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Padova 20 gennaio 2017: “Contro la pena di morte viva. Per il diritto a un fine pena che non uccida la vita”

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Giornata di dialogo con ergastolani, detenuti con lunghe pene, loro famigliari

20 gennaio 2017 – Casa di reclusione di Padova

Giornata di dialogo con ergastolani, detenuti con lunghe pene, e con i loro figli, mogli, genitori, fratelli, sorelle.
Da tempo la redazione di Ristretti Orizzonti pensava a una giornata di dialogo sull’ergastolo, ma anche sulle pene lunghe che uccidono perfino i sogni di una vita libera, una giornata che avesse per protagonisti anche figli, mogli, genitori, fratelli e sorelle di persone detenute, perché solo loro sono in grado di far capire davvero che una condanna a tanti anni di galera o all’ergastolo non si abbatte unicamente sulla persona punita, ma annienta tutta la famiglia.
Per anni siamo rimasti intrappolati in questa logica che “i tempi non sono maturi” per parlare di abolizione dell’ergastolo, e quindi non ci abbiamo creduto abbastanza, non abbiamo avuto abbastanza coraggio.
Ma poi un pensiero fisso ce l’abbiamo, ed è quello che ci spinge a fare comunque qualcosa: non vogliamo abbandonare quelle famiglie, non vogliamo far perdere loro la speranza.

Allora il 20 gennaio 2017 invitiamo a dialogare, con le persone condannate a lunghe pene e all’ergastolo e i loro figli, mogli, genitori, fratelli e sorelle:
parlamentari che si facciano promotori di un disegno di legge per l’abolizione dell’ergastolo e che si attivino per farlo calendarizzare, o che comunque abbiano voglia di confrontarsi su questi temi;
uomini e donne di chiese e di fedi religiose diverse, perché ascoltino le parole del Papa, che ha definito l’ergastolo per quello che è veramente: una pena di morte nascosta;
uomini e donne delle istituzioni, della magistratura, dell’università, dell’avvocatura, intellettuali, esponenti del mondo dello spettacolo, della scuola, cittadini e cittadine interessati.

Non vogliamo aver paura di parlare apertamente di abolizione dell’ergastolo, di quello ostativo ma anche di quello “normale”, perché il fine pena mai non può in nessun caso essere considerato “normale”. Ma non vogliamo neppure avere solo obiettivi alti, e poi dimenticarci di come vivono le persone condannate all’ergastolo o a pene lunghe che pesano quanto un ergastolo. È per questo che proponiamo di dar vita a un Osservatorio, su modello di quello sui suicidi:
per vigilare sui trasferimenti da un carcere all’altro nei circuiti di Alta Sicurezza;
per mettere sotto controllo le continue limitazioni ai percorsi rieducativi che avvengono nelle sezioni AS (poche attività, carceri in cui non viene concesso l’uso del computer, sintesi che non vengono fatte per anni);
per monitorare la concessione delle declassificazioni, che dovrebbe essere, appunto, non vincolata a relazioni sulla pericolosità sociale che risultano spesso stereotipate, con formule sempre uguali e nessuna possibilità, per la persona detenuta, di difendersi da accuse generiche e spesso prive di qualsiasi riscontro. Nessuno sottovaluta il problema della criminalità organizzata nel nostro Paese, e il ruolo delle Direzioni Antimafia, ma qui parliamo di persone in carcere da decenni, già declassificate dal 41 bis perché “non hanno più collegamenti con le associazioni criminali di appartenenza”, e parliamo di trasferirle da un circuito di Alta Sicurezza a uno di Media Sicurezza, non di rimetterle in libertà;
per accogliere le testimonianze e le segnalazioni dei famigliari delle persone detenute, che non trovano da nessuna parte ascolto;
per raccogliere sentenze e altri materiali, fondamentali per non farsi stritolare da anni di isolamento nei circuiti di Alta Sicurezza e per spingere la Politica a occuparsi di questi temi con interrogazioni e inchieste;
per cominciare a mettere in discussione, finalmente, il regime del 41 bis con tutta la sua carica di disumanità;
per rendere tutto il sistema dei circuiti di Alta Sicurezza e del regime del 41 bis davvero TRASPARENTE.

Di tutto questo vorremmo parlare il 20 gennaio a Padova, ma non vi chiediamo semplicemente di aderire a una nostra iniziativa.
Vi chiediamo di promuovere con noi questa Giornata, di lavorare per la sua riuscita, di prepararla con iniziative anche in altri luoghi e altre date, e soprattutto di fare in modo che non finisca tutto alle ore 17 del 20 gennaio, ma che si apra una stagione nuova in cui lavoriamo insieme perché finalmente “i tempi siano maturi” per abolire l’ergastolo e pensare a pene più umane.

