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Attacco di Assange al film su WikiLeaks “Il Quinto potere”

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La verità su Quinto Potere

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di G. Niola

Il film che ripercorre la storia di Wikileaks esce nelle sale. Con annessa polemica di Julian Assange. Che, probabilmente, non ha tutti i torti nel giudicare negativamente la pellicola

Quasi sempre quando esce un film che racconta storie o fatti di cronaca che riguardano persone ancora in vita, queste hanno da ridire. Questa volta però la persona in questione, Julian Assange, è il gestore del più grande collettore di documenti segreti del pianeta, WikiLeaks, e quindi non gli è stato troppo difficile ottenere la sceneggiatura definitiva di Il quinto potere prima che fosse visto in sala. E, dopo aver intessuto una corrispondenza con Benedict Cumberbatch (l’attore che ha impersonato la sua riduzione cinematografica), farne un accurato debunking, punto per punto.

In effetti, ora che abbiamo potuto vedere il film (esce nelle sale italiane il 24 ottobre) si fa fatica a dare torto ad Assange: che non ha nemmeno potuto vedere come quella sceneggiatura è stata recitata e come anche le immagini giochino a suo sfavore.

La storia è sceneggiata da Josh Singer (ex sodale di Aaron Sorkin su West Wing) ed è tratta da due libri: Inside WikiLeaks: My Time with Julian Assange and the World’s Most Dangerous Website di Daniel Domscheit-Berg, ex collaboratore di WikiLeaks ora in causa con Assange (non proprio la persona più imparziale da cui attingere), e WikiLeaks: Inside Julian Assangès War on Secrecy di David Leigh and Luke Hardin, giornalisti del Guardian(anch’essi coinvolti nei fatti raccontati, dunque non imparziali). Si parte dalla prima volta in cui Daniel Domscheit-Berg incontra fisicamente Julian Assange e comincia a collaborare con il suo sito, fino a quando i due non si separano burrascosamente in seguito alla pubblicazione dei cablogrammi e dei resoconti di guerra dall’Afghanistan del 2010.

Se da una parte l’idea che ne esce è che WikiLeaks sia stato determinante, una svolta necessaria che porterà ad un cambio in meglio nella nostra società, dall’altra è anche molto sottolineato come sia stato un esperimento immaturo, pericoloso, frutto del delirio di un uomo che non voleva ascoltare la ragione (rappresentata da Daniel Domscheit-Berg) e condotto senza tutti quegli strumenti che il giornalismo vero (rappresentato dal Guardian) ha maturato nei suoi secoli di evoluzione. Dunque non rimane che Assange a cui dare la colpa.

Nella sua disamina sulle inesattezze del film (dal suo punto di vista) Julian Assange, l’unica persona assente tra le fonti del film, si premura innanzitutto di difendersi dall’accusa più grave. Nel film infatti si sostiene, come spesso è stato ripetuto, che il problema con le rivelazioni del 2010 fu che mettevano in pericolo le fonti e i collaboratori del governo USA in zone pericolose e vediamo anche come uno di questi (preso ad esempio per tutti gli altri) scappi sudato e preoccupato con bambini in braccio e altri particolari melodrammatici. Tuttavia, ricorda il fondatore di WikiLeaks, nessuna fonte, nessuna persona e nessuno nominato in quei documenti ha subito ritorsioni o è stato effettivamente messo in pericolo. La minaccia tanto paventata non si è mai verificata. Questo nel film non è specificato.

