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Osservatorio Permanente sulle morti in carcere, 12 agosto 2012
Radicali Italiani, Associazione “Il Detenuto Ignoto”, Associazione “Antigone”, Associazione A “Buon Diritto”, Redazione “Radiocarcere”, Redazione “Ristretti Orizzonti”.
Altri 3 detenuti sono morti. Si aggiungono all’interminabile lista delle vittime di un sistema penitenziario sempre meno capace di tutelare la vita e la salute delle persone che dovrebbe “custodire”: 6 da inizio agosto, 100 da inizio anno, 2.033 (duemila trentatré) negli ultimi 12 anni.
Avevano un’età media di 39 anni… quindi “giovani” per i parametri biologici e sociali adottati comunemente, ma i 2/3 di loro sono morti per “cause naturali” (il restante terzo si è suicidato).
Nello stesso periodo di tempo (2000-2011) la “criminalità organizzata” (dicitura che ricomprende le varie mafie) in Italia ha ucciso 1.579 persone, mentre 593 sono state le vittime della criminalità comune nel corso di rapine.
Entrambi i contesti presentano numeri da strage: “fuori” quella volontaria, spesso premeditata, compiuta da banditi assetati di denaro e di potere; “dentro” quella colposa, perché prevedibile con certezza, perché prodotta da condizioni detentive inumane e degradanti, da un’assistenza sanitaria spesso negata, dall’impossibilità di sperare in un futuro migliore, dall’inerzia e dall’abbandono.
Duemila le vittime della “criminalità criminale”, in 12 anni, su circa 60.000.000 di abitanti.
Duemila le vittime della “criminalità di Stato”, in 12 anni, su circa 60.000 detenuti.
La 2033esima vittima
Si chiamava Costa Ngallo, nato in Rwanda nel 1962, detenuto a Rebibbia per scontare una pena residua di circa 4 anni. Ha un decreto di espulsione, non applicato per la sua condizione si salute: cardiopatico, dializzato, ha una dentatura rovinata per totale assenza di cure specifiche.
È incompatibile con il carcere ed a marzo 2011 ottiene la detenzione domiciliare, ma non ha un alloggio: avrebbe bisogno di una struttura di accoglienza che si possa occupare di lui anche dal punto di vista sanitario. Non ha soldi, non ha un permesso di soggiorno… e la struttura non si trova.
Così rimane in carcere: senza parenti in Italia, senza denaro; l’avvocato non va nemmeno una volta a trovarlo, soltanto i volontari di Antigone cercano di aiutarlo versandogli sul libretto i 20 € necessari per avere copia della cartella clinica, che ottiene dopo 5 mesi di attesa.
Tre volte la settimana viene condotto, con scorta della Polizia penitenziaria (3 agenti), all’Ospedale “Pertini” per sottoporsi alla dialisi: in 15 mesi più di 200 “traduzioni”, con costi di decine e decine di migliaia di euro… che avrebbero potuto essere spesi per reperirgli un alloggio e forse salvargli la vita. L’8 agosto, durante l’ennesimo viaggio al “Pertini”, Costa Ngallo muore.
La 2032esima vittima
Si chiamava Cheung Rhee He, nato in Corea nel 1964, detenuto nel carcere di Sollicciano per scontare una pena residua di 10 mesi. Non aveva parenti in Italia, aveva ripetutamente chiesto il trasferimento in un carcere a Roma, per poter avere colloqui con i famigliari attraverso l’Ambasciata coreana. Poiché la risposta del Dap non arrivava, nelle scorse settimane aveva anche iniziato uno sciopero della fame, a sostegno della richiesta.
Era sottoposto ad osservazione psichiatrica e in cella di isolamento. A fine luglio, l’ultima visita dello specialista avrebbe confermato che le sue condizioni non destavano preoccupazione: la sera del 4 agosto Cheung si impicca alla branda a castello. Un agente lo vede dallo spioncino, ma non ha le chiavi per aprire la cella e, mentre va a recuperarle, il detenuto cade dalla branda dove stava cercando di appendersi, batte la testa sul tavolo e muore.
Suicidio o “incidente”? Come mai aveva la branda a castello, se era in cella da solo? La sua richiesta di trasferimento per cercare di incontrare i famigliari è un comportamento da “folle”, meritevole di “osservazione psichiatrica”?
La 2031esima vittima
Si chiamava Luigi Didona, nato in Provincia di Caserta nel 1963, detenuto del carcere di Borgata Aurelia a Civitavecchia (Rm). Era in carcere per reati legati al suo stato di tossicodipendenza e in condizioni di salute molto precarie, tanto che giovedì 2 agosto il magistrato gli riconosce l’incompatibilità con la detenzione, disponendone la scarcerazione.
Il provvedimento gli doveva essere notificato entro le 24 ore, ma Luigi Didona muore prima. Mentre pranza in cella si strozza con un pezzo di carne: essendo senza denti, cercava di inghiottirlo intero. Viene soccorso, ma muore in Ospedale per arresto cardiaco da soffocamento. Il giudice, informato dell’accaduto, dispone che dalla camera mortuaria sia trasportato direttamente al cimitero, senza funerale.
La direttrice del carcere di Civitavecchia, dott.ssa Silvana Sergi, interpellata al riguardo, dichiara che la sepoltura senza funerale è “una prassi consolidata” e che “i familiari non si sono potuti permettere il trasporto e la tumulazione, tanto che se ne è fatto carico l’istituto stesso”.
Riguardo alle dinamiche che hanno portato Didona alla morte dichiara: “Un incidente che può capitare a chi ha problemi psichici. Era così povero che, pur non avendo più i denti, non si era potuto permettere una dentiera. Aveva 49 anni, non era anziano, ma viveva una situazione di disagio assoluto”.
Per evitare questo tipo di “incidenti” sarebbe bastato che Luigi Didona avesse ricevuto una dieta adeguata (carne trita, invece che a pezzi…), come peraltro viene fatto in qualsiasi struttura che “ospiti” persone prive di denti. Ma una adeguata attenzione socio-sanitaria avrebbe anche consentito la fornitura di una dentiera da parte del SSN…
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Fonte: Ristretti Orizzonti
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