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Cinemovel Foundation | Il cinema come strumento di sensibilizzazione, scambio e conoscenza

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Con la presidenza onoraria di Ettore Scola e la consulenza scientifica di Pierluigi Sacco, Cinemovel Foundation ha dato vita a una piattaforma itinerante di comunicazione sociale che utilizza il linguaggio audiovisivo e della rete. Continuando a fare ciò che il cinema fa da quando è nato: raccontare storie

Cinemovel fa viaggiare il cinema per mettere in comunicazione campagna e città, culture con altre culture, paesi con altri paesi, mettendo al centro delle sue azioni la qualità dell’esperienza e l’incontro tra tradizione e innovazione.

Con vari mezzi di trasporto e grazie alle nuove tecnologie, Cinemovel viaggia tra i paesi portando il cinema alle persone; realizza campagne di informazione insieme ai partner locali e sviluppa attività di formazione per stimolare la nascita di realtà indipendenti e produttive nei vari luoghi che attraversa.

Girare, montare, proiettare, utilizzare la rete e i social network sono le attività di formazione che fanno parte dei progetti Cinemovel, nella convinzione che esiste un nesso inscindibile tra la democratizzazione dei paesi e l’accesso alle nuove tecnologie che facilitano lo scambio di saperi e mestieri, la diffusione delle informazioni e una più equa distribuzione delle risorse intellettuali e materiali.

Dal 2001 Cinemovel Foundation fa viaggiare il cinema come strumento di sensibilizzazione, scambio e conoscenza. La peculiarità delle proiezioni di Cinemovel è quella di rappresentare una novità assoluta per il luogo, per i contenuti e per il contesto in cui si proietta.

Quando scende il buio e il fascio del proiettore illumina la notte, e il ronzio del microfono annuncia l’inizio del film, attorno allo schermo si raccoglie la comunità: centinaia, a volte migliaia, di persone che partecipano a un momento di festa da condividere con gli altri.

E mentre sullo schermo scorrono le storie del cinema, il luogo diventa, con la visione collettiva partecipata, una piazza universale di confronto, un’agorà contemporanea dove esprimere il proprio punto di vista sulla modernità.
La fondazione opera nel
continente Africano, in Europa e in America Latina.

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Scopri le Carovane e i Festival promossi da Cinemovel Foundation

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Fonte: Cinemovel Foundation

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Padova 20 gennaio 2017: “Contro la pena di morte viva. Per il diritto a un fine pena che non uccida la vita”

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Giornata di dialogo con ergastolani, detenuti con lunghe pene, loro famigliari

20 gennaio 2017 – Casa di reclusione di Padova

Giornata di dialogo con ergastolani, detenuti con lunghe pene, e con i loro figli, mogli, genitori, fratelli, sorelle.
Da tempo la redazione di Ristretti Orizzonti pensava a una giornata di dialogo sull’ergastolo, ma anche sulle pene lunghe che uccidono perfino i sogni di una vita libera, una giornata che avesse per protagonisti anche figli, mogli, genitori, fratelli e sorelle di persone detenute, perché solo loro sono in grado di far capire davvero che una condanna a tanti anni di galera o all’ergastolo non si abbatte unicamente sulla persona punita, ma annienta tutta la famiglia.
Per anni siamo rimasti intrappolati in questa logica che “i tempi non sono maturi” per parlare di abolizione dell’ergastolo, e quindi non ci abbiamo creduto abbastanza, non abbiamo avuto abbastanza coraggio.
Ma poi un pensiero fisso ce l’abbiamo, ed è quello che ci spinge a fare comunque qualcosa: non vogliamo abbandonare quelle famiglie, non vogliamo far perdere loro la speranza.

Allora il 20 gennaio 2017 invitiamo a dialogare, con le persone condannate a lunghe pene e all’ergastolo e i loro figli, mogli, genitori, fratelli e sorelle:
parlamentari che si facciano promotori di un disegno di legge per l’abolizione dell’ergastolo e che si attivino per farlo calendarizzare, o che comunque abbiano voglia di confrontarsi su questi temi;
uomini e donne di chiese e di fedi religiose diverse, perché ascoltino le parole del Papa, che ha definito l’ergastolo per quello che è veramente: una pena di morte nascosta;
uomini e donne delle istituzioni, della magistratura, dell’università, dell’avvocatura, intellettuali, esponenti del mondo dello spettacolo, della scuola, cittadini e cittadine interessati.

