Daily Archives: 28/03/2010

I nemici di Internet: Rapporto di Reporters Sans Frontierès

 

 

 

La battaglia per un’informazione libera si gioca sempre più su
Internet. La tendenza generale che si sta delineando è quella di un
rafforzamento del controllo da parte di un numero crescente di paesi, ma
anche di una crescita delle capacità di mobilitazione dei “netizens”
(cittadini della rete) sempre più creativi e solidali.

 

Internet, spazio di scambi e di mobilitazione

Nei paesi autoritari, dove i media tradizionali sono sotto la mannaia
del regime, Internet offre uno spazio unico di discussione e di scambio
di informazioni, ma è anche motore della contestazione e della
mobilitazione democratica. Internet rappresenta il crogiuolo in cui le
società civili sotto controllo rinascono e si sviluppano.

I nuovi media e in particolare i social network hanno messo a
disposizione della gente strumenti di collaborazione che permettono di
sconvolgere l’ordine sociale. I giovani li hanno presi d’assalto.
FaceBook è diventato un luogo d’incontro per i manifestanti che non
possono scendere in piazza. Un semplice video su YouTube – Neda in Iran o
la manifestazione arancione dei monaci birmani – può essere sufficiente
a mostrare al mondo intero gli abusi dei governi. Una semplice
chiavetta USB può permettere di diffondere delle informazioni proibite,
come a Cuba dove sono divenute le “samizdat” locali.

Gli interessi economici e la difesa della libertà di circolazione
dell’informazione vanno talvolta di pari passo. In alcuni paesi, sono le
aziende che hanno ottenuto il migliore accesso ad Internet e ai nuovi
media, a volte con delle ripercussioni positive per il resto della
popolazione. Ostacolo per gli scambi economici, la lotta alla censura
del Web dovrebbe figurare tra gli appuntamenti sull’agenda
dell’Organizzazione mondiale del Commercio. Molti dei suoi membri, come
la Cina e il Vietnam, dovrebbero essere costretti ad rendere libere le
loro reti prima di unirsi al villaggio globale del commercio mondiale. (leggi tutto)

 

Fonte: Reporters Sans Frontierès

 

 


Aziende italiane nel business degli strumenti di tortura.

 

Strumenti utilizzati per la tortura nel Medio Evo

 

Rapporto di Amnesty International e della Omega
Research Foundation: scappatoie legali consentono alle aziende europee
di commercializzare "strumenti di tortura"


Un nuovo rapporto diffuso oggi
da Amnesty International e dalla Omega Research Foundation presenta
prove della partecipazione di aziende europee al commercio globale in
"strumenti di tortura", tra cui congegni fissati alle pareti delle celle
per immobilizzare i detenuti, serrapollici in metallo e manette e
bracciali che producono scariche elettriche da 50.000 volt.
 
Il
rapporto, intitolato "Dalle parole ai fatti", denuncia che queste
attività sono proseguite nonostante l’introduzione, nel 2006, di una
serie di controlli per proibire il commercio internazionale di materiale
di polizia e di sicurezza atto a causare maltrattamenti e torture e per
regolamentare il commercio di altro materiale ampiamente usato su scala
mondiale per torturare.
 
Il rapporto verrà formalmente preso in
esame domani a Brussels, nel corso della riunione del Sottocomitato sui
diritti umani del Parlamento europeo. Amnesty International e la Omega
Research Foundation chiedono alla Commissione europea e agli stati
membri dell’Unione europea di tappare le falle legislative illustrate
nel rapporto e di applicare e rafforzare la normativa esistente.
 
"L’introduzione di controlli sul commercio di
‘strumenti di tortura’, dopo un decennio di campagne da parte delle
organizzazioni per i diritti umani, ha rappresentato una pietra miliare
dal punto di vista legislativo. Ma tre anni dopo la loro entrata in
vigore, diversi stati europei devono ancora applicarli o rafforzarli
"
– ha dichiarato Nicolas Beger, direttore dell’Ufficio di Amnesty
International presso l’Unione europea.
 
"Le
nostre ricerche mostrano che dal 2006, nonostante i nuovi controlli,
diversi stati membri tra cui Germania e Repubblica Ceca hanno
autorizzato l’esportazione di strumenti per operazioni di polizia e di
controllo dei detenuti verso almeno nove paesi, in cui Amnesty
International ne ha documentato l’uso per infliggere torture. Inoltre,
solo sette stati membri hanno dato seguito agli obblighi legali di
rendere pubbliche le loro esportazioni. Temiamo che qualche stato non li
stia prendendo sul serio
" – ha commentato Brian Wood, direttore
del dipartimento di Amnesty International che si occupa di questioni
militari, di sicurezza e di polizia. 


Le scappatoie legali esistenti
permettono inoltre ad alcune aziende di commercializzare strumenti che
non hanno altro scopo se non quello di infliggere torture e
maltrattamenti. (leggi tutto)

CS027: 17/03/2010

 

Fonte: Amnesty International