Assange stesso è rappresentato come un mezzo matto, cosa che il soggetto in questione smentisce citando diverse interviste di Benedict Cumberbatch, in cui l’attore racconta di aver dovuto lottare con il regista perché il personaggio non sembrasse un megalomane o un cattivo da cartone animato. Allo stessa maniera poi il suo pensiero viene semplificato fino ad essere stravolto. Chi conosce i discorsi e la filosofia dietro WikiLeaks sa infatti che Assange non è un maniaco della trasparenza a tutti i costi come viene dipinto, ma una persona che crede fermamente nella privacy degli individui e ritiene che la trasparenza debba essere proporzionale al potere. In più, dopo aver ricordato che la base sono pubblicazioni di persone (Domscheit-Berg) che sono in causa con lui, l’interessato cita altri collaboratori come Sarah Harrison, Joseph Farrell o Kristinn Hrafnsson che a suo dire potrebbero raccontare gli eventi da un altro punto di vista.

A parte le considerazioni più generali, i dettagli più grossolanamente errati su cui Assange si sofferma riguardano gli eventi del 2010 durante i quali, a suo dire, Daniel Domscheit-Berg sarebbe stato già assente. Per il fondatore di WikiLeaks lui e il suo collaboratore non si sono più visti dopo il soggiorno in Islanda, dunque egli non avrebbe mai preso parte in alcuna maniera alle divulgazioni di Collateral Murder, War logs e i cablogrammi come invece il film mostra (mettendolo anche nella redazione di diversi giornali a rappresentare WikiLeaks). In più sembra che Assange non abbia mai incontrato Anke Domscheit-Berg (compagna di Daniel) con la quale invece lo vediamo intessere siparietti che suggeriscono un suo legame quasi morboso a Daniel. La storia dei due segue infatti gli stereotipi della love story, e Assange spesso si comporta come un partner deluso e tradito.

Ovviamente sono totalmente ricusate anche le accuse più lievi come quella di tingersi i capelli di bianco in seguito ad un’abitudine maturata quando da piccolo aderiva ad una setta (cosa anch’essa smentita), al pari dei passaggi più canzonatori come quando il protagonista è mostrato come un paranoico ossessionato dall’essere sorvegliato, cosa che secondo Assange è non solo vera ma anche ampiamente dimostrata.

Ma anche trascurando le controversie relative ad elementi di certo non marginali, l’impressione vedendo Il quinto potere è che sia il risultato del lavoro di qualcuno che ne apprezza il concetto di base (ribellione, conquista dei propri diritti di cittadini ecc) ma che proviene da un mondo molto lontano da quello di WikiLeaks e da una mentalità radicalmente differente.

Lo dimostra la metafora usata per spiegare l’organizzazione (un ufficio anni ’50 dove i leak arrivano sotto forma di fogli di carta!), lo dimostra la poca confidenza con la tecnologia (“Per sistemare questo filmato possiamo usare FFMPEG e Final Cut” viene detto ad un certo punto da un esperto, con il tono di chi ha usato un linguaggio oscuro e nominato stratagemmi da smanettone), e lo dimostra il totale appoggiarsi per qualsiasi conclusione, e per dare a WikiLeaks l’onore delle armi, alla vecchia e cara carta stampata, ai giornalisti del Guardian, unici depositari della vera coerenza e della sapienza giornalistica.

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Il blog di G.N.

Fonte: Punto Informatico

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La caccia ad Assange: aggressione alla libertà e parodia di giornalismo

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di John Pilger

La minaccia del governo britannico di invadere l’ambasciata ecuadoriana di Londra per catturare Julian Assange è di portata storica. David Cameron, l’ex uomo delle pubbliche relazioni di un imbonitore televisione e venditore di armi agli sceicchi, è ben piazzato per non onorare le convenzioni internazionali che hanno protetto i britannici in luoghi di rivolta. Proprio come l’invasione dell’Iraq da parte di Tony Blair ha condotto direttamente agli atti di terrorismo a Londra del 7 luglio 2005, così Cameron e il Segretario agli Esteri William Hague hanno compromesso la sicurezza delle rappresentanze britanniche nel mondo.

