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Serena notte a te!
Non attardarti…
In sogno, pazientemente, aspetterò d’incontrarti.
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(Anonimo)
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"L'informazione è potere! L'informazione deve essere libera!"
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Serena notte a te!
Non attardarti…
In sogno, pazientemente, aspetterò d’incontrarti.
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(Anonimo)
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di Lorenzo Sciacca
Fino al 31 settembre nelle carceri italiane si sono registrate 31 morti per suicidio. Con molto dispiacere mi vedo costretto ad aggiungere un altro a questa lista che sembra non finire mai.
Ieri 18 ottobre 2014 alle ore 18 nella Casa di Reclusione di Padova si è tolto la vita un giovane tunisino di 38 anni di nome Samir Riahi impiccandosi alle sbarre del bagno. Pochi mesi fa un altro uomo aveva tentato lo stesso gesto e nella stessa sezione, solo grazie all’intervento di un detenuto è riuscito a essere salvato da quella che per lui era l’unica via d’uscita da questo posto.
La mia cella è molto vicina alla cancellata che si affaccia sull’altra sezione.
Ero in cella che stavo cucinando quando ho sentito delle forti grida, ma la mia curiosità non è stata stuzzicata, ho pensato che potevano essere le solite grida che accompagnano discussioni che a volte accadono in questi posti. Poi un mio compagno è entrato nella mia cella dicendo “Lorenzo si è impiccato uno”. Ho spento i fornelli e sono andato di fronte al cancello per vedere cosa fosse successo.
Le guardie continuavano a muoversi avanti e indietro in maniera frenetica di fronte alla cella di Samir. Ogni volta che passavano di fronte a noi “spettatori” provavamo a domandare se fosse ancora vivo, ma non riuscivamo a strappargli notizie, fino a quando un agente, senza dire niente, ha fatto una chiara espressione di resa. Lì abbiamo capito che il ragazzo era morto. Verso le sette ci hanno chiusi tutti nelle nostre celle, stava per arrivare il magistrato, credo che sia la prassi in questi casi. Entrato in cella ho preso uno specchio e, facendo uscire il braccio tra le sbarre del mio cancello, sono riuscito a vedere quello che stava accadendo.
È molto difficile spiegare quello che ho provato nel momento in cui ho visto questa specie di “astuccio” gigante con dentro il corpo senza vita di una persona. Poi è arrivata una bara, una di quelle che si vedono quando succede qualche incidente stradale, chiare, credo che siano fatte di alluminio, hanno adagiato il corpo al suo interno e poi è scomparso nel lungo corridoio trasportato dagli appuntati.
È faticoso cercare di essere razionali in questi momenti, perché quando veniamo arrestati la nostra vita è affidata alle istituzioni, ma in tutta onestà non credo che sia così. La nostra vita è affidata al proprio limite di sopportazione, alla sofferenza che uno ha e se arrivi al limite ci sono sempre queste sbarre arrugginite a darti la soluzione a tutti i problemi. Io non so la storia di Samir e non so neanche per cosa era carcerato, so che aveva una famiglia, aveva due fratelli a Verona che lo aspettavano e una madre a Tunisi che attendeva di poter riabbracciare suo figlio.
Per me che sono detenuto, che ho commesso dei reati e ho delle responsabilità, parlare di abbandono da parte delle istituzioni può essere anche scomodo, ma credo non sia giusto che persone che hanno fatto delle scelte sbagliate vengano abbandonate a se stesse, e per piacere non diamo esclusivamente la colpa al sovraffollamento, è proprio la cultura, il concetto di punizione che abbiamo nel nostro Paese, il “buttare via le chiavi” oppure esclamare “uno in meno” che deve mutare.
