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Diffondete: Non vogliamo il condannato per frode fiscale sulle reti Rai

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di Vincenzo Pisciscelli

La televisione ha un’enorme influenza sui telespettatori pertanto l’uso positivo o negativo che se ne fa, determina o quanto meno influenza le decisioni della vita quotidiana, la cultura e le nostre scelte anche in chiave elettorale. Pubblicizzare e consentire ai condannati in via definitiva con sentenza della Corte di Cassazione di poter fare comizi elettorali è diseducativo.

I condannati con sentenza in via definitiva con sentenza della Corte di Cassazione devono solo rispettare la legge, le sentenze, il popolo e pagare il proprio conto con la Giustizia.

In questo contesto riteniamo che la presenza del Silvio Berlusconi condannato in via definitiva con sentenza della Corte di Cassazione per frode fiscale: Silvio Berlusconi fu ”ideatore del meccanismo del giro dei diritti che a distanza di anni continuava a produrre effetti (illeciti) di riduzione fiscale per le aziende a lui facenti capo”. – Silvio Berlusconi: le motivazioni della sentenza di condanna inerente i diritti Mediaset. alla trasmissione Porta a Porta trasmessa da RAIUNO in prima serata e condotta da Bruno Vespa è diseducativa, offensiva ed umiliante per i cittadini onesti che pagano il canone RAI.

mploriamo, pertanto, l’intervento delle Istituzioni competenti che prendano atto di dette gravi anomalie del servizio pubblico ed impediscano la pubblicità gratuita e la partecipazione sulle reti pubbliche al condannato per frode fiscale con sentenza della Corte di Cassazione.

Ricordiamo il precedente episodio che ancora aspetta giustizia: Grave, che RAINEWS24 abbia trasmesso la diretta del comizio elettorale di un condannato per frode fiscale.

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Fonte:  donnemanagerdinapoli.com

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Matteo Renzi: “Prender voti in tutte le direzioni”

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Il partito piglia-tutto

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di Piero Bevilacqua

Dal lessico politico-pubblicitario di Matteo Renzi, esibito con dovizia nelle sue recenti rappresentazioni pubbliche, è utile selezionare una espressione che suona come la sintesi del suo programma: «Prender voti in tutte le direzioni ». È un imperativo strategico che riassume, per così dire, tutto il suo pensiero politico. Ma al tempo stesso costituisce una delle spie più evidenti e definitive del percorso storico compiuto dai partiti politici nell’età post-contemporanea. Presentato come una smagliante novità, non è che il punto terminale di una parabola di declino. La categoria del «partito pigliatutto», (catch all party) era stata già elaborata nel lontano 1966 da Otto Kirchheimer, politologo tedesco, collaboratore della Scuola di Francoforte e poi docente in importanti Università americane. Kirchheimer individuava una linea di tendenza, già allora visibile in alcuni partiti di massa, di allontanamento dalle proprie origini classiste o di annacquamento dei legami con i gruppi originari di riferimento, al fine di allargare il raggio della propria influenza ai più diversi ceti sociali.
Tale tendenza ha percorso un lungo cammino e ora ha bloccato il sistema politico in gran parte degli stati occidentali.

I grandi partiti che un tempo incarnavano il bipartitismo, più o meno perfetto e davano vita alla cosiddetta democrazia dell’alternanza, ormai da tempo pescano negli stessi ambiti sociali, elaborano lo stesso programma politico e tendono a spartirsi equamente i consensi elettorali, dando vita a maggioranze di governo sempre più risicate e instabili. Allontanandosi dai ceti popolari e dai loro conflitti, anche i partiti di sinistra, si sono trasformati in agenzie di marketing elettorale: vendono lo stesso prodotto pubblicitario a una platea di consumatori sempre più stanca e sempre più disillusa. Tale tendenza è oggi entrata in una morsa micidiale con l’esplodere della crisi economico-finanziaria. La perdita di sovranità di stati e governi a favore del potere finanziario internazionale ha tolto ai partiti il potere residuale di ripartire quote della ricchezza nazionale nel welfare , favorendo la formazione di una vasta e crescente area di diserzione elettorale e l’esplodere di movimenti di protesta e di populismi di varia natura.

