di nuovo Bush junior – creando così quel gigantesco debito che tanto terrorizza gli americani. E per finanziare tasse più basse, giù di accetta sui servizi pubblici. A loro modo, i Repubblicani credono di aver individuato il problema dell’economia americana: i ricchi guadagnano troppo poco, e i poveri sono troppo sovvenzionati. Discorso per altro in linea con quanto disse Romney in un famoso fuori onda poco tempo fa, spiegando che non gli interessava di quel quasi 50% di cittadini con  redditi talmente bassi da non pagare nemmeno le tasse. Figuriamoci se devono essere i ricchi, che tanto han sudato, a dover pagare per le spese.
L’America di Romney è una America egoista, gretta e cattiva. E’ quella dei suoi amici repubblicani che vogliono vietare l’aborto anche in caso di stupro – il concepimento è comunque volere di Dio, e guai a opporsi alla Sua volontà. E’ l’America di Stand your Ground, la legge passata in qualche decina di stati (a maggioranza repubblicana), che trasforma qualsiasi cittadino in un potenziale giustiziere della notte – se qualcuno, magari un nero, si aggira sospetto nel vostro vicinato potete affrontarlo e magari sparargli e ammazzarlo senza incorrere in alcuna sanzione penale – esattamente quello che successe a Trayvon Martin, ucciso senza colpe in Florida all’inizio di quest’anno.
Insomma, l’America di Romney è quella che va in guerra (per ora solo commerciale) con la Cina, si accanisce sui poveri, lascia morire vecchi e malati e incoraggia la giustizia privata a colpi di fucile. L’alternativa non è tra destra e sinistra. E’ tra Obama e morte.

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Fonte:  Controlacrisi.org

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Elezioni presidenziali USA: un appello di Michael Moore ai compatrioti

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di Michael Moore

“Presidente Romney” – Come evitare che queste due parole siano mai pronunciate

Tra due settimane noi statunitensi ci recheremo ancora una volta alle urne per decidere chi sarà il presidente per i prossimi quattro anni. Non ci sarà consentito di votare su chi detiene il potere vero in questo paese. Il 6 novembre non voteremo il presidente della ExxonMobil o della JPMorgan Chase o della Citibank o il presidente della Cina. Ci arriveremo, ma non quest’anno.

Ora, io so che c’è un bel numero di voi, là fuori, che ritiene che non ci sia la benché minima probabilità che Barack Obama non sia rieletto alla Casa Bianca. E perché dovreste pensarla diversamente? Dopo l’incredibile congresso Democratico questa settimana, con il meglio dei discorsi del tipo ‘pestali e falli a pezzi’ che io abbia mai ascoltato da una bocca democratica da quando … da quando…  non mi ricordo da quando. Non si può fare a meno di avere dei contatti in alto se, dopo la settimana scorsa, si è quel tipo di persone che credono nella giustizia economica, nella pace e in un caffelatte da cinque dollari. Proprio ora, con il telefono che squilla, siete lì seduti a pensare che i vostri concittadini statunitensi si presenteranno in gran numero, o perché voglio proseguire l’era Obama o perché se la fanno addosso dalla fifa per i barbari alle porte, o per entrambe le cose. Siete convinti che i Repubblicani si siano fumati il cervello con tutti quei loro discorsi sulle parti del corpo femminile che voglio controllare anche se ora noi sappiamo che non hanno  idea di dove si trovino quelle parti, cosa siano o come funzionino.

Sì, pare certamente che gli elettori rifiuteranno questo tizio oscenamente ricco di nome Romney – Romney del Michigan/Massachusetts/New Hampshire/Utah/Zurigo/Grand Cayman – che non vuole spiegare esattamente da dove gli viene tutta questa ricchezza, dove la tiene, o quante tasse ci paga sopra. Lui vuole riportare indietro l’orologio agli anni ’50 – gli anni ’50 del 1800 – e si rifiuta di presentare un qualche piano specifico a proposito di quello che farà riguardo a una qualsiasi cosa. Lui vuole gestire il paese come un’impresa ma non è neppure in grado di controllare un attore ottantaduenne sul suo stesso palco congressuale, una leggenda di Hollywood che, nel giro di dieci minuti e mezzo, è passato dal Buono (l’ingresso sul palco) al Brutto (il parlare a una sedia) e al Cattivo (la sedia ha cominciato a … bestemmiare?). E’ stato meglio del miglior video su YouTube del gatto che tira l’acqua del water ed è stato un dono a tutti noi che sappiamo che Romney sarà condannato il prossimo novembre.

O no?

La settimana scorsa ho detto nel programma web HuffPost Live che faremmo tutti meglio a far pratica del pronunciare l’espressione “Presidente Romney” perché, vivendo in Michigan, posso dirvi che ci sono problemi qui, nelle due penisole, e non soltanto perché Romney è nato da queste parti o perché vorremmo vedere i nostri ragazzi di Cranbrook dare la caccia ai ragazzi gay e raparli a zero. Un sondaggio recente qui ha mostrato che Romney è in testa a Obama di quattro punti! Come può essere? Obama non ha salvato Detroit?