Non vogliamo aver paura di parlare apertamente di abolizione dell’ergastolo, di quello ostativo ma anche di quello “normale”, perché il fine pena mai non può in nessun caso essere considerato “normale”. Ma non vogliamo neppure avere solo obiettivi alti, e poi dimenticarci di come vivono le persone condannate all’ergastolo o a pene lunghe che pesano quanto un ergastolo. È per questo che proponiamo di dar vita a un Osservatorio, su modello di quello sui suicidi:
per vigilare sui trasferimenti da un carcere all’altro nei circuiti di Alta Sicurezza;
per mettere sotto controllo le continue limitazioni ai percorsi rieducativi che avvengono nelle sezioni AS (poche attività, carceri in cui non viene concesso l’uso del computer, sintesi che non vengono fatte per anni);
per monitorare la concessione delle declassificazioni, che dovrebbe essere, appunto, non vincolata a relazioni sulla pericolosità sociale che risultano spesso stereotipate, con formule sempre uguali e nessuna possibilità, per la persona detenuta, di difendersi da accuse generiche e spesso prive di qualsiasi riscontro. Nessuno sottovaluta il problema della criminalità organizzata nel nostro Paese, e il ruolo delle Direzioni Antimafia, ma qui parliamo di persone in carcere da decenni, già declassificate dal 41 bis perché “non hanno più collegamenti con le associazioni criminali di appartenenza”, e parliamo di trasferirle da un circuito di Alta Sicurezza a uno di Media Sicurezza, non di rimetterle in libertà;
per accogliere le testimonianze e le segnalazioni dei famigliari delle persone detenute, che non trovano da nessuna parte ascolto;
per raccogliere sentenze e altri materiali, fondamentali per non farsi stritolare da anni di isolamento nei circuiti di Alta Sicurezza e per spingere la Politica a occuparsi di questi temi con interrogazioni e inchieste;
per cominciare a mettere in discussione, finalmente, il regime del 41 bis con tutta la sua carica di disumanità;
per rendere tutto il sistema dei circuiti di Alta Sicurezza e del regime del 41 bis davvero TRASPARENTE.

Di tutto questo vorremmo parlare il 20 gennaio a Padova, ma non vi chiediamo semplicemente di aderire a una nostra iniziativa.
Vi chiediamo di promuovere con noi questa Giornata, di lavorare per la sua riuscita, di prepararla con iniziative anche in altri luoghi e altre date, e soprattutto di fare in modo che non finisca tutto alle ore 17 del 20 gennaio, ma che si apra una stagione nuova in cui lavoriamo insieme perché finalmente “i tempi siano maturi” per abolire l’ergastolo e pensare a pene più umane.

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Hanno aderito e parteciperanno:

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Ergastolani, detenuti con lunghe pene, e i loro figli, mogli, genitori, fratelli, sorelle

Pasquale Zagari, ex detenuto, condannato all’ergastolo, la pena gli è stata rideterminata a 30 anni in seguito a una sentenza della Corte europea

Mauro Palma, Garante nazionale dei diritti dei detenuti

Sabina Rossa, figlia di Guido Rossa, sindacalista ucciso dai terroristi nel 1979

Gherardo Colombo, ex magistrato, è appena uscito “La tua giustizia non è la mia”, dialogo sulla Giustizia scritto a quattro mani con Piercamillo Davigo

Rita Bernardini, Partito Radicale

Il senatore Pietro Ichino, che ha avuto un interessante scambio sui temi del 41 bis e dei circuiti con i detenuti dell’Alta Sicurezza

Il deputato Alessandro Zan, che sta portando avanti con noi la battaglia a tutela degli affetti delle persone detenute

Il senatore Giorgio Santini, Partito Democratico

Gennaro Migliore, sottosegretario alla Giustizia

Roberto Piscitello, Direttore della Direzione generale Detenuti e Trattamento del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria

Giovanni Maria Flick, giurista, presidente emerito della Corte costituzionale, ex ministro della Giustizia

Marcello Bortolato e Linda Arata, magistrati di Sorveglianza a Padova

Sergio Staino, fumettista e disegnatore “storico” della sinistra, oggi direttore dell’Unità

Francesca De Carolis, giornalista Rai e curatrice del libro “URLA A BASSA VOCE. Dal buio del 41 bis e del fine pena mai”