Da qui la spasmodica ricerca da parte delle forze politiche di trovare soluzioni abborracciate di governo (le grandi coalizioni) e il ricorso crescente a dispositivi di ingegneria istituzionale: premierato forte, presidenzialismo, modifica dei sistemi elettorali, ecc. Il potere politico tende insomma ad acquistare parte della forza sottrattigli (per sua scelta e responsabilità) dal potere finanziario, rafforzando la centralità del comando, restringendo gli spazi della democrazia, estendendo i dispositivi autoritari del controllo sociale. Sicché mentre il potere capitalistico-finanziario muove la sua guerra di classe contro le masse operaie e i ceti medi, partiti e governi, che non intendono rappresentare, con finalità redistributive, questi interessi colpiti, si infilano nel vicolo stretto di una “mediazione repressiva” per la difesa del sistema. Essi sperano di resistere fino a che la ripresa dell’economia non ridia loro lo spazio per una mediazione socialmente sopportabile ed elettoralmente premiante.

La posizione di Renzi è dunque doppiamente rivelatrice. Appare come l’ultimo tratto di definitiva dissoluzione della identità dei partiti e al tempo stesso viene a coincidere con il populismo di Berlusconi in un punto fondamentale: il privilegiamento della vittoria elettorale come scopo supremo dell’azione politica. Il fine è interamente assorbito e cancellato dal mezzo. Si partecipa alla lotta politica come al campionato mondiale di calcio: per vincere. Quel che si fa poi con la vittoria è poco importante. Perché il ceto politico gioca essenzialmente per sé stesso, per rafforzare le condizioni della sua sopravvivenza e del suo successo. E quel che accade nel paese che ospita il campionato è poco importante, ed è comunque sempre subordinato allo scopo supremo della riproduzione delle élites . Tale linea, tuttavia, ha successo per almeno una ragione: raccoglie e distorce un bisogno diffuso dei cittadini, quello di una rappresentanza politica liberata dalla opacità degli apparati, non dilaniata dai micro-interessi di gruppi e fazioni.

Di fronte al disagio sociale, alla incertezza montante della vita quotidiana, all’impotenza della politica tradizionale nell’arginare poteri sovranazionali sempre più intrusivi, diventa naturale la richiesta dell’unicità del comando, della prontezza dell’iniziativa e dell’azione. I cittadini italiani chiedono una politica forte e capace, ma che assomigli il meno possibile alla politica dei partiti politici. L’odore delle segreterie è diventato un tanfo insopportabile. È questa una delle ragioni importanti del successo di Renzi, anch’egli un “pollo di batteria”, salvo presentarsi da subito come un anti-partito. Naturalmente confidiamo assai poco in tale successo. Intanto, non è dato sapere – in caso di probabile vittoria di Renzi alle primarie del Pd – se alla sua maestria nel vincere battaglie elettorali corrisponderà una pari capacità di governare il suo partito. Quel che appare oggi certo è che sul piano dell’azione di governo – sia in campagna elettorale che nell’indirizzo di un eventuale esecutivo, uscito da una competizione vittoriosa – Renzi cercherà di promuovere una politica delle “larghe intese” senza Pdl. Vale a dire la politica tipica di un partito piglia-tutto, che deve rispondere agli interessi molteplici, e soprattutto a quelli più forti, in cui si frantuma oggi la vita italiana.

Dunque, è evidente che senza mutamenti di rilievo sulla scena politica, senza uno spostamento dell’asse strategico nel campo della sinistra, il disastro per il nostro paese diventa una prospettiva certa. Non si tratta di profezie artatamente fosche. È la scena presente, l’azione dell’attuale governo, che mostra l’inanità di una strategia in cui si debbono comporre interessi inconciliabili, surrogato fallimentare di quel che sarebbe necessario: una grande manovra di trasferimento di ricchezza ai ceti popolari e ai settori produttivi. E non è certo il caso di ricordare quel che è noto: il bollettino di guerra sulle statistiche della disoccupazione, dei fallimenti delle imprese, della caduta costante dei consumi. Benché un dato clamoroso occorre qui rammentarlo, perché i media, con una carità pelosa forse comprensibile, sono scivolati rapidamente sulla notizia: il debito pubblico è salito ancora, è arrivato al 133,3% del Pil.

