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Napoli riconosce la Palestina come Stato

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20 dicembre 2011

Saluto questo consiglio comunale con la convinzione di chi sa che se la scelta di decretare la nascita di uno stato palestinese toccasse ai popoli del mondo, e non ai governi, la Palestina oggi sarebbe già uno stato. Saluto questo consiglio con la convinzione che la nascita di uno stato palestinese possa essere la migliore ipoteca per lo stato di Israele sulla propria affermazione ad esistere e sulla propria prosperità. Sono felice che la bandiera della Palestina sventoli oggi nel cielo di Parigi al fianco delle altre dinanzi la sede dell’Unesco. Sono felice che l’iniziativa diplomatica torni, anche se solo in forma rappresentativa, agli enti locali. È un passaggio affinché ci sia maggior sintesi fra il sentire delle popolazioni e le scelte dei governi. Al contempo voglio rivendicare la tradizione che il nostro Paese vanta in solidarietà del popolo palestinese. Lo voglio fare ricordando il Presidente della Repubblica che più di tutti sostenne un popolo martoriato da continui massacri in tutta la sua drammatica diaspora: Sandro Pertini. La storia della Palestina da molti viene letta come l’ingiusto risarcimento dato alla popolazione ebraica del mondo per l’immane tragedia che è stato lo sterminio. Ingiusto perché la Shoà è la irreparabile tragedia la cui responsabilità è attribuibile solo a noi europei. I palestinesi, nel continuo diniego di uno stato, rappresentano il secondo popolo martoriato. Ma un dato che l’Europa e l’Occidente deve assumere è che non è giusto concepire la continua ripetibilità di un male relativo per la presunta non ripetibilità di un male considerato assoluto. Il male è assoluto nella sua autenticità e non è tollerabile mai. È maturo il tempo perché il male venga bandito da una parte e dall’altra. È maturo il tempo perché il popolo palestinese viva prospero in uno stato confinante con uno stato altrettanto prospero: Israele. Auspico il giorno in cui palestinesi e israeliani non facciano più notizia, quasi come lussemburghesi e belgi. Le primavere sparse nel mondo chiedono questo, lo chiede il popolo il mondo. Il diritto alla sicurezza dello stato di Israele passa oggi per il riconoscimento di uno stato sovrano palestinese.

Napoli, nel suo piccolo di una città ma nel suo grande per le molteplici componenti che la formano, vanta una tradizione significativa di solidarietà con il popolo palestinesi. Penso alle precedenti amministrazioni che hanno intrapreso azioni significative con importanti città della Cisgiordania. Torna centrale il ruolo dei Comuni, diviene importante il ruolo dell’Anci. Qui voglio affermare che questa amministrazione tratterà la Palestina e la sua rappresentanza in Italia come fosse uno Stato. Lo farà in ogni occasione utile. L’Amministrazione ha deciso di supportare la società palestinese e la sua Autorità Nazionale relazionandosi direttamente con tre importanti municipalità: Nablus, Ramallah, Betelemme. Per la città di Nablus abbiamo programmato un intervento nell’ambito sanitario, forniremo le istituzioni locali di un ecocardiografo portatile per poter fare diagnosi di patologie cardiache in loco. I bambini a cui verranno riscontrate patologie gravi verranno poi operati a Napoli. Sempre con le istituzioni sanitarie di Nablus programmeremo nella nostra città occasioni per la formazione di personale paramedico. Con la municipalità di Ramallah e l’Università di Bir Zeit stiamo stilando un progetto affinché il Comune di Napoli contribuisca all’apertura di un polo museale scientifico. Con la città di Betlemme intendiamo aprire un canale fra la locale camera di commercio e la nostra al fine di inserire l’artigianato palestinese all’interno della nostra rete commerciale. Assistenza sanitaria, formazione e incentivo al commercio, questi i tre ambiti che riteniamo proficui per il consolidamento delle istituzioni palestinesi e per lo sviluppo della società palestinese. Questi i tre interventi per noi necessari al fine di abbattere gli embarghi informali che attanagliano la società palestinese. La crisi finanziaria e le manovre economiche del governo centrale non aiutano i comuni ad elaborare una seria e proficua programmazione per la cooperazione decentrata. Il nostro programma d’intervento per la Palestina è stilato con la sinergia dell’Unione Industriali, della Camera ci Commercio, delle Università Federico II e Suor Orsola Benincasa, dell’Ospedale Santobono e della sua fondazione. A questi enti va il mio vivo ringraziamento per l’azione che hanno deciso di intraprendere insieme al Comune di Napoli. Allargheremo presto il tavolo ai sindacati e ad altre fondazioni, convinti del fatto che la sinergia è indispensabile soprattutto in un momento di crisi.

Oltre queste istituzioni per noi partner fondamentale è la Comunità Palestinese di Napoli. Personalmente considero questa Comunità un punto di riferimento per la vita culturale della città, per la promozione della Pace e dei diritti nel mondo. Figli di una diaspora considerata dalla storia minore la comunità palestinese ha portato a Napoli scrittori, artisti, intellettuali, personalità politiche. Veicolo culturale di straordinaria vitalità la Comunità Palestinese ha contribuito alla crescita di migliaia di giovani di questa città e del Meridione del Paese giunti a Napoli per gli studi universitari. Con soddisfazione posso affermare che con loro l’amministrazione progetta le iniziative di solidarietà e cooperazione con le municipalità ed università palestinesi. Ringrazio il presidente della Regione e della Provincia per essere oggi qui. Ringrazio il presidente dell’Anci. Caro ambasciatore palestinese, per noi, per questo consiglio, siete i rappresentanti di uno Stato.

