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Facebook: ancora problemi di privacy per gli utenti

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Immagine di Arcadio Esquivel

Immagine di Arcadio Esquivel

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Non c’è pace per la privacy su Facebook

di Alessandro Del Ninno

Facebook si sta preparando a una nuova battaglia per la gestione dei dati personali dei suoi utenti con le sei principali organizzazioni americane che difendono la privacy. I legali delle associazioni hanno infatti inviato una lettera alla Federal Trade Commission (Ftc), l’ente governativo per la protezione dei consumatori, e ai politici degli Stati Uniti sostenendo che i recenti cambiamenti fatti dal colosso dei social network violano i termini di un accordo del 2012 siglato da Facebook con la stessa Ftc.

In pratica Facebook, nel nuovo accordo che fa firmare ai suoi utenti, sostiene di avere il diritto di usare le informazioni dei profili e le immagini dei suoi iscritti per fare campagne pubblicitarie agli amici senza chiedere alcun consenso e senza dare alcun compenso agli interessati. Secondo le associazioni invece l’accordo stipulato con la Ftc un anno fa prevede che Facebook non possa condividere informazioni dei suoi utenti senza chiedere ogni volta il permesso in modo esplicito e senza pagare per l’uso dei dati. Presupposti che, nelle nuove regole che entreranno in vigore nei prossimi giorni, sono del tutto assenti.

Le associazioni hanno espresso indignazione anche per un cambiamento apportato alle politiche sulla privacy per i minori di 18 anni. Dando il loro consenso alle nuove regole, infatti, i giovani user dichiarano che anche i loro genitori sono concordi con quanto firmato.

La nuova polemica che si è innescata sull’utilizzo dei dati personali e sulle privacy policies di Facebook (soggette a cambiamenti e integrazioni con cadenza ormai frequentissima) costituiscono l’occasione per una riflessione – che possiamo definire “filosofica” – riassunta dalla domanda: quale è oggi il senso ultimo delle rivendicazioni circa la tutela della privacy nel mondo digitale iperconesso, globalizzato e tecnologizzato?

Ha in parte affrontato la questione – partendo dal caso Snowden e dal ruolo della NSA americana – Evgeny Morozov nel suo interessante articolo “Addio privacy” (pubblicato su “Internazionale” del 6 settembre 2013). In questa sede appare significativo – della vicenda Facebook – che le sei associazioni USA a tutela della privacy abbiano contestato il mancato pagamento degli utenti per l’uso dei dati che il social network intende fare inviando alla rete di loro amici messaggi promozionali e commerciali. Emerge cioè nel dibattito un aspetto spesso sottaciuto nelle “crociate” a tutela della riservatezza: quello del valore commerciale dei dati personali come merce primaria nel mercato globalizzato.

Non si è contestato a Facebook (solamente) l’utilizzo senza consenso dei dati: si è contestata la violazione (commerciale) di un uso gratuito delle informazioni. Non si è contestata la violazione della riservatezza come indebita invasione in una sfera privata e intima (concetto novecentesco e ante Terza Rivoluzione Industriale di Internet), ma si è contestato il fatto che gli utenti di Facebook (e i loro amici) perdono il potere di libera e autonoma auto-determinazione (anche di tipo economico-commerciale) sui propri dati. E’ esattamente questo il senso ultimo – diremmo quasi la ontologia – della privacy nell’attuale Società della Informazione Globale: il senso del diritto alla riservatezza non è più quello – come qualcuno ha detto – di “farsi Robinson Crusoe nel mondo iperconesso”, ma è il potere di controllo (mediante corrette e preventive informative) che ciascuno deve avere sulle informazioni che lo riguardano. E solo da questo potere di controllo – che sia però effettivo e concreto – può nascere la libera e consapevole autodeterminazione circa l’autorizzazione a terzi (mediante i meccanismi di consenso) a fare uso dei nostri dati personali. E’ solo con la certezza di poter controllare i nostri dati (decidendo anche di farne oggetto di transazioni commerciali, di vera e propria vendita) che ci rendiamo disponibili a diffondere, condividere, trasmettere, comunicare nel mare magnum della Rete una massa enorme di informazioni, nell’ambito di un fenomeno (quello dei social network) che appare caratterizzato dalla volontà degli stessi utenti di cancellare la propria privacy, rendendo partecipi i terzi (sia pure “amici”) di ogni minuto della nostra vita (digitale e reale).

Ogni privacy policy che ci sottragga il controllo (anche economico) sulle nostre informazioni, non potrà che scatenare polemiche: ma non perché viene violato “the right to bel et alone” di ottocentesca memoria (prima teorizzazione del right to privacy nel 1896), ma perché ci viene tolta appunto la condivisione su scelte primarie e su beni economici primari quali sono i dati nella società del XXI secolo.

Alessandro del Ninno è avvocato presso la Tonucci &Partners e professore universitario

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Fonte: TAFTER.it

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Scoop del Guardian – USA: raccolta di registrazioni telefoniche di milioni di cittadini

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USA, NSA e le intercettazioni a strascico

Documenti esclusivi provano che l’intelligence tiene sotto controllo tutte le chiamate dei cittadini statunitensi. L’ha stabilito il presidente Obama, ed è una sorpresa che non sorprende. EFF: ve l’avevamo detto

di Alfonso Maruccia

Comunicazioni telefoniche dei cittadini statunitensi spiate dalle agenzie di intelligence alle dipendenze della Casa Bianca: una verità che riemerge grazie a uno scoop del Guardian, il quale pubblica un ordine segreto che obbliga il secondo provider statunitense a fornire informazioni a strascico alla National Security Agency (NSA) sulle chiamate quotidiane degli utenti.