La ragione per la quale i governi degli ultimi anni stanno distruggendo l’economia nazionale e trascinando nella miseria masse crescenti di cittadini italiani, è ancora tutta lì: anzi è diventata più grave. E il ministro Saccomanni non sente il dovere di scusarsi, di spiegare al paese, di dichiarare la propria incapacità e di andarsene? Dunque, se gli scenari dei prossimi mesi e anni confermeranno questo quadro, è evidente quale grande spazio potrebbe schiudersi alle forze di sinistra dotate di progetto, oggi segmentate e disperse in vari ambiti e territori. Ci sono in prospettiva scadenze importanti come le elezioni europee (su cui hanno insistito utilmente, sul manifesto , Tonino Perna con Alfonso Gianni e Guido Viale): occasione imperdibile per mettere in discussione le politiche di austerità e rilanciare su nuove basi le prospettive dell’Unione Europea. E prima o poi ci saranno anche le elezioni politiche. Il Pd si presenterà a queste scadenze con addosso la corresponsabilità, insieme al Pdl, di aver aggravato le condizioni materiali degli italiani.

Lo sventolio della bandierina di una “ripresa che verrà” sarà solo uno straccio al vento e non incanterà gli elettori. E allora, chi si fa avanti, chi si candida a rappresentare il vasto popolo della sinistra? Sappiamo bene che la politica non si esaurisce nei partiti e neppure nelle rappresentanze e nei governi. Ma oggi queste rappresentanze al potere stanno demolendo mezzo secolo di conquiste in tutti i settori della vita nazionale. Le lasceremo fare? Lo scenario presente non offre molte alternative. Ma i punti di partenza potenziali esistono. Perché Sel non si muove? E la “Via maestra”, il movimento di Rodotà, Landini e altri? Nessuno si illuda che esso possa evolvere rapidamente in un partito politico. È giusto prendere in parola le dichiarazione dei fondatori. E tuttavia, questo movimento raccoglie una vasta platea di forze e di raggruppamenti, gode di un prestigio e di un consenso, sia politico che morale, incommensurabilmente distante dal discredito gravante sui partiti politici.

Dunque, con la cautela necessaria, non si pensa di spenderla in qualche modo nello scontro elettorale che verrà? Si tratta, crediamo, di un nodo rilevante su cui ragionare al più presto, evitando di restare bloccati nell’impotente testimonianza di una alterità inascoltata, o di cadere, sotto l’urgere della fretta e delle ambizioni personali, nei pasticci elettoralistici delle passate stagioni.

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Fonte: il Manifesto

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Il Re è nudo

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Alla fine l’ultima parola l’ha dettala Cassazione, com’è logico in tutti i procedimenti giudiziari. Sia ben chiaro,la Cassazione non ha condannato Berlusconi: ha posto fine al procedimento penale intentato nei suoi confronti dalla Procura di Milano, riconoscendo la correttezza dell’operato  dei giudici del merito che lo hanno dichiarato, al di là di ogni ragionevole dubbio, colpevole del reato di frode fiscale, con riferimento alla annosa vicenda dei costi gonfiati per l’acquisto dei diritti delle opere cinematografiche.La Cassazione ci dice che Berlusconi è stato legittimamente condannato, all’esito di un equo processo ed ha ricevuto una pena adeguata alla gravità dei fatti.La Cassazione ha censuratola Corte d’appello soltanto in ordine alla determinazione della durata della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici, rinviando gli atti al giudice del merito per una nuova valutazione della durata, essendo scontato (ed irrevocabile dal punto di vista giudiziario) che l’imputato deve, comunque, essere interdetto dai pubblici uffici.

