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Mina Welby intervistata da Micromega
Intervista di Cinzia Sciuto
25 Giugno 2021
Al via la raccolta di firme per il referendum per legalizzare l’eutanasia in Italia. Ne parliamo con Mina Welby, presidente dell’associazione Luca Coscioni.
Mina Welby, il primo luglio con l’Associazione Coscioni inizierete la raccolta di firme per un referendum sull’eutanasia. Cosa chiedete esattamente?
Attualmente in Italia l’eutanasia costituisce reato e rientra nelle ipotesi previste e punite dall’articolo 579 (Omicidio del consenziente) o dall’articolo 580 (Istigazione o aiuto al suicidio) del Codice penale. Il quesito referendario propone di abolire una parte dell’articolo 579 in modo che non venga punito chi aiuta una persona maggiorenne e pienamente capace di intendere e di volere a porre fine alla propria vita. Con il “Sì” al referendum infatti rimarrebbero naturalmente in vigore le disposizioni di legge che puniscono l’omicidio del consenziente “se il fatto è commesso: contro una persona minore degli anni diciotto; contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti; contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno”.
In assenza però di una legge specifica, se vincessero i “Sì” non ci sarebbe il rischio di troppa indeterminatezza rispetto alle condizioni in cui si può accedere all’eutanasia?
Naturalmente avere una legge ad hoc sarebbe l’ideale. Noi abbiamo depositato una proposta di legge di iniziativa popolare sul tema già nel 2013. Ma poiché evidentemente il parlamento non ha trovato modo e tempo in tutti questi anni di occuparsene, abbiamo pensato di dare la parola ai cittadini. Il rischio paventato comunque non c’è perché con la Sentenza Cappato la Corte Costituzionale ha stabilito che non è punibile “chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. Condizioni molto precise che non lasciano margini per abusi.
A chi spetta stabilire queste condizioni?
Innanzitutto e prioritariamente al malato. Ma naturalmente un ruolo cruciale lo svolgono i medici, che devono seguire con attenzione l’evolversi della malattia, proporre tutte le possibili terapie e cure anche palliative, “sintonizzarsi” con il malato per capirne le reali intenzioni. Non è una scelta che può essere fatta dall’oggi al domani, che deve essere ponderata, ma che certo non può essere impedita.
E parli per esperienza diretta…
Sì, la storia di Piergiorgio Welby da questo punto di vista è emblematica. Il suo medico, Mario Riccio [il medico che aiutò Welby a morire e che dopo un processo fu prosciolto da ogni accusa, n.d.r.] non ha fatto altro che eseguire la volontà di un paziente che conosceva bene, che era perfettamente capace di intendere e di volere, che non era depresso. Una persona che con grande lucidità desiderava porre fine a quella che non poteva più essere considerata vita.
Questa proposta di referendum arriva in seguito ad alcuni casi in cui Marco Cappato e tu stessa avete accompagnato delle persone in Svizzera, dove il suicidio assistito è legale. Ci racconti di queste esperienze?
Qualche anno fa abbiamo fondato S.O.S. Eutanasia un’associazione chiusa, costituita da 3 persone: Marco Cappato, Gustavo Fraticelli e io. Riceviamo richieste di malati che si trovano in gravi sofferenze e che pensano che per loro non ci sia altra soluzione che l’eutanasia o il suicidio assistito. Quando riceviamo queste richieste innanzitutto suggeriamo di rivolgersi a uno psicologo se ancora non l’hanno fatto e di parlare con il proprio medico, in particolare rispetto alla possibilità di accedere alle cure palliative. Talvolta capita che le persone ci dicano che non possono parlare di questo con il loro medico e allora noi diciamo: cambia medico! Perché è davvero assurdo che la figura che più deve stare vicina ai pazienti in così gravi condizioni chiuda le orecchie di fronte a simili richieste. Naturalmente suggeriamo anche a chi non l’ha fatto di redigere il testamento biologico e infine forniamo le informazioni e i contatti delle cliniche svizzere dove è possibile accedere al suicidio assistito, mettendoci a disposizione nel caso in cui la persona non abbia nessuno che possa accompagnarla. È quello che ha fatto Marco Cappato con Dj Fabo e che ho fatto anche io personalmente, insieme a Marco, con Davide Trentini.
Accedere al suicidio assistito in Svizzera, oltre che molto complicato perché gli accompagnatori al rientro rischiano appunto di essere denunciati in base all’articolo di legge che il referendum vorrebbe abrogare, è anche molto costoso…
Sì, parliamo di almeno 8-10mila euro, più le spese di viaggio. È assurdo che persino la morte dignitosa sia un lusso nel nostro Paese. Legalizzare l’eutanasia oltre che un atto ci civiltà è anche un atto di giustizia sociale.
Una delle avversarie principali della legalizzazione dell’eutanasia è la Chiesa cattolica. Recentemente mons. Zuppi in un confronto con il direttore di MicroMega ha sottolineato che il rifiuto delle cure e i trattamenti palliativi, anche quando questi possono accelerare la morte, sono accettabili mentre non lo è l’eutanasia attiva e il suicidio assistito, ossia quei casi in cui il malato assume o gli viene somministrato su sua richiesta se non è in grado di farlo da solo, un farmaco letale. Una forma di ipocrisia?
L’articolo 2278 del Catechismo recita: “L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente se ne ha competenza e capacità”. Sottolineo questo ultimo passaggio, e cioè che la Chiesa riconosce che l’ultima parola spetta al paziente. E francamente mi pare irrilevante la distinzione che viene fatta fra eutanasia attiva e passiva. Quello che conta è avere presente la situazione di gravissima sofferenza senza via d’uscita in cui si trovano molti malati. Dio non è un poliziotto e la Chiesa è fatta di uomini e donne. Siamo esseri fragili e siamo anche liberi di peccare. Quello che non vorremmo fare è violare le leggi dello Stato.
Pensi che riuscirete a raccogliere le 500mila firme necessarie a presentare il referendum?
Per raggiungere questo risultato entro il 30 settembre ci servono attivisti e soprattutto autenticatori delle firme. Voglio fare un appello dalle pagine di MicroMega: avvocati, cancellieri, notai, parlamentari, sindaci, assessori, consigliere comunali, consigliere regionali, dipendenti comunali, abbiamo bisogno di voi! Sul sito referendum.eutanasialegale.it si trovano tutte le informazioni. È semplice, le firme si possono autenticare in qualunque situazione, anche in spiaggia! Mettetevi una mano sulla coscienza e potrete essere orgogliosi di aver dato una mano a quello che rappresenterebbe un grande passo avanti di civiltà per il nostro Paese.
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Fonte: MicroMega
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Approfondimento
Il processo a Marco Cappato, punto per punto
Davide Trentini: il processo contro Mina Welby e Marco Cappato
Progetto di legge di iniziativa popolare Rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia
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