Anch’io ho passato momenti della mia carcerazione dove è stato difficile ritrovare motivazioni per andare avanti e me la sono dovuta “smazzare” da solo. Sono stato fortunato niente di più, solo grazie a delle piccole circostanze che mi hanno portato a scovare il desiderio di continuare ad amare la vita, anche avendo una condanna di 30 anni, ma Samir questa fortuna non l’ha avuta. Samir ha pensato che la soluzione migliore era appendersi a queste fottute sbarre, le stesse sbarre che lo stavano uccidendo giorno per giorno, allora ha deciso di farla finita.
Vorrei terminare questo mio scritto con la speranza che le cose possano cambiare, ma soprattutto invitando le persone che possono “fare” ad agire in fretta, ma in tutta onestà inizio a credere che non cambieranno mai. Sono certo che a breve mi ritroverò di nuovo dietro a un foglio a scrivere di qualche altro suicidio e a pensare a quei familiari che non sono riusciti neanche a dire addio al proprio caro.
Detenuto s’impicca in carcere (Il Mattino di Padova, 20 ottobre 2014)
Era arrivato al carcere Due Palazzi da appena quattro giorno: fine pena nel 2021. Samir Riahi, 38 anni, tunisino, non ha retto psicologicamente al pensiero di dover trascorrere così tanto tempo in galera. Sabato pomeriggio si è tolto la vita in una cella del penitenziario: si è impiccato con una cintura.
È il quarto suicidio dall’inizio dell’anno all’interno del carcere di Padova. Il nordafricano stava scontando un tentato omicidio commesso a Gradisca d’Isonzo. Alle spalle aveva alcuni precedenti penali per droga ed è stato più volte denunciato per liti all’interno delle carceri. Avevano deciso il suo trasferimento a Padova dopo un periodo trascorso a Verona. Ma sabato pomeriggio il detenuto ha deciso di farla finita.
L’allarme l’ha dato il compagno di stanza al rientro dall’ora d’aria. Il trentottenne tunisino giaceva esanime nel bagno della cella, con la cintura intorno al collo. Gli accertamenti sul caso sono stati affidati agli uomini della Squadra mobile di Padova. Gli investigatori del vicequestore aggiunto Marco Calì hanno visionato i filmati ripresi dalle telecamere del circuito interno al carcere. Dalle immagini si vede chiaramente il compagno di stanza entrare e uscire subito dopo di corsa per chiedere aiuto.
Anche l’esame esterno della salma non ha dato altro responso, se non quello del suicidio. Nessun segno di violenza o altro che faccia pensare al coinvolgimento di qualcuno. Per togliersi la vita Samir Riahi ha utilizzato la cintura dei pantaloni. Questa è la quarta tragedia dall’inizio dell’anno all’interno del penitenziario padovano. In aprile Alessandro Braidic, 39 anni, condannato ad una pena che lo obbligava a rimanere in carcere fino al 2039, si è tolto la vita nella sua cella. Poi due casi strettamente legati perché connessi all’inchiesta sul giro di droga all’interno della casa di reclusione.
In luglio si è tolto la vita il detenuto Giovanni Pucci, 44 anni, elettricista di Castrignano dei Greci (Lecce). È stato trovato morto impiccato nella sua cella al terzo blocco della casa di reclusione, poche ore dopo l’interrogatorio. Nemmeno un mese dopo è stata la volta dell’assistente della polizia penitenziaria Paolo Giordano, 40 anni, anch’egli coinvolto direttamente nell’inchiesta della Squadra mobile. Con una lametta da barba si è tagliato la gola nel suo alloggio di via Due Palazzi. Ora questo nuovo caso con un altro detenuto che preferisce la morte alla detenzione.
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Fonte: Ristretti Orizzonti
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“C’è un modo di entrare in contatto tra esseri umani più percettivo e affidabile della parola, fatto di sguardi, silenzi, gesti e messaggi ancora più sottili; è il modo in cui un essere umano nel suo intimo risponde al richiamo di un altro, quella silenziosa complicità che nel momento del pericolo dà alla muta domanda una risposta più inequivocabile di qualsiasi confessione o argomentazione…”
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(Sàndor Màrai)
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Photo “Veil to silence” by SeaFairy
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