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Tribù amazzoniche Vs petrolieri

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Il Popolo del Giaguaro - Foto: Revistamundoverde.net

Il Popolo del Giaguaro – Foto: Revistamundoverde.net

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di Alessandro Graziadei

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C’era chi i giaguari voleva “smacchiarli” e c’è la tribù amazzonica dei Matsés che vive lungo la frontiera tra Perù e Brasile e prova a non far “smacchiare” i suoi fratelli incontattati minacciati dalla multinazionale petrolifera Pacific Rubiales. Il “Popolo del Giaguaro”, chiamato così per i tatuaggi e le decorazioni del viso, vive attorno al “Lotto 135” nel dipartimento di Loreto dell’Amazzonia peruviana, dove la compagnia canadese-colombiana ha già iniziato le prospezioni petrolifere nonostante questo si estenda in un’area proposta come riserva per le tribù incontattate, ed ha in progetto ulteriori esplorazioni nel territorio Matsés con un progetto da 36 milioni di dollari che prevede lo sfruttamento della foresta pluviale utilizzata dagli Indiani per cacciare e raccogliere.

Vicino ai Matsés, un popolo di circa 2.200 persone, vivono, infatti, altri gruppi indigeni incontattati, sia in Perù sia in Brasile. Negli anni ‘90, i taglialegna invasero la terra Matsés e gli Indiani incontattati fuggirono. “Oggi abbiamo mandato via i taglialegna e gli Indiani stanno tornando. Ma le ambizioni della compagnia petrolifera li costringerà a fuggire di nuovo” ha dichiarato Salomon Dunu, un capo Matsés a Survival International. “I nostri fratelli incontattati vivono nella foresta. Li abbiamo sentiti molte volte, sappiamo che ci sono”, ma “Se i lavori dovessero continuare, gli Indiani incontattati e gli operai della compagnia petrolifera si ritroverebbero entrambi a rischioha ricordato la scorsa settimana il direttore generale di Survival International Stephen Corry. “Gli Indiani sono particolarmente vulnerabili alle malattie trasmesse dall’esterno, verso cui non hanno difese immunitarie, mentre i lavoratori rischiano di essere attaccati dagli Indiani, che li vedranno come invasori nel loro territorio”. Inoltre ha ricordato in un video messaggio Dunu “Siamo un popolo indigeno, e abbiamo bisogno di spazio per vivere. Non abbiamo solo bisogno di spazio per i nostri orti e le nostre case, ma anche per cacciare. Ora, i luoghi dove cacciavamo abitualmente sono tagliati dalle linee sismiche della compagnia petrolifera. Dite al mondo che i Matsés rimangono fermamente contrari alla compagnia petrolifera. Non la vogliamo nella nostra terra per il bene e il rispetto dei diritti nostri e dei nostri fratelli incontattati”.

Per questo i Matsés in collaborazione con Survival hanno inviato un appello urgente agli azionisti della Pacific Rubiales (tra cui Citigroup, JP Morgan, General Electric, Blackrock, HSBC, Allianz, Santander, Legal and General e gli azionisti italiani come ARCA, BNP Paribas, Credit Suisse e Rossini Lux Funds) chiedendo di disinvestire dalla Pacific Rubiales e nella speranza che l’intera area sia al più presto protetta, come le vite degli Indiani incontattati. “Vi scriviamo per farvi pervenire un messaggio da parte degli Indiani Matsés del Perù settentrionale – si legge nella lettera agli investitori (.pdf) – È noto che alcune tribù incontattate vivono nel Lotto 135: se dovessero entrare in contatto con l’esterno, le loro vite, e quelle dei lavoratori petroliferi, sarebbero messe in grave pericolo. I Matsés hanno diritti territoriali sull’area che si trova proprio a nord del Lotto 135, e utilizzano l’area dove lavora la compagnia per cacciare e raccogliere cibo. Il loro territorio ufficiale è stato inserito all’interno di un secondo lotto (il 137), sempre di proprietà della PacificRubiales e in cui la compagnia ha confermato di avere in progetto future prospezioni. […] Vi preghiamo di rispettare le leggi internazionali proteggendo il diritto dei popoli tribali alle loro terre e alla vita. Per questo, chiediamo alla vostra società di disinvestire dalla Pacific Rubiales”.