Carmelo Sardo, giornalista del TG5, autore con Giuseppe Grassonelli, ergastolano, del libro “Malerba”

Maria Brucale, avvocato della Camera penale di Roma e componente del direttivo di Nessuno tocchi Caino

Davide Galliani, Professore associato di Istituzioni di diritto pubblico, è autore, tra l’altro, del saggio “La concretezza della detenzione senza scampo”

Giuseppe Mosconi, Sociologo, Padova

Francesca Vianello, Università di Padova

Susanna Vezzadini, Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’Economia dell’Università di Bologna

Fabio Federico, avvocato del Foro di Roma

Lia Sacerdote, Associazione Bambinisenzabarre

Annamaria Alborghetti, avvocato di Padova

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Hanno aderito le seguenti Associazioni:

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– Associazione “Liberarsi”

– Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia 

– Associazione “Yairaiha Onlus”

– Associazione “Forza dei Consumatori”

– Associazione “Memoria condivisa”

– Osservatorio carceri delle Camere Penali

Camera Penale di Padova

– Camera Penale di Milano

– Associazione “Fuori dall’Ombra”

– Associazione “Bambinisenzabarre”

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Fonte: Ristretti Orizzonti

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Educare alla pace al tempo della guerra permanente

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Educare alla pace. Ma cosa significa?

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Educare alla pace: questione complessa. Intanto c’è la parola “educare” che ha valenze differenti per chiunque la pronunci, valenze che per ogni cultura e per ogni diversità di genere, di nazionalità, di religione, hanno differenti sfumature.

Sì, non è facile. Bellissimo osservare la marcia della pace Perugia-Assisi, le persone colorate di sorrisi e parole gentili reciproche, portatrici di un segno di amore e di esempio. Tuttavia, l’educare non parte soltanto da chi come loro è già”arrivato” ad Assisi, parte dal momento della nascita e dai contatti, dalla rete di relazioni quotidiane e dentro la rete. Sicuramente la scuola, fin dal nido, si accorge per prima che i gruppi giocosi e sereni dei piccoli hanno già in sé il germe dei contrasti, e su quei contrasti dovrebbe riflettere e infine agire a seconda delle situazioni affettive ed emotive che si creano volta per volta.

Educare, estrarre il succo più dolce da ognuno e ognuna, presuppone un avvicinamento delicatissimo alla persona del piccolo e ai suoi giovani genitori. Anche ai genitori, i quali appena divenuti tali, vengono toccati dal soffio delle parole “mio”e”io” “la mia educazione è questa”: parole che del resto ogni essere umano “sente” prepotenti dentro di sé allo sbocciare delle relazioni con sconosciuti un po’ “ingombranti”. Inizia qui l’avventura dell’”educazione alla pace”: dai primi passi, i quali, uno dopo l’altro, si mettono in un cammino in una marcia delicata sul duro terreno di “mio”, “io”, “la mia educazione è questa”.

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La figura di chi educa è importante, così come sono importanti la Costituzione e le Leggi. Insieme potrebbero cominciare ad accordarsi ricordando che esse sono qui proprio perché da tempi innumerabili ce ne è bisogno per condurci alla fine, fine che perdura in tempi futuri altrettanto innumerabili. Di esse c’è estremo bisogno e sappiamo bene che non bastano a regolare la convivenza in casa, per le strade, fra amici e, in particolare, insieme con quelli che si considerano gli “altri”.
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Ma se chi educa, chi fa le Leggi, chi dovrebbe tenere in alta considerazione una Costituzione nata proprio per scongiurare le guerre di qualsiasi tipo, da quelle interne a quelle esterne, trova espedienti per aggirare gli ostacoli e riportare il tutto sulla strada della velocizzazione delle scelte che riguardano un intero popolo, si rischia di riprodurre il seme della guerra. Il rischio di una politica del “fare” velocemente è quello di far dimenticare che la democrazia è lenta (per approfondire il bisogno di educare alla lentezza, leggi il quaderno Ci vuole il tempo che ci vuole), che ancora non è compiuta, che sovente dà spazio a chi ha la lingua più lunga e l’intelligenza per portare acqua al proprio “io”, al proprio “mio”, alla convinzione che esista un unico tipo di “educazione”, quella che rispetta i tempi in cui si vive, ma non rispetta quelli a venire. Cioè quelli dell’utopia.
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Tante sono le “scuole” di pensiero e di azione per educare l’infanzia, tuttavia quella costituzionale dei diritti e dei doveri di ogni cittadino e cittadina dovrebbe farci meditare su numerose scelte che sono state fatte e che si fanno per comprendere che per marciare in direzione della “pace”, i singoli della marcia contano eccome, e chi ha a che fare con l’inizio della camminata, insieme con i piccoli singoli che incontra, sa che procede sul territorio minato delle differenti provenienze e, senza annullarle, sa che deve armonizzarle e farle sfociare nell’interiorizzazione del rispetto verso la fioritura di un’affettività accogliente e serena.
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Ma il come farlo è complesso e insidioso perché studi e teorie, cuori e intelligenze proprie e di altri indicano strade che di primo acchito possono sembrare scintillanti di luci, piane e percorribili in velocità, adornate del “nuovo” che avanza per tutto velocizzare e rendere concreto e pragmatico, in linea con i tempi del presente, il quale sempre pretende soluzioni pratiche e di pubblica e facile comprensione. La semplificazione pare bella, eppure va in direzione contraria all’educazione alla pace. A essa sfuggono il tempo della mediazione, il tempo della ricerca, il tempo del dialogo che si fa conversazione, il tempo dei corpi che si devono avvicinare negli spazi dati, il tempo del compromesso verso l’alto, il tempo del giudizio che scarta, sfuggono gli scarti da recuperare, le ferite da curare.