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Hanno aderito e parteciperanno:

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Ergastolani, detenuti con lunghe pene, e i loro figli, mogli, genitori, fratelli, sorelle

Pasquale Zagari, ex detenuto, condannato all’ergastolo, la pena gli è stata rideterminata a 30 anni in seguito a una sentenza della Corte europea

Mauro Palma, Garante nazionale dei diritti dei detenuti

Sabina Rossa, figlia di Guido Rossa, sindacalista ucciso dai terroristi nel 1979

Gherardo Colombo, ex magistrato, è appena uscito “La tua giustizia non è la mia”, dialogo sulla Giustizia scritto a quattro mani con Piercamillo Davigo

Rita Bernardini, Partito Radicale

Il senatore Pietro Ichino, che ha avuto un interessante scambio sui temi del 41 bis e dei circuiti con i detenuti dell’Alta Sicurezza

Il deputato Alessandro Zan, che sta portando avanti con noi la battaglia a tutela degli affetti delle persone detenute

Il senatore Giorgio Santini, Partito Democratico

Gennaro Migliore, sottosegretario alla Giustizia

Roberto Piscitello, Direttore della Direzione generale Detenuti e Trattamento del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria

Giovanni Maria Flick, giurista, presidente emerito della Corte costituzionale, ex ministro della Giustizia

Marcello Bortolato e Linda Arata, magistrati di Sorveglianza a Padova

Sergio Staino, fumettista e disegnatore “storico” della sinistra, oggi direttore dell’Unità

Francesca De Carolis, giornalista Rai e curatrice del libro “URLA A BASSA VOCE. Dal buio del 41 bis e del fine pena mai”

Carmelo Sardo, giornalista del TG5, autore con Giuseppe Grassonelli, ergastolano, del libro “Malerba”

Maria Brucale, avvocato della Camera penale di Roma e componente del direttivo di Nessuno tocchi Caino

Davide Galliani, Professore associato di Istituzioni di diritto pubblico, è autore, tra l’altro, del saggio “La concretezza della detenzione senza scampo”

Giuseppe Mosconi, Sociologo, Padova

Francesca Vianello, Università di Padova

Susanna Vezzadini, Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’Economia dell’Università di Bologna

Fabio Federico, avvocato del Foro di Roma

Lia Sacerdote, Associazione Bambinisenzabarre

Annamaria Alborghetti, avvocato di Padova

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Hanno aderito le seguenti Associazioni:

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– Associazione “Liberarsi”

– Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia 

– Associazione “Yairaiha Onlus”

– Associazione “Forza dei Consumatori”

– Associazione “Memoria condivisa”

– Osservatorio carceri delle Camere Penali

Camera Penale di Padova

– Camera Penale di Milano

– Associazione “Fuori dall’Ombra”

– Associazione “Bambinisenzabarre”

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Fonte: Ristretti Orizzonti

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Voci dal carcere – Casa di Reclusione di Padova: Samir si è tolto la vita!

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Samir ha pensato che la soluzione migliore era appendersi a queste fottute sbarre

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di Lorenzo Sciacca

Fino al 31 settembre nelle carceri italiane si sono registrate 31 morti per suicidio. Con molto dispiacere mi vedo costretto ad aggiungere un altro a questa lista che sembra non finire mai.

Ieri 18 ottobre 2014 alle ore 18 nella Casa di Reclusione di Padova si è tolto la vita un giovane tunisino di 38 anni di nome Samir Riahi impiccandosi alle sbarre del bagno. Pochi mesi fa un altro uomo aveva tentato lo stesso gesto e nella stessa sezione, solo grazie all’intervento di un detenuto è riuscito a essere salvato da quella che per lui era l’unica via d’uscita da questo posto.

La mia cella è molto vicina alla cancellata che si affaccia sull’altra sezione.

Ero in cella che stavo cucinando quando ho sentito delle forti grida, ma la mia curiosità non è stata stuzzicata, ho pensato che potevano essere le solite grida che accompagnano discussioni che a volte accadono in questi posti. Poi un mio compagno è entrato nella mia cella dicendo “Lorenzo si è impiccato uno”. Ho spento i fornelli e sono andato di fronte al cancello per vedere cosa fosse successo.