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Fonte: Luigi De Magistris

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Iraq: fuori i soldati, dentro i mercenari della Blackwater

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Sono sempre più diffuse le voci secondo cui la Blackwater, la nota compagnia “fornitrice di soluzioni di sicurezza”, intenderebbe ritornare a operare in Iraq, il paese da cui era stata bandita nel 2007. Per riuscirci, ha cambiato il suo nome in Academi.

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di Giovanni Andriolo

Nel linguaggio del marketing, il termine rebranding  sta a indicare un processo attraverso il quale un prodotto o un servizio viene reintrodotto nuovamente sul mercato con altro nome o una diversa identità.

E’ proprio quello che ha fatto anche la Blackwater, nota compagnia militare privata statunitense, attiva negli scenari internazionali più “caldi” del pianeta.

In realtà, il nome della Blackwater è famoso nel mondo per lo scandalo che colpì nel 2007 alcuni dei suoi contractors, colpevoli di aver ucciso 17 civili nel corso di una sparatoria in piazza Nisour, a Baghdad, mentre cercavano di proteggere un convoglio di diplomatici statunitensi caduti in un’imboscata.

All’epoca, le “soluzioni di sicurezza” della Blackwater furono giudicate eccessive, e il governo iracheno le revocò la licenza per operare nel paese.

A quel punto, subentrò il primo rebranding: nel 2009 la Blackwater si trasformò nella Xe Services LLC.

Gli affari proseguivano e la compagnia ha continuato a lavorare con il governo statunitense su molteplici fronti, il più importante dei quali in Afghanistan.

Tuttavia, il ritiro delle truppe americane di stanza in Iraq apre nuove prospettive.

Soprattutto perché Washington intende dispiegare da gennaio 2012 un nuovo “esercito” di 5.500 contractors, militari privati, a protezione delle sedi e del corpo diplomatico statunitense nel paese.

La posta in gioco è alta e la Blackwater non vuole mancare in quello che potrebbe diventare il teatro più “redditizio”.

Basti pensare che finora i contratti per la protezione dei diplomatici statunitensi in Iraq sono stati affidati a tre grandi compagnie di sicurezza: la Triple Canopy – che ha un contratto di 1,53 miliardi di dollari statunitensi -, la Global Strategies Group – che proteggerà il consolato di Bassora per la cifra di 401 milioni di dollari -, e la SOC Incorporated – che resterà a ‘guardia’ dell’enorme ambasciata a stelle e strisce con sede a Baghdad, per 974 milioni di dollari.

I contratti sono dunque ‘generosi’, e offrono margini di guadagno interessanti: in palio ci sono ancora i consolati di Mosul, Kirkuk e Irbil. Un’occasione ghiotta, che la Blackwater non può davvero lasciarsi sfuggire.

Per questo motivo, a dicembre del 2011 è stato annunciato un nuovo rebranding della compagnia, che trasferirà la sua sede dal Nord Carolina alla Virginia e si chiamerà Academi.

Un riferimento, secondo il nuovo CEO Ted Wright, alla ‘Accademia di Platone’, finalizzato a fornire all’azienda un’immagine più “noiosa”.

Certamente, l’idea di rientrare di soppiatto nel paese da cui era stata bandita, sembra l’unica soluzione per una compagnia che nel paese dei due fiumi guadagnava, prima del 2007, circa un terzo delle sue entrate annuali totali.

Per riottenere l’incarico, l’Academi ha diverse carte da giocare.

Innanzitutto, negli ultimi anni ha ristrutturato e apportato modifiche al suo organigramma, la più eclatante della quali è stata la progressiva marginalizzazione del fondatore, Erik Prince, e l’assunzione di un nuovo amministratore delegato, il già citato Ted Wright.

Inoltre, l’azienda ‘preferita’ di George W. Bush ha perseguito negli ultimi due anni un tenace lavoro di lobbying anche sul versante del partito democratico statunitense, ottenendo buoni risultati.

Tra questi, il contratto da 250 milioni di dollari del 2010 (in piena amministrazione Obama), per operare in Afghanistan sotto la direzione del dipartimento di Stato e della Cia.

Infine, l’Academi possiede una piccola flotta di elicotteri MD-530, già dispiegati in Iraq dalla Blackwater.

Da gennaio 2012 anche il controllo dello spazio aereo iracheno sarà affidato a Baghdad, e per questo Washington sembra volersi muovere nella direzione di assicurare anche una “protezione dall’alto” al suo corpo diplomatico.

Secondo molti analisti si tratta di un matrimonio, quello dell’Academi e dell’Iraq, che non dovrebbe riservare ‘sorprese’. 

Ciononostante, non sfugge il fatto che la compagnia sia ancora sotto inchiesta da parte di diverse agenzie e del Congresso, per una serie di presunti crimini e violazioni che spaziano dall’accusa di omicidio, omicidio colposo, cospirazione, falsa dichiarazione, utilizzo di compagnie di schermo per accaparrarsi contratti da cui la Blackwater era bandita.

Un curriculum degno di nota che, se associato allo scarso favore che tra la popolazione irachena gode la compagnia dopo i fatti del 2007, non mancherà di far parlar di sé nei prossimi mesi. 

19 dicembre 2011

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Fonte: Osservatorioiraq

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