Educare alla pace si potrebbe, se si comprendesse che la guerra nasce nel cuore dei piccoli di tutto il mondo quando li si induce con strumenti educativi a marcare più le differenze d’origine che non ad esaltare le possibilità della “bravura” individuale costruita insieme con altre “bravure” individuali.

La guerra nasce nei cuori dei piccoli quando li si educa a essere principi unici e li si esalta per un principato che esclude le ragioni dell’altro, i procedimenti dell’altro, le debolezze e i punti di forza dell’altro. Nasce così e si perpetua nella Storia dei popoli.

La guerra è qui, nei nostri condomini, nei nostri giardini, nei giocattoli dei piccoli, nei cortili, in spiaggia, in montagna e tante volte nella nostra scuola dei piccoli quando non li aiuta a gioire delle proprie scoperte, a mediare i conflitti, a imparare a diventare maestri di se stessi, quando li differenzia con scale di giudizio o parole giudicanti. Ma la guerra è nei cuori dei bambini anche se si sentono presi per il naso da adulti insinceri che invece di aiutarli ad accedere al sapere in modo profondo e competente, li blandiscono e non li ascoltano ragionare, sbagliare, riprendersi e ricadere, quando non li avviano alla bellezza dello studio personale che dà ai singoli la possibilità di sapere il perché della propria storia e di quella della Terra su cui vivono, il perché delle cose, il perché delle differenze fra culture e costumi. La via della pace è fatta di scalini che andrebbero saliti ogni giorno insieme, proprio a cominciare dal respingere tutto ciò che non ha sfumature, che ha fretta, che può rientrare in schemi, per inglobare, stringere, rafforzare tutto ciò che è complesso, inaspettato, nuovo e diverso. Sorprendentemente chi insegna per educare e anche istruire alla pace per mezzo dello studio della storia degli altri, sa che tutte le programmazioni e i progetti, anche i più straordinari e comprensivi di aneliti di libertà e creatività rassicurano a tal punto l’adulto da rischiare di trasformarlo in un despota inconsapevole se la sua sicurezza viene minata dagli innumerevoli “casi” dell’umanità che lo stesso adulto incontra mentre “pretende” adesione a ciò in cui crede. La guerra nasce dai piccoli dispotismi di ogni giorno. E la pace nasce da un ascolto talmente difficile ma talmente necessario da diventare quello che indica giorno per giorno una programmazione e una progettazione diversi.

E a ogni buon conto, l’idea di cosa sia la pace nasce ogni attimo nel quotidiano quando riconosciamo il seme della guerra in noi e negli altri nel momento in cui abbandoniamo lo sforzo del cammino sulla strada tortuosa della democrazia, sforzo immane che spesso stanca e fa prendere scorciatoie, le quali però portano dritte dritte al sentimento guerriero che alberga in chi si sente respinto e abbandonato al proprio destino solitario.

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* Maestra, autrice di “2014, odissea nella scuola”, ha aderito alla campagna Facciamo Comune insieme

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Fonte: comune-info

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