Le guardie continuavano a muoversi avanti e indietro in maniera frenetica di fronte alla cella di Samir. Ogni volta che passavano di fronte a noi “spettatori” provavamo a domandare se fosse ancora vivo, ma non riuscivamo a strappargli notizie, fino a quando un agente, senza dire niente, ha fatto una chiara espressione di resa. Lì abbiamo capito che il ragazzo era morto. Verso le sette ci hanno chiusi tutti nelle nostre celle, stava per arrivare il magistrato, credo che sia la prassi in questi casi. Entrato in cella ho preso uno specchio e, facendo uscire il braccio tra le sbarre del mio cancello, sono riuscito a vedere quello che stava accadendo.

È molto difficile spiegare quello che ho provato nel momento in cui ho visto questa specie di “astuccio” gigante con dentro il corpo senza vita di una persona. Poi è arrivata una bara, una di quelle che si vedono quando succede qualche incidente stradale, chiare, credo che siano fatte di alluminio, hanno adagiato il corpo al suo interno e poi è scomparso nel lungo corridoio trasportato dagli appuntati.

È faticoso cercare di essere razionali in questi momenti, perché quando veniamo arrestati la nostra vita è affidata alle istituzioni, ma in tutta onestà non credo che sia così. La nostra vita è affidata al proprio limite di sopportazione, alla sofferenza che uno ha e se arrivi al limite ci sono sempre queste sbarre arrugginite a darti la soluzione a tutti i problemi. Io non so la storia di Samir e non so neanche per cosa era carcerato, so che aveva una famiglia, aveva due fratelli a Verona che lo aspettavano e una madre a Tunisi che attendeva di poter riabbracciare suo figlio.

Per me che sono detenuto, che ho commesso dei reati e ho delle responsabilità, parlare di abbandono da parte delle istituzioni può essere anche scomodo, ma credo non sia giusto che persone che hanno fatto delle scelte sbagliate vengano abbandonate a se stesse, e per piacere non diamo esclusivamente la colpa al sovraffollamento, è proprio la cultura, il concetto di punizione che abbiamo nel nostro Paese, il “buttare via le chiavi” oppure esclamare “uno in meno” che deve mutare.

Anch’io ho passato momenti della mia carcerazione dove è stato difficile ritrovare motivazioni per andare avanti e me la sono dovuta “smazzare” da solo. Sono stato fortunato niente di più, solo grazie a delle piccole circostanze che mi hanno portato a scovare il desiderio di continuare ad amare la vita, anche avendo una condanna di 30 anni, ma Samir questa fortuna non l’ha avuta. Samir ha pensato che la soluzione migliore era appendersi a queste fottute sbarre, le stesse sbarre che lo stavano uccidendo giorno per giorno, allora ha deciso di farla finita.

Vorrei terminare questo mio scritto con la speranza che le cose possano cambiare, ma soprattutto invitando le persone che possono “fare” ad agire in fretta, ma in tutta onestà inizio a credere che non cambieranno mai. Sono certo che a breve mi ritroverò di nuovo dietro a un foglio a scrivere di qualche altro suicidio e a pensare a quei familiari che non sono riusciti neanche a dire addio al proprio caro.

Detenuto s’impicca in carcere (Il Mattino di Padova, 20 ottobre 2014)

Era arrivato al carcere Due Palazzi da appena quattro giorno: fine pena nel 2021. Samir Riahi, 38 anni, tunisino, non ha retto psicologicamente al pensiero di dover trascorrere così tanto tempo in galera. Sabato pomeriggio si è tolto la vita in una cella del penitenziario: si è impiccato con una cintura.

È il quarto suicidio dall’inizio dell’anno all’interno del carcere di Padova. Il nordafricano stava scontando un tentato omicidio commesso a Gradisca d’Isonzo. Alle spalle aveva alcuni precedenti penali per droga ed è stato più volte denunciato per liti all’interno delle carceri. Avevano deciso il suo trasferimento a Padova dopo un periodo trascorso a Verona. Ma sabato pomeriggio il detenuto ha deciso di farla finita.

L’allarme l’ha dato il compagno di stanza al rientro dall’ora d’aria. Il trentottenne tunisino giaceva esanime nel bagno della cella, con la cintura intorno al collo. Gli accertamenti sul caso sono stati affidati agli uomini della Squadra mobile di Padova. Gli investigatori del vicequestore aggiunto Marco Calì hanno visionato i filmati ripresi dalle telecamere del circuito interno al carcere. Dalle immagini si vede chiaramente il compagno di stanza entrare e uscire subito dopo di corsa per chiedere aiuto.