Minacciando di abusare di una legge mirata ad espellere gli assassini dalle ambasciate straniere e diffamando nel frattempo un innocente definendolo “presunto criminale”, Hague ha fatto della Gran Bretagna lo zimbello del mondo, anche se la sua opinione è prevalentemente celata in Gran Bretagna. Gli stessi giornali e le stesse emittenti coraggiose che hanno appoggiato la parte svolta dalla Gran Bretagna in epici crimini sanguinari, dal genocidio in Indonesia all’invasione dell’Iraq e dell’Afghanistan, ora attaccano “i precedenti nel campo dei diritti umani” dell’Ecuador, il cui vero delitto consiste nell’opporsi ai prepotenti di Londra e Washington.

E’ come se la plaudente religiosità olimpica sia stata sovvertita nel giro di una notte da un’esibizione rivelatrice di criminalità coloniale. Testimoni l’ufficiale dell’esercito e giornalista della BBC Mark Urban che “intervista” un ragliante sir Christopher Meyer, ex apologeta di Blair a Washington, all’esterno dell’Ambasciata ecuadoriana, la coppia eruttante pomposa indignazione nazionalistica per il fatto che l’introverso Assange e il non intimidito Rafael Correa osino denunciare il sistema di potere rapace dell’occidente. Un simile affronto appare vivido nelle pagine del Guardian, che ha consigliato Hague di essere “paziente” e che attaccare l’ambasciata avrebbe fatto “più danni del necessario”. Assange non è un rifugiato politico, ha dichiarato il Guardian, perché “né la Svezia né la Gran Bretagna deporterebbero in nessun caso qualcuno che potesse essere sottoposto a tortura o condannato a morte.”

L’irresponsabilità di questa dichiarazione è coerente con il perfido ruolo svolto dal Guardian nell’intero affare Assange. Il giornale sa benissimo che i documenti diffusi da WikiLeaks indicano che la Svezia si è costantemente sottomessa alle pressioni degli Stati Uniti in questioni di diritti civili. Nel dicembre 2001 il governo svedese ha sbrigativamente revocato lo status di rifugiato politico a due egiziani, Ahmed Agiza e Mohammed el-Zari, che sono stati consegnati alla squadra sequestri della CIA all’aeroporto di Stoccolma e “restituiti” all’Egitto, dove sono stati torturati. Un’indagine del difensore civico svedese per la giustizia ha rilevato che il governo aveva “gravemente violato” i diritti umani dei due uomini. In un dispaccio del 2009 dell’ambasciata USA ottenuto da WikiLeaks, intitolato “WikiLeaks mette la neutralità nel cestino della storia”, la vantata reputazione di neutralità dell’élite svedese è denunciata come una mistificazione. Un altro dispaccio statunitense rivela che “la misura della collaborazione [dell’esercito e dei servizi segreti svedesi con la NATO] non è diffusamente nota” e se non tenuta segreta “esporrebbe il governo a critiche all’interno”.

Il ministro degli esteri svedese, Carl Bildt, ha svolto un ruolo eminente, tristemente noto, nel Comitato per la Liberazione dell’Iraq di George Bush e mantiene rapporti stretti con l’estrema destra del Partito Repubblicano.  Secondo l’ex direttore svedese della pubblica accusa, Sven-Erik Alhem, la decisione della Svezia di perseguire l’estradizione di Assange per accuse di molestie sessuali è “irragionevole e non professionale, nonché scorretta e sproporzionata”.  Essendosi reso disponibile all’interrogatorio Assange ha avuto il permesso di lasciare la Svezia per recarsi a Londra dove, di nuovo, si è offerto per essere interrogato. A maggio, in un giudizio finale d’appello sull’estradizione, la Corte Suprema britannica ha introdotto un’ulteriore farsa facendo riferimento ad “accuse” inesistenti.

