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Cannes 2013: due premi al film scandalo “Lo sconosciuto del lago”

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Lo sconosciuto del lago

di Alain Guiraudie  –  Francia (2013)

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di  Marcello Polizzi

Lo sconosciuto del lago di Alain Guiraudie è un film* forte, che immobilizza lo spettatore, lo costringe a calarsi nel luogo dell’azione, a prender parte a quel giro di vite che si ripete con una routine quasi estenuante, spingendolo fino al limite della sopportazione. Ma così come Franck è spinto da un irrefrenabile desiderio, così lo spettatore viene letteralmente catturato dalle immagini che scorrono sullo schermo, impossibilitato a sottrarsi a tale visione.

Ci ritroviamo così sulle rive del lago, unico luogo della pellicola, a guardare uomini che vi si recano per incontri omosessuali. Seguiamo la m.d.p. nel bosco, sorta di limbo atemporale dalle forti connotazioni mitiche, dove si consumano i rapporti, dove si cerca quel desiderio o forse quell’amore che potrebbe dare un senso più profondo alla propria esistenza.

E’ così per Franck (Pierre de Ladonchamps), che in quella meta d’incontri occasionali, scopre inaspettatamente i sentimenti più autentici: l’amore per Michel (Christophe Paou) e l’amicizia per Henri (Patrick d’Assumçao).

A poco alla volta i protagonisti si svelano, si raccontano e l’intreccio delle rispettive personalità diviene il punto di forza della narrazione. Nei dialoghi tra Franck ed Henri assistiamo ad alcuni tra i momenti più interessanti del film attraverso il disvelamento dei loro aspetti più intimi e profondi. Entrambi, nonostante lo facciano per motivazioni differenti, si recano al lago ogni giorno. Henri è in cerca solo di riposo e di tranquillità dopo la dolorosa rottura del suo matrimonio. Ma ad accomunarli è la stessa fragilità, i medesimi dubbi e paure. L’uno e l’altro sono forse alla ricerca di un rifugio, che in parte, sembrano aver momentaneamente trovato nella loro amicizia. Ma se questo può bastare ad Henri, di certo non basta a Franck. Ciò che lo rapisce è la passione e il desiderio verso Michel, il suo vero rifugio. Franck sembra ormai vivere nell’attesa di quei momenti di sesso consumati con Michel nel bosco.

Questo rapporto amoroso è il vero motore del film. Il sesso, appassionato e viscerale, con il suo diretto erotismo, invade lo schermo e diventa la potenza visiva dell’intera pellicola. E’ un’esperienza totalizzante, un baccanale che rende Franck cieco, che cancella ciò che egli ha visto (Franck, nascosto nel bosco, vede Michel annegare il suo precedente compagno) e lo spinge, contro ogni logica, verso una persona non certo rassicurante.

Guiraudie impregna la sua pellicola di una corporalità totale, come poche volte è stata mostrata al cinema. Il regista mostra i corpi nudi (distanti dalla grazia innocente e poetica dei corpi pasoliniani) presi a contorcersi ed avvinghiarsi, in un atto sessuale carnale e primitivo. Gli uomini appaiono come animali immersi nella natura circostante, elemento fondamentale della narrazione. Una natura violenta e impassibile, i cui rumori costituiscono la sola colonna sonora di una pellicola priva di musica. Una natura indifferente, di herzoghiana memoria, che lascia i protagonisti nella loro profonda solitudine.

Sì, perché forse il sesso non basta a sfuggire alla solitudine. Henri è solo perché probabilmente la moglie si era stancata dei ménage à trois assieme ad altri uomini; Michel uccide i suoi amanti quando essi vogliono da lui qualcosa in più dei rapporti sessuali che egli può offrir loro; ma soprattutto Franck sarà spinto da una profonda solitudine verso i pericoli del desiderio.

Dal momento in cui Franck assiste all’omicidio compiuto da Michel, la pellicola si carica di una tensione sottesa che avrà un crescendo col passare dei minuti. Il regista crea un’atmosfera molto vicina al thriller o al noir, sebbene basti la figura grottesca del commissario a sfuggire da tale generalizzazione. Ignorando i consigli di Henri, Franck non allontana Michel, anzi se ne innamora e cerca sempre più attenzioni, convinto di aver trovato finalmente l’amore che probabilmente desiderava.

Ma al desiderio, subentrerà la paura che calerà Franck in un abisso, fin dentro al buio della magnifica dissolvenza finale, in cui, come svegliato d’improvviso da un incubo, comincia a chiamare Michel. Franck chiama colui da cui stava scappando, forse perché, nonostante la paura, la solitudine è ancor più spaventosa da sopportare.

