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USA: Wikileaks, Twitter e la privacy violata

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Wikileaks, artigli statunitensi su Twitter

di Claudio Tamburrino

Accesso (senza mandato) garantito alla autorità per tre account Twitter ritenuti legati a Wikileaks. Una decisione pericolosa per la privacy dei cittadini della Rete

Il Tribunale della Virginia ha emesso una sentenza che preoccupa gli osservatori e le associazioni di diritti civili: in base ad essa il Dipartimento di Giustizia (Department of Justice, DoJ) statunitense avrà accesso a tre account che secondo le autorità sarebbero legati a Wikileaks. Il giudice ha rifiutato altresì di riconoscere agli utenti anche il diritto di sapere se altre aziende ICT sono state obbligate come Twitter a dare accesso ai loro dati.

I tre account appartengono alla parlamentare islandese Birgitta Jonsdottir, all’hacktivista Jacob Appelbaum e all’olandese Rop Gonggrijp. A loro supporto si erano schierati anche i gruppi che si occupano di diritti civili Electronic Frontier Foundation (EFF) e American Civil Liberties Union (ACLU)

La decisione conferma una sentenza emessa a marzo dallo stesso giudice federale della Virginia, in base alla quale il Dipartimento di Giustizia (DoJ) avrebbe potuto accedere agli account Twitter collegati direttamente a Wikileaks: l’obiettivo dell’ispezione era individuare i messaggi privati e gli indirizzi IP ad essi associati per cercare di dare un volto agli individui che, insieme a Julian Assange, hanno da ultimo imbarazzato Washington con la diffusione dei suoi cablogrammi diplomatici. (leggi tutto)

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Fonte: Punto Informatico

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Libia, italiani tra i mercenari che hanno attaccato al-Zawiyah?

L’informazione è stata comunicata attraverso la pagina Facebook del gruppo che da giorni riporta notizie sugli avvenimenti libici.

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La pagina Facebook del sito dell’opposizione libica al-Manara“, che da giorni riporta notizie su quanto sta accadendo nel Paese, informa che questa mattina la città di al-Zawiyah (40 chilometri ad ovest di Tripoli) sarebbe stata attaccata da miliziani delle brigate fedeli a Gheddafi e da mercenari di nazionalità araba ed europea, compresi  italiani. Sulla stessa pagina nei giorni scorsi era stato scritto che i manifestanti avevano preso il controllo della città e catturato 22 miliziani delle brigate fedeli al rais tra cui figuravano alcuni europei.

Nei giorni scorsi su Twitter, altro famosissimo social network, aveva iniziato a diffondersi la voce che fantomatici mercanari italiani stessero bombardando i manifestanti con degli F16: la notizia, citata da Al Jazeera, non è stata confermata qualsiasi altro media.

Ieri in Italia il PD ha intrapreso un interrogazione parlamentare nei confronti del ministro della Difesa, Ignazio la Russa, affinchè venga fatta chiarezza sulle testimonianze riportate da Al-Jazeera: La Russa renderà conto al parlamento nei prossimi giorni.

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Fonte: PeaceReporter

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Facebook Revolutions

Gli strumenti della rivoluzione

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Dalla libreria di terrelibere.org il nuovo eBook Facebook Revolutions”.

Twitter, Facebook e YouTube non sono il movimento, ma gli strumenti del movimento. Quelli che hanno permesso di abbattere un regime pluridecennale, feroce e liberticida. Nelle piazze, gli attivisti avevano in una mano la bandiera, nell’altra il cellulare. Foto, post e tweet hanno incendiato gli animi e sconfitto la censura. Un pirata informatico è diventato ministro. Un rapper ha cantato la rivoluzione da YouTube. Niente sarà più come prima. E non solo nel mondo arabo.


Dalla Tunisia all’Egitto le proteste popolari di massa hanno parlato una sola lingua: basta regimi dittatoriali, la gente comune vuole libere elezioni e democrazia.

I manifestanti hanno alzato più volte lo stesso cartello: “Game Over”. Segno della consapevolezza che quelle immagini sarebbero arrivate ai sostenitori internazionali dei despoti che governano da venti, trent’anni. Le hanno chiamate “le rivoluzioni di Facebook e Twitter”. Non sono stati i social media a mandare Zine el-Abidine Ben Ali in esilio a Jedda.

Ma senza questi strumenti non ci sarebbe stata la “rivoluzione dei gelsomini”. I nuovi mezzi di comunicazione hanno permesso di diffondere informazioni, video e fotografie aggirando la censura e connettendo le persone all`interno dello stesso paese, da un paese all’altro, con l`opinione pubblica internazionale.

La rivoluzione, poi, l’hanno fatta le persone nelle strade. Opponendo i loro corpi alla repressione e pagando anche con la vita. In una mano un cartello o una bandiera, nell`altra il cellulare. Un largo movimento di massa è cresciuto a causa della sofferenza delle persone in un preciso contesto politico, economico e sociale. Twitter, Facebook e YouTube non sono il movimento, sono gli strumenti del movimento.

Hanno dato voce a questa gente, che si è ritrovata unita dalla fame di libertà. I regimi hanno perso perché pur nel loro costante controllo dell’informazione con tutti i mezzi della censura, hanno sottovalutato il potere dei social network.

L`Occidente si è trovato sorpreso e impreparato perché ha continuato a raccontare la favola di masse amorfe, attratte al più dai richiami dei muezzin. La società civile europea è in gran parte rimasta ai luoghi comuni delle parabole, degli sbarchi dei disperati o dell`invasione. E non ha capito cosa stava fermentando dall`altra parte del Mediterraneo.

Vai all’anteprima dell’eBook

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