No, non l’ha salvata. Ha salvato la General Motors e la Chrysler. “Detroit” (e Flint e Pontiac e Saginaw) non sono state definite dalle imprese globali che succhiano le nostre città lasciandole a secco e poi se ne fuggono a far soldi altrove (eccetto, ovviamente, che continuano a progettare e fabbricare auto di merda, cosicché alla fine non fanno soldi per niente). Queste città del Michigan sono le persone che ci vivono e nel processo di “salvare Detroit” il signor Obama ha dovuto licenziare migliaia di queste persone e ridurre le indennità e le pensioni di quelle che sono state abbandonate. Ci sono un mucchio di licenziati in Michigan (e nel Wisconsin e in Ohio).  Persone che non sono state salvate anche se sono state salvate le imprese. Sto semplicemente affermando un fatto, e quelli di voi che non vivono qui dovrebbero conoscerlo.

L’altro problema che affrontiamo in queste elezioni (avviso importante: i bianchi arrabbiati possono voler interrompere la lettura qui) … è la razza. Temiamo tutti che ci sia probabilmente un 40% del paese che semplicemente non vuole un nero nello Studio Ovale. In effetti, nel 2008 Obama ha perso il voto dei bianchi. Ha perso ogni fascia di età dei bianchi tranne i giovani (dai 18 ai 29 anni).  E tuttavia ha comunque vinto per dieci milioni di voti! Il segreto ottimista che conosce la gente di Obama è che solo circa il 70% dei votanti a novembre sarà composto da bianchi. Così se lui riesce a conquistare appena il 35-40% di loro e poi ottiene una grande maggioranza della gente di colore, potrà ottenere la rielezione. Nella mia testa non c’è alcun dubbio che Obama sia più popolare di Romney e se tutti potessero votare per il loro allenatore come votano per l’American Idol, Obama vincerebbe a mani basse. Come ho detto in passato, viviamo in un paese liberale. La maggioranza degli statunitensi (che non si definisce “liberale”) ora appoggia la maggior parte del programma liberale: è per il matrimonio tra omosessuali, è per la libertà di scelta [riguardo al portare a termine una gravidanza – n.d.t.], è contro la guerra, crede che ci sia il riscaldamento globale e odia Wall Street per tutto quello che ha fatto a lei e ai suoi vicini. I Repubblicani lo sanno: sanno che noi, la maggioranza, faremo sesso quando ci pare e con chi ci pare, leggeremo e guarderemo quel che ci pare quando ci pare, fumeremo marijuana se ci va e se non ci va di certo non vorremo sbattere in galera i nostri amici che la fumano. Siamo stanchi e stufi di essere avvelenati, dalle sostanze chimiche e dalla propaganda, pensiamo che ai palestinesi sia stato riservato un trattamento iniquo e vogliamo indietro i nostri fottuti posti di lavoro! La Destra Cristiana (e i suoi finanziatori di Wall Street) lo sanno sin troppo bene: gli Stati Uniti hanno svoltato e non c’è modo di tornare indietro a non amare qualcuno a causa del colore della sua pelle o ad aspettarsi che una donna ceda il controllo del suo corpo a un branco di neandertaliani. Così cosa deve fare un destrorso adesso che abbiamo preso la corsia per Sodoma e il punto G? Devono sopprimere il voto! Devono impedire di votare al maggior numero possibile di liberali. Così hanno approvato molte leggi per la soppressione del voto per rendere difficile ai poveri, alle minoranze, ai disabili e agli studenti di votare. Credono onestamente di cavarsela così, ed è semplicemente possibile che ci riescano. La sola cosa “positiva” in questo è che la loro necessità di avere leggi simili per vincere le elezioni è un’ammissione da parte dei Repubblicani che sanno che gli Stati Uniti sono un paese liberale e l’unico modo in cui possono vincere adesso è barando. Credetemi, se credessero che gli Stati Uniti fossero un paese di destra approverebbero leggi che renderebbero il voto così facile che lo si potrebbe fare alla coda della cassa del Walmart.