Anche l’esame esterno della salma non ha dato altro responso, se non quello del suicidio. Nessun segno di violenza o altro che faccia pensare al coinvolgimento di qualcuno. Per togliersi la vita Samir Riahi ha utilizzato la cintura dei pantaloni. Questa è la quarta tragedia dall’inizio dell’anno all’interno del penitenziario padovano. In aprile Alessandro Braidic, 39 anni, condannato ad una pena che lo obbligava a rimanere in carcere fino al 2039, si è tolto la vita nella sua cella. Poi due casi strettamente legati perché connessi all’inchiesta sul giro di droga all’interno della casa di reclusione.

In luglio si è tolto la vita il detenuto Giovanni Pucci, 44 anni, elettricista di Castrignano dei Greci (Lecce). È stato trovato morto impiccato nella sua cella al terzo blocco della casa di reclusione, poche ore dopo l’interrogatorio. Nemmeno un mese dopo è stata la volta dell’assistente della polizia penitenziaria Paolo Giordano, 40 anni, anch’egli coinvolto direttamente nell’inchiesta della Squadra mobile. Con una lametta da barba si è tagliato la gola nel suo alloggio di via Due Palazzi. Ora questo nuovo caso con un altro detenuto che preferisce la morte alla detenzione.

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Fonte: Ristretti Orizzonti

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Padova – Giornata nazionale di studi : senza ergastoli. Per una società meno vendicativa

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Ristretti Orizzonti – Centro di Documentazione Due Palazzi – Casa di Reclusione di Padova – Università di Padova

 

 Giornata nazionale di studi

 Senza ergastoli. Per una società meno vendicativa

Venerdì 6 giugno 2014, ore 9.30-16.30, Casa di Reclusione di Padova

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Durante un incontro con i detenuti di Ristretti Orizzonti, Agnese Moro sull’ergastolo ha detto che “L’ergastolo è come dire ad una persona ‘ti vogliamo buttare via’, ma io non voglio buttare via nessuno”.

In Italia gli ergastolani condannati in via definitiva al 31 dicembre del 2013 erano 1.583. Circa la metà si trova nei circuiti differenziati, tra regime di Alta Sicurezza e 41 bis. Questo significa che una buona parte di loro è esclusa dalle misure alternative al carcere.

In nome della sicurezza le emergenze non hanno mai una fine e le continue richieste di inasprimenti delle pene hanno portato all’aumento delle condanne all’ergastolo. Ormai, le condanne considerate “esemplari” non vengono date solo per reati legati al crimine organizzato, ma anche per reati in famiglia, dove le storie ci insegnano come la funzione deterrente della pena non ha alcuna efficacia. Ma si può ancora sognare una società che si rifiuta di condannare a vita i suoi membri?

Abbiamo organizzato una giornata di studi rivolta a tutti sul tema dell’ergastolo perché pensiamo che occorre aprire un dibattito, non tra gli “addetti ai lavori” ma dentro alla società, su una giustizia più mite, perché crediamo che un sistema penale più umano renda la società più civile.

“Senza l’ergastolo. Per una società meno vendicativa” è un convegno promosso dall’Università, ma che si svolge in un carcere, poiché queste due realtà, apparentemente lontane, dovrebbero collaborare per dare vita ad un processo di trasformazione culturale, affinché si possa convivere senza il desiderio “di buttare via nessuno”.

1)“No, questa non è giustizia, dovevano dargli non trent’anni ma l’ergastolo!”

Solitamente, si sente parlare di ergastolo quando qualche fatto di cronaca, per la sua stessa natura oppure per una costruzione mediatica, fa inorridire l’opinione pubblica a tal punto, che la condanna è accolta con soddisfazione solo se cala sulla testa del colpevole la spada del carcere a vita. Ci domandiamo allora che cosa è la giustizia: “ottenere giustizia” può essere davvero una questione di anni di galera comminati?

Agnese Moro, figlia di Aldo Moro, uomo politico e giurista ucciso dalle BrigateRosse il 9 maggio del 1978

Intervento di un detenuto ergastolano

 

2) Una società libera dall’ergastolo è possibile?

L’idea della pena che c’è oggi è sempre ed esclusivamente l’idea che la pena deve fare soffrire, e la sofferenza deve essere prima di tutto fisica. Se dolore deve essere, ci può essere “un altro tipo di sofferenza”, un’altra pena anche per reati gravissimi?