L’ordine è stato dato dalla Foreign Intelligence Surveillance Court (FISC) e stabilisce l’obbligo, per Verizon, di raccogliere e fornire “su base giornaliera” i metadati sulle chiamate effettuate dai cittadini USA: che si tratti di comunicazioni nazionali o internazionali non fa alcuna differenza.

L’ordine è stato firmato a metà aprile con scadenza 19 luglio 2013, viene eseguito nel pieno rispetto delle norme del Patriot Act – che garantisce l’accesso ai registri di dati delle aziende per questioni di intelligence e antiterrorismo – e prova, per la prima volta in maniera inequivocabile e senza possibilità di appello, che la seconda amministrazione Obama non intende rinunciare alle pratiche illiberali messe in atto sull’onda dell’antiterrorismo figlio dell’attentato alle Torri Gemelle.

Verizon ha l’obbligo di fornire “solo” i metadati delle comunicazioni veicolate sul proprio network e non il contenuto delle chiamate vero e proprio o i dettagli privati (nome, indirizzo, dati finanziari) degli utenti, nondimeno NSA ha accesso quotidiano a informazioni sensibili quali numeri di telefono identificativi, tempo della chiamata e dati di localizzazione.

La privacy al telefono? Negli USA è poco meno che uno scherzo: che NSA e l’intelligence fosse invischiata in pratiche di intercettazioni a strascico è un fatto noto da anni, così come è nota la volontà della politica di Washington di mettere al sicuro compagnie di telecomunicazioni collaborative con norme ad hoc che le difendano dalle richieste di verità provenienti dai cittadini o dal potere giudiziario.

Amaro, come prevedibile, anche il giudizio della Electronic Frontier Foundation (EFF): l’associazione di legali e attivisti sottolinea come la rivelazione del Guardian confermi quanto si va dicendo da tempo sulle intercettazioni a strascico negli States, esorta gli americani ad arrabbiarsi e a chiedere a gran voce la fine del programma – illiberale e incostituzionale – di intercettazioni messo in atto dalla NSA.

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Fonte: Punto Informatico

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Privacy: siete sicuri con Skype?

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Skype non è così discreto come sembra

di Riccardo Meggiato

Un semplice esperimento dimostra che le chat non sono poi così private e imperscrutabili. E l’occhio curiosone è niente poco di meno che di…

C’è questa credenza che Skype garantisca il segreto super-assoluto nelle chiamate e nelle chat, grazie a una sofisticata tecnologia di criptazione dei dati. In buona sostanza, se ti scrivo o ti chiamo, non puoi che essere l’unico destinatario a poter interpretare correttamente le mie parole e i miei messaggi. Se qualcuno provasse a inserirsi nei nostri scambi, otterrebbe solo di sentire dei rumoracci e di non leggere alcuna frase comprensibile. E questo, per carità, è pure vero, visto che al momento le comunicazioni Skype, in effetti, non sono state “bucate”. Qualche giorno fa, tuttavia, il sito Ars technica, ha organizzato un esperimento, con l’ausilio del ricercatore Ashikan Soltani. In pratica, ha inviato tramite chat quattro link web, analizzando poi, nelle rispettive pagine, se e chi li avrebbe cliccati. Sorpresa: mentre due sono rimasti intonsi, due, in effetti, hanno ricevuto il fatidico clic. E l’indirizzo IP che lo ha fatto è di, toh, Microsoft. Che è proprietaria di Skype. Questo, a grosse linee, significa che i messaggi non arrivano al destinatario in modo così diretto, ma che Microsoft si riserva comunque la possibilità di decrittare il traffico e di consultarli. Del resto, la politica sulla privacy del servizio VoIP dà all’azienda questa possibilità, al fine di rilevare link pericolosi legati a spam e siti malevoli. Il fatto, poi, che Skype possa riuscirci con nonchalance, dipende da una seconda questione. Verso i primi di Maggio, si è saputo che Microsoft ha pesantemente rimodellato la struttura di Skype. Un tempo, il servizio VoIP si basava su una tecnologia a “supernodi”: semplificando, ogni computer che si collegava al servizio, rappresentava un nodo, che poteva fare da tramite a messaggi e telefonate. Essendoci milioni di utenti, c’erano milioni di nodi, e dunque per ogni sessione Skype si seguiva un percorso sempre diverso, rendendo praticamente impossibile, da parte dei criminali informatici, intercettare una comunicazione. Microsoft, dopo l’acquisizione di Skype, ha invece deciso di modificare questa struttura, passando a una serie di nodi “interni”, cioè dei normali server collocati in datacenter del colosso americano. Per carità, si parla di circa 10mila macchine, ma è una situazione più “controllabile” rispetto alla precedente. La nostra privacy è a rischio? Considerando quanto usiamo Facebook, ignorando i rischi del social network più diabolico del mondo, non è il caso di farne un dramma. Però, se fino a oggi pensavamo che Skype fosse imperscrutabile, ecco, è il momento di cambiare idea.

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Fonte: blog.wired.it

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