Ad accompagnare il tutto c’è stata una campagna di vituperazione personale contro Assange. Gran parte di essa proviene dal Guardian che, come un amante respinto, si è rivoltato con la sua ex fonte assediata avendo enormemente approfittato delle rivelazioni di WikiLeaks. Senza che un solo penny andasse ad Assange o a WikiLeaks, un libro del Guardian ha portato a un lucroso accordo cinematografico con Hollywood. Gli autori, David Leigh e Luke Harding, insultano gratuitamente Assange come “personalità lesionata” e “insensibile”. Rivelano anche la password segreta che egli aveva dato confidenzialmente al giornale, intesa a proteggere un file digitale contenente i dispacci dell’ambasciata USA. Il 20 agosto Harding era all’esterno dell’ambasciata ecuadoriana gongolando sul suo blog che “Scotland Yard può ridere per ultima”. E’ ironico, anche se del tutto inappropriato, che un editoriale del Guardian che dà il più recente calcio ad Assange abbia un’inquietante somiglianza con il prevedibile accresciuto fanatismo della stampa di Murdoch sullo stesso tema. Come svanisce la gloria di Leveson, Hackgate e dell’onorevole giornalismo indipendente!

I suoi aguzzini fanno della persecuzione di Assange un punto d’onore. Non accusato di alcun crimine, non è un fuggiasco dalla giustizia. I documenti del caso svedese, compresi i messaggi delle donne coinvolte, dimostrano a qualsiasi persona imparziale l’assurdità delle accuse sessuali, denunce quasi interamente immediatamente scartate dal procuratore capo di Stoccolma, Eva Finne, prima dell’intervento di un politico, Claes Borgstrom. All’udienza preliminare di Bradley Manning, un inquirente dell’esercito statunitense ha confermato che lo FBI stava segretamente mettendo nel mirino i “fondatori, proprietari o gestori di WikiLeaks” per accusarli di spionaggio.

Quattro anni fa un documento scarsamente notato del Pentagono, fatto trapelare da WikiLeaks, descriveva come WikiLeaks e Assange sarebbero stati distrutti da una campagna di fango che avrebbe portato all’”incriminazione penale”. Il 18 agosto il Sidney Morning Herald ha scoperto, in documenti diffusi in base alla legge sulla libertà d’informazione, che il governo australiano aveva ricevuto ripetutamente conferma che gli Stati Uniti stavano conducendo una caccia “senza precedenti” ad Assange e non aveva sollevato obiezioni.  Tra i motivi dell’Ecuador per concedere l’asilo c’è l’abbandono di Assange “da parte dello stato di cui è cittadino”. Nel 2010 un’indagine della polizia federale australiana ha rilevato che Assange e WikiLeaks non avevano commesso alcun crimine. La sua persecuzione è un attacco a noi tutti e alla libertà.

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/the-pursuit-of-julian-assange-is-an-assault-on-freedom-and-a-mockery-of-journalism-by-john-pilger

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2012 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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Approfondimento (madu)

Wikileaks: la vera storia della pubblicazione senza filtri degli archivi

La guerra a #WikiLeaks – John Pilger intervista Julian #Assange

WikiLeaks – Bradley Manning per la nomination al premio Nobel per la Pace 2012

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La guerra a #WikiLeaks – John Pilger intervista Julian #Assange

23 ottobre 2011  –>   Postato da wikileaksit il 23-10-2011 alle ore 17:37:17

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Gli attacchi a WikiLeaks e al suo fondatore, Julian Assange, sono una reazione a una rivoluzione dell’informazione che minaccia i vecchi ordini del potere nella politica e nel giornalismo. L’istigazione all’omicidio sbandierata da figure pubbliche degli Stati Uniti assieme ai tentativi dell’amministrazione Obama di forzare la legge per mandare Assange in un buco d’inferno di prigione per il resto dei suoi giorni, sono le reazioni di un sistema avido denunciato come mai prima.