Massimo Pavarini, Professore ordinario di diritto penale, Università di Bologna

Intervento di un detenuto ergastolano

 

3) L’ergastolo sta dentro o sta fuori l’orizzonte costituzionale della pena?

L’ordinamento italiano prevede l’ergastolo declinandolo al plurale: comune (art. 22 c.p..), con isolamento diurno (art.  72  c.p.), ostativo (art. 4-bis ord. penit.). Sovraordinata alla legge, c’è però una Carta costituzionale che esige una pena finalizzata alla risocializzazione del reo (art. 27, 3° comma), rifiuta ogni trattamento contrario al senso di umanità (art. 27, 3° comma), vieta la pena di morte (art. 27, 4° comma), vieta la tortura (art. 13, 4° comma), e riconosce come sempre possibile l’errore giudiziario (art. 24, 4° comma). La domanda è giuridicamente doverosa: gli ergastoli rispettano la legalità costituzionale?

Andrea Pugiotto, Professore di diritto costituzionale, Università di Ferrara

Intervento di un detenuto ergastolano

 

4) Si può inasprire ancora il regime di 41-bis?

Sono ormai 20 anni che assistiamo a continui inasprimenti del regime di 41-bis. Tuttavia, dopo le minacce di Toto Riina contro il magistrato De Matteo, registrate e poi trasmesse dai media, il ministro Alfano ha chiesto un ulteriore indurimento. Ma è rimasto ancora qualcosa da togliere nella vita di quei 600 detenuti, quasi tutti ergastolani, segregati in regime di 41-bis?

Maurizio Turco, già parlamentare radicale, autore diTortura democratica. Inchiesta su «La comunità del 41 bis reale»”.

Intervento di un detenuto ergastolano

 

5)Per un ripristino dei diritti sospesi, dopo vent’anni di emergenza mafia

Parlare dell’ergastolo ostativo ci costringe a sollevare il problema di una legge nata sull’onda emotiva delle stragi mafiose di vent’anni fa. Quella legge forse aveva un senso in quel momento storico, ma se l’emergenza implica la sospensione di alcuni diritti per un limitato periodo di tempo, non è giunta l’ora di considerare l’emergenza conclusa e ripristinare tutti i diritti sospesi?

Luciano Eusebi, Professore di diritto penale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

Intervento di un detenuto ergastolano

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6)Ergastolo ostativo e collaborazione inesigibile

L’art. 4-bis fa coincidere il sicuro ravvedimento esclusivamente con un comportamento di collaborazione fruttuosa con la giustizia. Ma ci sono anche storie di detenuti che non collaborano perché non sanno, o perché non vogliono mettere a rischio la vita dei propri famigliari. Dopo tanti anni di pena, la collaborazione può essere considerata ormai inesigibile?

Carmelo Musumeci e Biagio Campailla, detenuti ergastolani della redazione di Ristretti Orizzonti

 

7)Ma quando un condannato all’ergastolo sarà fuori?

Sempre di più dobbiamo fare i conti con l’ipocrisia di chi dice che l’ergastolo nei fatti non c’è più, perché dopo 26 anni si può ottenere la liberazione condizionale. È vero?

Elton Kalica, Ristretti Orizzonti

Intervento di un detenuto ergastolano

 

8)L’ergastolo come cancellazione fisica per le famiglie

Se lo Stato dovrebbe stare tra la vittima e l’autore di reato come un’entità che sanziona le condotte illegali senza cercare la vendetta, come si può definire uno Stato che in nome delle vittime ricorre sempre di più alla pena estrema, all’ergastolo? Nonostante la Costituzione dica che la pena non può consistere in un trattamento inumano e degradante, l’ergastolo ostativo cancella il condannato dalla società, negando alla famiglia anche la speranza di riavere il proprio caro, vivo.

Ornella Favero, giornalista, direttore di Ristretti Orizzonti

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9) Condannato all’ ergastolo, ma avere un padre è un mio diritto

Si prevede l’intervento di alcuni famigliari di ergastolani ostativi

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10)Una battaglia radicale contro il carcere a vita

Per parlare di temi delicati come l’ergastolo non si dovrebbe più dire “non è il momento, la situazione è difficile…”. DEVE essere sempre il momento per fare con coraggio una battaglia culturale per una giustizia più mite.

Rita Bernardini, segretario nazionale Partito Radicale Italiano

 

Modera Giuseppe Mosconi,Professore Ordinario di Sociologia del diritto, Università di Padova

Interverrà con alcuni pezzi musicali, la pianista e compositrice Alessandra Celletti

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Fonte: Ristretti Orizzonti

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