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Trailer del film

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Approfondimento

Note di Regia – di Alain Guiraudie

“Lo sconosciuto del lago” – Incontro con Alain Guiraudie

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(*) Il film è stato premiato alla 66^ edizione del Festival di Cannes per la miglior Regia nella sezione Un Certain Regard

e  con la Queer Palm

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Perché l’omosessualità non si può curare

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La California è il primo stato americano a bandire una controversa terapia psichiatrica che si propone di convertire in etero le persone gay. Chi sono i sostenitori delle teorie correttive? E cosa dice la scienza?

di Daniela Cipolloni

Cercare di curare un minorenne omosessuale diventa un reato. Almeno in California, il primo stato americano a vietare le cosiddette terapie correttive dell’orientamento sessuale che mirano a convertire i gay in etero. Come se si potesse scegliere verso chi provare attrazione fisica. Come se l’omosessualità fosse una malattia o un disturbo dal quale guarire. La legge, firmata dal governatore Jerry Brown, intende tutelare, in particolare, bambini e adolescenti  diversi che vengono indirizzati dai familiari verso questi interventi psicanalitici. Interventi sui quali la scienza ha espresso una posizione molto chiara. Come ha dimostrato la più vasta meta-analisi della letteratura degli ultimi 50 anni ed è stato ribadito nel report dall’ American Psychological Association (Apa), non ci sono evidenze che l’orientamento sessuale possa essere modificato volontariamente né tantomeno che questi trattamenti siano efficaci. Anzi, in alcuni casi possono essere dannosi. Infatti, il frequente fallimento della terapia può generare perdita di autostima, stress, senso di colpa, depressione e maggiore predisposizione a commettere suicidio. Per questi motivi l’Apa (e in accordo con l’Apa la stragrande maggioranza della comunità scientifica di psichiatri e psicoterapeutici) dissuade dal praticare le teorie riparative.

La decisione della California è forse il segnale che qualcosa sta cambiando. E non è l’unico. Nei mesi scorsi, lo psichiatra statunitense Robert Spitzer, che è stato uno dei portabandiera delle cure per l’omosessualità, ha fatto ammenda. “ Credo di dovere delle scuse alla comunità gay per il mio studio, soprattutto perché non è stata dimostrata l’efficacia della terapia. Chiedo scusa anche agli omosessuali che hanno perso tempo ed energie nella terapia”, ha scritto in una lettera che sarà pubblicata su Archives of Sexual Behavior, la stessa rivista che pubblicò nel 2001 un suo studio choc sulle terapie riparative. Ha ammesso di aver sbagliato tutto persino Alan Chambers, il presidente di Exodus International, un’associazione di ex-gay sedicenti guariti.

I tentativi di correggere l’omosessualità risalgono almeno alla fine dell’Ottocento. Nel 1892 il neurologo americano Graeme M. Hammond prescriveva lunghe passeggiate in bicicletta per curare l’omosessualità. In seguito l’approccio più diffuso divenne quello dei rapporti eterosessuali coatti, eventualmente aiutandosi con l’ipnosi o l’alcol. Dalla fine degli anni Sessanta presero piede modelli psico-comportamentali basati sull’avversione. Ovvero, si cerca di dissuadere il soggetto dalla sua devianza associando stimoli negativi a immagini omoerotiche e stimoli positivi a immagini etero.

Ci sono anche altri approcci psicoterapeutici volti a sviluppare il proprio potenziale eterosessuale anche attraverso le preghiere. Qualunque sia la strada, è fallace l’assunto di partenza. Non c’è niente da curare. Dal 1973 l’ omosessualità è stata esclusa dal Dsm, il manuale dei disturbi psichiatrici, dal quale è scomparso anche il disturbo di omosessualità ego-distonica, cioè non accettata e vissuta male dall’individuo. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità l’omosessualità è “ una variante naturale della sessualità umana”.

La diffusione delle terapie correttive, soprattutto negli Stati Uniti, è legata a movimenti politici e religiosi di stampo ultra-conservatore. Forse il più accanito sostenitore delle cure ai gay è Joseph Nicolosi, fondatore della National Association for Research and Therapy of Homosexuality (Narth), che conta circa mille membri nel mondo. Nicolosi è uno che ritiene, contro ogni evidenza scientifica, che l’omosessualità è “ un disturbo mentale che può essere curato”, che è “ un fallimento dell’identificazione di genere” ed è “ contraria alla vera identità dell’individuo”. Nel 2010 è stato invitato a un convegno in Italia, Identità di genere e libertà, organizzato, tra gli altri, da associazioni come Medici Cattolici Brescia e Medicina & Persona. La  levata di scudi del mondo scientifico fu praticamente unanime. Il presidente dell’Ordine degli psicologi insieme a 1.200 firmatari sottoscrissero un comunicato di condanna delle terapie riparative. Che concludeva: “ È nostro dovere affermare con forza che qualunque trattamento mirato a indurre il/la paziente a modificare il proprio orientamento sessuale si pone al di fuori dello spirito etico e scientifico che anima le nostre professioni, e in quanto tale deve essere segnalato agli organi competenti, cioè agli ordini professionali”.

Ma chi propone le teorie riparative in Italia?  Pur non essendo diffuse, sono spesso sostenute da organizzazioni cristiane che offrono consulenze, organizzano conferenze, sedute di psicoterapia e seminari. Come funzionano questi percorsi l’ha raccontato qualche anno fa un giornalista di Liberazione che si è finto gay ed è entrato in terapia per sei mesi. Il suo articolò suscitò un vespaio di polemiche e reazioni.

Cercare di modificare l’orientamento sessuale è assurdo, oltre che controproducente. Ma in una società ancora discriminante nei confronti dei gay può essere difficile accettare l’omosessualità e fare coming out. Altro che cure strampalate. Il più grande aiuto che si possa offrire è combattere l’omofobia.

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Fonte:  Wired.it

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