Una battaglia persa in partenza? No perché cacciare una multinazionale dal proprio territorio è possibile, così come denunciarla di fronte alla Commissione Interamericana per i Diritti Umani e veder riconosciuti i propri diritti: ce lo hanno insegnato gli indigeni Sayaraku, un popolo composto da non più di mille abitanti che abita in Ecuador, sulle rive del Rio Bobonaza, nella zona orientale del paese, anche loro residenti in piena foresta amazzonica. La loro incredibile storia è stata raccontata dall’attivista Sayaraku Eriberto Gualinga, uno dei leader della sua comunità, che ha girato il documentario I discendenti del giaguaro, visibile in Italia grazie ad un tour organizzato all’inizio di giugno di quest’anno da Amnesty International che ha permesso a questa piccola comunità ecuadoriana di far conoscere la sua storia di dignità e resistenza di fronte all’invasione straniera, quando un’impresa petrolifera argentina ha iniziato all’improvviso a svolgere i primi sondaggi petroliferi sotto la protezione militare del Governo ecuadoregno nel territorio Sayaraku. Eriberto ha filmato questi primi tentativi di estrarre il petrolio nel 2002 e le sue riprese sono servite a bilanciare una comunicazione che fino ad allora era stata manipolata dall’impresa petrolifera e dai militari. Nel documentario emerge più volte l’arroganza dei militari e la fierezza dei Sarayaku, con le donne in prima fila durante l’assemblea durante la quale viene scelta la delegazione che si recherà in Costarica per presentare la denuncia di fronte alla Commissione Interamericana per i Diritti Umani.

Il risultato? La Commissione Interamericana ha visitato il territorio Sayaraku e ha toccato con mano i disastri compiuti dall’impresa argentina. Si è trattato di un fatto storico perché mai la stessa Corte, prima d’ora, si era occupata di un popolo indigeno e tantomeno aveva messo alle strette uno stato. Dopo dieci anni di lotte per la difesa del proprio territorio, infatti, la Corte ha reso pubblica la sua sentenza nel giugno 2012, stabilendo che sull’Ecuador pesa “la responsabilità di non aver consultato i Sarayaku in relazione al progetto petrolifero appaltato all’impresa argentina”. Inoltre, la Commissione ha ribadito l’obbligo, per qualsiasi stato, di svolgere una consultazione previa con i popoli indigeni. L’Ecuador ha calpestato questo principio mettendo a rischio il diritto alla vita e all’integrità personale dei Sarayaku, soprattutto permettendo all’impresa argentina di introdurre oltre 1.400 chilogrammi di esplosivo in varie zone del territorio indigeno. Ora dopo l’interruzione dei lavori, l’Ecuador avrebbe l’obbligo di risarcire i Sarayaku con un indennizzo significativo.

Per fortuna non si tratta solo di un lieto fine in stile Avatar, ma di una storia vera che sarà raccontata da Eriberto Gualinga in un nuovo documentario che si chiamerà El canto de la flor: uscirà a settembre e racconterà i festeggiamenti della sua comunità in seguito alla sentenza del giugno 2012, ma la battaglia non è finita. L’Ecuador deve ancora attenersi alla sentenza imposta dalla Commissione Interamericana e non è detto che lo faccia.

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Fonte: unimondo.org

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La storia infinita e le atroci torture di Guantánamo. Perché il campo di detenzione non si chiude?

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di Valeria Sirigu

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Dall’11 gennaio 2002, il governo degli Stati Uniti, sotto l’amministrazione Bush, ha aperto tale struttura carceraria all’interno della base, rivolta alla detenzione di prigionieri catturati in Afghanistan e ritenuti collegati ad attività terroristiche. Barack Obama fin dal suo primo mandato lo vorrebbe chiudere perché a suo dire è incostituzionale, ma riceve troppe pressioni dalle altre forze politiche e a tutt’ora questa realtà devastante per la dignità umana è ancora aperta.

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La Baia di Guantánamo è nella punta sud-est dell’isola di Cuba, a oltre 21 km a sud della città di Guantánamo. È caratterizzata principalmente per la presenza dell’omonima base navale statunitense e del relativo campo di prigionia.

Il campo di detenzione è composto da tre strutture: il Camp Delta (che comprende il “Camp Echo”), il “Camp Iguana“, e il “Camp X-Ray“, l’ultimo dei quali è stato chiuso.

Circa le modalità di reclusione, sono state sollevate polemiche per le condizioni carcerarie e l’effettivo status giuridico-fattuale dei detenuti. Una vera e propria realtà devastante per la dignità umana in quanto questo carcere è conosciuto come: “The battle lab” (il laboratorio della guerra) «dove migliaia di detenuti sono sottoposti ad esperimenti umani e psicologici», come lo definiscono il generale Mike Dunlean ed il Maggiore Geoffrey.