Nelle settimane recenti il Dipartimento della Giustizia USA ha formato un grand jury segreto appena al di là del fiume di Washington nel distretto orientale dello stato della Virginia. L’obiettivo è incriminare Julian Assange sulla base di una legge screditata sullo spionaggio utilizzata per arrestare i pacifisti durante la prima guerra mondiale o sulla base di uno dei regolamenti riguardanti la cospirazione della “guerra al terrore” che hanno degradato la giustizia americana. Esperti giuridici descrivono la giuria come “una deliberata messa in scena”, facendo notare che questo angolo della Virgilia è la residenza dei dipendenti, e delle loro famiglie, del Pentagono, della CIA, del Dipartimento della Sicurezza Interna e di altri pilastri del potere americano.

“Non sono buone notizie” mi ha detto Assange quando ci siamo parlati la scorsa settimana, la sua voce cupa e preoccupata. Dice che può avere “giorni brutti, ma recupero”. Quando ci siamo incontrati a Londra l’anno scorso io dissi “Ti stai facendo dei nemici molto seri, nientemeno che i governi più potenti impegnati in due guerre. Come te la cavi con questa sensazione di pericolo?” La sua risposta è stata caratteristicamente analitica: “Non è che manchi la paura. Ma il coraggio è in realtà il dominio intellettuale della paura, comprendendo quali sono i rischi e come aprirsi un cammino attraverso di essi.”

Malgrado le minacce alla sua libertà e sicurezza, egli dice che gli USA non sono il principale “nemico tecnologico” di WikiLeaks. “La Cina è il principale avversario. La Cina ha una tecnologia di intercettazione aggressiva e sofisticata che si interpone tra ogni lettore in Cina e ogni fonte di informazione fuori dalla Cina. Stiamo combattendo una battaglia per la pubblicazione per assicurarci che possiamo far passare le informazioni, e ci sono ora modi di ogni tipo attraverso i quali i Cinesi possono arrivare al nostro sito.”

E’ stato in questo spirito di “far passare le informazioni” che WikiLeaks è stato fondato nel 2006, ma con una dimensione morale. “L’obiettivo è la giustizia” ha scritto Assange nella pagina di introduzione (homepage). “Il metodo è la trasparenza.” Contrariamente ai mantra mediatici correnti, il materiale di WikiLeaks non viene “scaricato”. Meno dell’uno per cento dei 251.000 dispacci delle ambasciate è stato diffuso. Come precisa Assange, il compito di interpretare e revisionare il materiale che potrebbe danneggiare persone innocenti richiede “standard [adeguati] ai più elevati livelli di informazione e fonti di primo piano.” Per il potere reticente, questo è giornalismo del tipo più pericoloso.

Il 18 marzo 2008 era stata anticipata una guerra a WikiLeaks in un documento segreto del Pentagono preparato dalla “Sezione Valutazione Controspionaggio Cibernetico” . I servizi di informazione USA, dichiarava, intendevano distruggere il sentimento di “fiducia” che è il “centro di gravità” di WikiLeaks. Era stato programmato di fare questo mediante minacce di “denuncia [e] incriminazione penale.” Zittire e criminalizzare questa rara fonte di giornalismo indipendente era lo scopo, la calunnia il metodo. Non v’è furia all’inferno che uguagli quella dei mafiosi imperiali derisi.

Altri, ugualmente derisi, hanno successivamente svolto una parte di sostegno, intenzionalmente o meno, nella caccia ad Assange, alcuni per motivi di gretta gelosia. Sordido e squallido sono gli aggettivi che descrivono il loro comportamento, che serve solo a evidenziare l’ingiustizia nei confronti di un uomo che ha coraggiosamente rivelato quello che abbiamo diritto di sapere.

Mentre il Dipartimento della Giustizia USA emette mandati contro le caselle email e Twitter, le registrazioni dei conti bancari e delle carte di credito di persone di tutto il mondo – come se fossimo tutti sudditi degli Stati Uniti – molti dei media “liberi” di entrambi i lati dell’Atlantico dirigono la loro indignazione contro la persona cacciata.  (leggi tutto)

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Fonte: Wikileaks Italia

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