I giudici hanno accertato che, attraverso espedienti vari e pratiche truffaldine, è stata creata all’estero una ingente provvista di fondi neri, sottraendo milioni di euro all’Agenzia delle entrate. Oggi questo accertamento non può essere più messo in discussione da nessuno: è passato in cosa giudicata. Adesso si eleveranno al cielo gli ululati dei pasdaran dell’esercito di Silvio ed una valanga di imprecazioni sarà scagliata contro il sistema giustizia ed i giudici, rei di non aver garantito l’impunità al sovrano di Arcore. Questa sentenza farà scandalo e verrà denunziata come un golpe la prossima rimozione dalle cariche pubbliche di un politico per via giudiziaria.

Nel mondo della realtà lo scandalo deve essere rovesciato. Non è l’esercizio indipendente della giurisdizione e la intemerata capacità dei giudici di effettuare il controllo di legalità nei confronti dei comportamenti criminosi dei potenti che deve fare scandalo;  al contrario ciò costituisce motivo di orgoglio per la giurisdizione e di soddisfazione per i cittadini. L’indipendenza della magistratura è stata concepita negli ordinamenti democratici proprio per consentire che il controllo di legalità potesse penetrare anche nei santuari del potere economico e politico, al fine di assicurare il rispetto della legge e, con esso, garantire tutti i cittadini da ogni forma di abuso dei poteri. Il fatto che un uomo politico potente come Berlusconi sia chiamato a rispondere delle sue malefatte ed inchiodato alle conseguenze dei suoi comportamenti illegali  costituisce la gloria dello Stato di diritto, dimostra chela Costituzione è viva e che le garanzie dell’ordinamento democratico sono ancora attive e vitali, malgrado da circa vent’anni una politica che aspira all’onnipotenza stia cercando di mettere la museruola alla giurisdizione.

Rimuovere un leader politico per via giudiziaria non soltanto non è uno scandalo, ma è un preciso dovere a cui l’autorità giudiziaria non si può sottrarre, ove vengano accertate gravi responsabilità penali, com’è già avvenuto, in passato, con l’on. Craxi e, più recentemente, con l’on. Previti.  L’onore della magistratura ed anche la ragione che giustifica la sua indipendenza stanno proprio nella sua capacità di intervenire, recidendo le metastasi che inquinano la vita delle istituzioni, come è avvenuto, per esempio, eliminando dalla magistratura quei giudici che si sono fatti corrompere con il denaro di Berlusconi.
In realtà in questa vicenda lo scandalo sta tutto nella politica e nel sistema dei media.
L’art. 54 della Costituzione stabilisce che “i cittadini a cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”.
Chi dovrebbe vigilare che non vengano affidate funzioni pubbliche a soggetti coinvolti in vicende di corruzione, invischiati in fondi neri ed in frodi fiscali?

Le vicende oscure legate alla resistibile ascesa di Silvio Berlusconi erano note da tempo, sono state persino certificate da più sentenze passate in giudicato: com’è possibile che in Italia il sistema politico (non solo la destra ma anche la sinistra nelle sue varie componenti) ed il sistema dei principali media non si siano accorti di niente e sia stato recitato fino a qualche ora fa il mantra che le traversie giudiziarie di Berlusconi sarebbero un suo affare privato che non riguarda l’uomo politico e tantomeno le istituzioni?
In quale altro paese di democrazia occidentale il sistema politico avrebbe consentito l’accesso alla stanze del potere di un uomo politico con un carico di scheletri nell’armadio come quello dell’on. Berlusconi?
L’uomo politico Berlusconi si è sempre fatto forte della promessa che non avrebbe messo le mani nelle tasche degli italiani; adesso la sentenza della Cassazione ci rivela che ha sottratto milioni di euro dalla tasche degli italiani, sottraendole al fisco.

La sentenza della Cassazione ha messo a nudo un sistema di potere illegale che i cortigiani dell’imperatore hanno ostentatamente nascosto tessendogli abiti sontuosi con i fili dorati del servilismo e dell’adulazione. Come il bambino della favola di Andersen, la Cassazione ci dice che quegli abiti non esistono: il Re è nudo.

1 agosto 2013

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Fonte: Articolo21

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