Dunque questi cosiddetti “esperimenti” sono assimilabili come tecniche di torture, ecco qui l’elenco delle più applicate:

  1.  violenza e umiliazione sessuale;
  2. privazione del sonno;
  3. deprivazione sensoriale, cioè quella pratica consistente nel privare un essere umano della possibilità di percepire una o più tipologie di stimoli sensoriali (vista, udito, tatto, olfatto, gusto), che a lungo termine può dare disturbi di forte ansia, allucinazioni, depressione e comportamenti antisociali;
  4. isolamento;
  5. finte esecuzioni;
  6. terapie farmacologiche forzate, un esempio può essere quello della meflochina (farmaco per la malaria), che ai detenuti può essere indiscriminatamente somministrato in dosi pari a 1,250 mg, 5 volte superiore al dosaggio previsto nei casi del trattamento e quindi determina effetti devastanti sulla psiche: istinti al suicidio, allucinazioni, ansia, depressione, attacchi di panico;
  7. l’uso di cani per spaventare i detenuti;
  8.  temperature estreme;
  9. bombardamento sensoriale (rumore o musica fastidiosa in cuffie);
  10. guardare gli altri essere torturati;
  11. tecniche psicologiche;
  12. far stare i detenuti per lungo tempo nelle posizioni cosiddette di stress, che procuranoano stanchezza e dolori fisici.

In più si deve tenere conto che queste torture spesso sono impartite in modo simultaneo, pertanto lo stress fisico e psicologico dei carcerati è a livelli inauditi per qualunque essere umano.

Ovviamente tutto ciò in violazione del Diritto Internazionale Umanitario tra cui: Patto Internazionale relativo ai Diritti Civili e Politici del 16 febbraio 1966, Convenzione del 10 dicembre 1984 contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, III Convenzione di Ginevra relativa al trattamento dei prigionieri di guerra del 12 agosto 1949 rispettivamente ratificati: il primo l’8 giugno 1992, il secondo il 21 ottobre 1994, il terzo il 2 agosto 1955, ed entrati in vigore: il primo l’8 settembre 1992, il secondo il 20 novembre 1994, il terzo il 6 febbraio 1956, dagli Stati Uniti seppur tutte e tre con riserve e obiezioni.

Oltretutto anche in violazione della Costituzione americana.

I prigionieri, per denunciare le condizioni deterioranti in cui vivono e le ispezioni illecite delle loro celle, hanno intrapreso lo sciopero della fame all’inizio di febbraio.

Focus:

Dopo la conferma che più della metà dei detenuti sono ora in sciopero della fame al fine di denunciare le violazioni dei diritti umani, affianco a loro è scesa in campo Amnesty International per fronteggiare questa situazione incresciosa per la dignità umana; asserendo che le autorità statunitensi devono urgentemente cessare la detenzione indefinita a Guantánamo.

Rob Freer, ricercatore americano di Amnesty International, ha affermato: “La situazione attuale a Guantanámo costituisce un altro ricordo del misero fallimento degli Stati Uniti per risolvere queste detenzioni“. Secondo svariati rapporti, le autorità militari hanno dichiarato che sedici detenuti in sciopero della fame vengono nutriti col metodo tube fed, il sistema di alimentazione forzata più intrusivo e doloroso che ci sia, normalmente usato in medicina per alimentare soggetti con disabilità croniche e gravissime che non permettono l’alimentazione orale. Cinque carcerati nutriti attraverso tale procedura, che può essere considerato anch’essa una tortura, sono stati ricoverati in ospedale.

Un giornalista del New York Times è venuto a sapere, dall’avvocato del cittadino yemenita, Samir Naji al Hasan Moqbel in sciopero della fame da febbraio, queste parole: “Non dimenticherò mai la prima volta che mi passavano il sondino nel naso. Non riesco a descrivere quanto sia doloroso essere alimentato forzatamente in questo modo “.

James Welsh, altro ricercatore di Amnesty International sulla salute e la detenzione, si è espresso in questi termini: “L’alimentazione artificiale obbligatoria è paragonabile a trattamenti crudeli, inumani o degradanti in violazione del diritto internazionale, se è intenzionalmente e consapevolmente condotta in modo che provoca dolore o sofferenze inutili“; inoltre “La situazione attuale esalta la necessità che ai detenuti sia garantito l’accesso libero continuo e regolare alla valutazione medica e la cura, e tutto il personale medico sia tenuto a rispettare l’etica medica.”.

Dunque Amnesty International, Il 22 marzo, ha scritto al Segretario della Difesa U.S.A., Charles Hagel, manifestando timore per la salute e il benessere dei prigionieri; invitando l’amministrazione statunitense a lavorare con il Congresso, come se fosse una questione d’urgenza per ridare priorità a una risoluzione delle detenzioni e chiusura della struttura. A tutt’oggi l’organizzazione non ha ancora ricevuto una risposta.