Ma il voto del 6 novembre non avrà luogo in un posto come il Walmart o stando seduti in poltrona con le patatine. Può aver luogo solo in un seggio elettorale e, per non dichiarare l’ovvio, la parte che porta fisicamente il maggior numero di persone ai seggi quel giorno vince. Sappiamo che i Repubblicani stanno spendendo decine di milioni di dollari per assicurarsi che accada proprio questo. Hanno costruito una gigantesca macchina per trascinare la gente a votare il giorno delle elezioni e la pura forza del loro tsunami di odio è pronta a schiacciarci in un modo che non abbiamo mai visto prima. Quelli di noi che stanno nel Midwest ne hanno avuto un assaggio nel 2008. Stati tradizionalmente democratici – che hanno votato tutti per Obama – hanno visto le nostre amministrazioni statali e i posti da governatore sequestrati da questa macchina ben oliata. Non abbiamo saputo cosa ci avesse colpito, ma questi nuovi Repubblicani non hanno perso tempo per smantellare alcune delle cose fondamentali che ci sono care. Il Wisconsin ha contrattaccato, ma anche quella grande rivolta della base non è stata sufficiente a fermare il governatore comprato e pagato dai fratelli Koch. E’ stata una sveglia, di sicuro, ma ci siamo davvero svegliati?

E’ stata una gran settimana a Charlotte è mi sto preparando a sentire Obama tenere il suo discorso. Per noi va bene prenderci un paio di giorni per darci reciprocamente un cinque ma non posso sottolineare abbastanza che, a meno che voi ed io facciamo qualcosa ogni giorno nei prossimi sessanta giorni per portare la gente a votare, allora c’è la possibilità che il prossimo gennaio tutti diremo “presidente Romney”. Non pensate che non possa succedere. L’odio, triste a dirsi, almeno negli Stati Uniti di questi tempi, è una motivazione di gran lunga più forte dell’amore e del sentirsi fighi.

Per quelli di noi che ritengono che la storia dei Democratici e dei Repubblicani consista nell’eseguire gli ordini dell’un per cento (il finanziatore numero uno di Obama nel 2008 è stata la gente della Goldman Sachs) e che, anche se i Demo sono una banda più garbata/gentile, sono altrettanto pronti a mandarci in guerra e a venderci agli interessi delle imprese (e, sì, l’Obamacare [il programma di assistenza sanitaria di Obama] è stato un regalo di dollaroni alle compagnie assicurative; solo un sistema di assicurazione unica può fermare questo) queste elezioni sono un po’ una pillola amara. Siamo stati fortemente delusi quando il presidente Obama non è partito alla carica dopo l’insediamento a sistemare i danni che erano stati causati (come Franklin Delano Roosevelt fece nei suoi primi cento giorni) e solo quando Wall Street ha smesso di firmargli grossi assegni per la campagna elettorale l’anno scorso ha ritrovato le palle e ha cominciato a combattere la battaglia che va combattuta. E’ una persona buona e onesta (quando non manda droni a uccidere civili pachistani o non incrimina gole profonde del governo) e la sua elezione quattro anni fa è stata un momento alto di tale intensità emotiva che non sono riuscito a rimettermi da quanto ero fiducioso che questo paese fosse cambiato e avessimo trovato la nostra saldezza morale. La realtà ha fatto irruzione poche settimane dopo quando ha dato a Tim Geithner e a Larry Summers la reponsabilità della politica economica e poi ha cambiato idea a proposito della chiusura di Guantanámo.

Bene, allora le persone come me, almeno una volta nella vita, vorrebbero averla vinta fino in fondo! E’ chiedere troppo? Naturalmente c’è una domanda diversa ora nell’aria: dobbiamo ridare il paese alla massa che ha dato il paese all’un per cento? Penso di no. E allora uniamoci alla nostra maggioranza liberale e siamo accaniti e implacabili nei prossimi due mesi. Impieghiamo il tempo a spiegare alla gente cosa intendiamo quando diciamo cose come “assicurazione unica” e “Blackwater”. La politica e il destino della nazione (e del mondo, chiedo scusa, del mondo) sono al centro della contesa e quelli di noi che vogliono strappare il controllo della nostra società dalle mani dei pochi possono ricavare un robusto vantaggio dalle prossime settimane.  Non restati inattivi. Non cercate di convincere tutti che Obama ci ha miracolosamente trasformati; dite semplicemente loro che quattro anni semplicemente non bastano per rimediare a tutti i danni causati dal maggior crollo economico dopo la Grande Depressione e dalla maggior bestialità/menzogna militare della nostra storia.

Passerò ora al mio lato ottimista (scusatemi cinici, sapete che vi amo) e immaginerò un secondo mandato di Obama (e un Congresso controllato dai Democratici) che perseguirà tutto il bene che il nostro popolo merita e riporterà nelle nostre mani il potere della democrazia. C’è un buon motivo per cui la Destra è terrorizzata da un secondo mandato di Obama perché è esattamente questo che essa pensa che lui farà: apparirà il vero Obama e ci condurrà lungo il cammino della giustizia e della tolleranza sociale e a un equilibrio del terreno di gioco economico. Per una volta mi piacerebbe dire che sono d’accordo con la Destra e che spero sinceramente che il suo incubo peggiore diventi realtà.

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Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo       www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/president-romney-how-to-prevent-those-two-words-from-ever-being-spoken-by-michael-moore

Originale: Michaelmoore.com

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2012 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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