In più Rob Freer ha affermato che: “È passato molto tempo per tutti e tre i rami del governo degli Stati Uniti quanto ad affrontare la situazione a Guantanámo come una questione d’urgenza e per i diritti umani”,”La detenzione indefinita deve finire. I detenuti che il governo non ha alcuna intenzione di accusare per reati penalmente riconoscibili devono essere rilasciati senza ulteriori ritardi “.

Conclusioni:

Credo che Barack Obama debba avere il coraggio di chiudere quanto prima questa struttura, visto che lui è già al secondo mandato presidenziale e non ha più nulla da perdere. Oltretutto i carcerati, una volta usciti da Guantanámo, possono essere socialmente pericolosi, in quanto le torture subite hanno inciso sulla loro psiche ed emotività, quindi hanno il diritto ad essere curati, se non si vogliono creare serial killer allo scopo di trarne dei capi espiatori.

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Fonte: Diritti d’Europa

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Link per approfondire:

http://www.imerica.it/9-miti-da-sfatare-su-guantanamo-e-i-droni/

http://blog.ilmanifesto.it/losangelista/2013/04/30/obama-guantanamo-deve-essere-chiusa/

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Aggiornamento (madu)

il Manifesto: INTERVISTA David Remes, giurista e legale dei detenuti. Sciopero della fame al quinto mese

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Anonymous #OpIsrael# – 7 aprile 2013 durissimo attacco ad Israele. Sarà oscurato il paese!

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#OPIsrael

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“Saluti Cittadini del mondo, questo è Anonymous.

È venuto alla nostra attenzione che il governo israeliano ha ignorato i ripetuti avvertimenti circa l’abuso dei diritti umani, la chiusura di Internet in Israele e usare violenza sui propri cittadini e quelli dei paesi vicini.

Il 7 Apr 2013 sarà un data da ricordare per le forze di difesa israeliane e le forze di sicurezza di Internet. Noi colpiremo qualsiasi e tutti i siti web che riteniamo essere nel Cyberspazio israeliano come rappresaglia per le violenze sul popolo di  Gaza e in altre aree.

Anonymous è stato a guardare, e tu hai ricevuto avvertimenti giusto del nostro intento di prendere il controllo del vostro cyberspazio nel rispetto dei diritti umanitari fondamentali di libertà di parola e il diritto di vivere. Come di 09:00 Pacific Standard Time, il numero di siti web israeliani hanno attaccato è di circa 10.000. L’ulteriore assalto alla popolazione di Gaza, la gente della Palestina o di qualsiasi altro gruppo sarà trattato come una violazione dei collettivi di Anonymous intento a proteggere le persone del mondo.

Israele, è nel vostro interesse a cessare e desistere qualsiasi ulteriore azione militare o il vostro conseguenza diventerà peggio di ora in ora. Questo è un messaggio da Anonymous Op Israele,  Pericolo hacker, anonime operazioni speciali e il collettivo Anonymous di tutto il pianeta. Tratteremo ogni morte   come un attacco diretto ad Anonymous e sarete da noi attaccati rapidamente e senza preavviso. I nostri cuori sono con le donne, i bambini e le famiglie che stanno soffrendo in questo momento, come risultato diretto del governo israeliano e degli abusi dei suoi militari.

Fratelli e sorelle di Anonymous, vi invitiamo a protestare contro il governo israeliano e le forze ostili associate. Ora è il momento  per aiutare le persone che stanno soffrendo. Aiuta le persone che si stanno prendendo vantaggio. Aiutare quelli che stanno morendo e che favorirà il collettivo nel suo insieme e che possiamo contribuire a portare una pace nella regione di Gaza a quelle persone che così disperatamente bisogno. Chiediamo al collettivo anonimo di hack, deturpare, banchine, dirottare, perdita di dati, acquisizione admin, quattro oh quattro e DNS terminano il Cyberspazio israeliano con ogni mezzo necessario.

Per il governo israeliano, Anonymous è stanco del vostro bullismo, e ora si vedrà il risultato delle vostre azioni.

Cyber ​​guerra è stata dichiarata al cyber spazio di Israele   e vedrete esattamente ciò di cui siamo capaci. Israele, l’angelo della morte è stato chiamato al cyberspazio.

Noi siamo Anonymous.

Siamo una legione.

Noi siamo uniti.

Aspettateci e rispettateci.”

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VIDEO-COMUNICATO

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