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Gli interessi italiani (ed europei) in Libia

“Gli italiani, tra tutti i popoli delle nazioni al mondo, hanno più da perdere in questo cambio di regime in Libia”

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Barili di petrolio

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di Mirko Misceo

Dal petrolio agli elicotteri, ecco perché Frattini “ci va cauto” sulla Libia

Nel deserto libico, a più di quaranta gradi all’ombra, i manager dell’Eni sudano freddo. E sudano e pregano anche i loro colleghi del capitale, seduti comodamente sulle poltrone del potere, qui da noi, nell’ormai prossima al tracollo energetico Italia. Mentre la Libia, nel mezzo di una rivoluzione che vede migliaia di morti per le strade, produce ancora petrolio sufficiente per il consumo interno, il suo ex padrone coloniale, l’Italia, non sembra essere altrettanto fortunata quando si parla di rifornimenti energetici.

“Gli italiani, tra tutti i popoli delle nazioni al mondo, hanno più da perdere in questo cambio di regime in Libia” – dichiara Peter Zeihan, vice presidente del dipartimento di analisi presso la “Stratfor”, società di intelligence di rilevanza mondiale – L’Italia riceve circa un terzo del suo petrolio ed il 10-15 per cento del suo gas dalla Libia.”

Il nostro paese, senza gli approvvigionamenti che giungerebbero dai paesi arabi (in testa la Libia), avrebbe riserve di petrolio sufficienti per solo 90 giorni e di gas per 30 giorni, ha dichiarato una fonte del governo italiano all’agenzia di stampa Reuters.

L’Eni, la compagnia petrolifera più grande d’Italia, di cui è parzialmente proprietario lo Stato, si è impegnata ad investire fino a 25 miliardi di dollari in Libia. Il prezzo delle azioni Eni in questi giorni, a causa dell’influenza sui mercati internazionali che hanno avuto le notizie delle rivolte, è sceso del 5,1 per cento, registrando il calo più sensibile dal luglio del 2009.

“Se fossi l’Eni, sarei terrorizzato in questo momento – afferma con sarcasmo Zeihan – gli italiani non hanno una politica energetica; la loro politica di rifornimenti è addirittura più inconsistente di quella degli americani”.

Senza l’appoggio del regime di Gheddafi, insomma, toccherà rivedere i piani strategici per l’approvvigionamento energetico. E chissà se l’alta borghesia italiana, che ha in pugno il destino energetico del nostro paese, cercherà adesso di ripiegare ancora di più verso la Russia: non sembrano esserci rivoluzioni in vista per Putin.

Un legame (in)dissolubile… (leggi tutto)

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Fonte: Controlacrisi.org


Com’è difficile rompere con Gheddafi

La sanguinosa repressione delle proteste da parte del regime libico evidenzia ancora una volta l’imbarazzo dell’Europa nei confronti delle rivolte arabe. Stavolta serve una risposta ferma e coordinata.

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Cartello di un manifestante davanti all'ambasciata della Libia a Istanbul.

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La Tunisia, l’Egitto e ora anche la Libia. Da due mesi l’Unione europea assiste all’ondata di proteste nel mondo arabo, interrogandosi sul proprio ruolo e sulle conseguenze degli ultimi eventi. La repressione violenta del regime di Mu’ammar Gheddafi contro il suo popolo conferisce una dimensione tragica agli interrogativi dell’Europa.

“‘Le rivoluzioni sono la locomotiva della storia’, scriveva un certo Karl Marx 160 anni fa. Una bella immagine. Soprattutto quando osserviamo gli europei che assistono in questi giorni alle turbolenze del mondo arabo seduti in terza classe nell’ultimo vagone”, scrive Der Standard. “Fino a oggi l’Europa non ha trovato niente di meglio che rilasciare dichiarazioni preoccupate. [Ma] in Libia la retorica della costernazione non sarà più sufficiente”.

Energia, commercio, collaborazione nel contrasto all’immigrazione: il quotidiano viennese enumera i diversi ambiti in cui l’Europa è dipendente nei confronti del regime di Gheddafi. Secondo Der Standard l’Europa non riesce a difendere i propri interessi nella zona e non dispone degli strumenti di pressione finanziaria, delle risorse militari e nemmeno di un approccio coordinato al problema.

Il piano Marshall per la sponda meridionale del Mediterraneo invocato dal ministro degli esteri italiano Franco Frattini potrà avere effetto solo nel lungo periodo, così come i miliardi che Catherine Ashton vuole inviare ai paesi colpiti dalla crisi. Lo stesso discorso vale anche per l’Algeria e il Marocco, dove sono in gioco interessi simili. “Se qualcuno passerà a controllare i biglietti gli europei dovranno confessare alla storia che viaggiano da clandestini”, ironizza Der Standard. (leggi tutto)

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Fonte: presseurop

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Meglio tardi che mai! Revisione del trattato di amicizia tra Italia e Libia

Ma la polizia libica a quali ordini risponde?  Quale trattamento è riservato agli uomini e alle donne respinti in Libia?  Che fine fanno questi poveri disperati?  (madu)

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Merce in cambio di vite

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Approvata ieri dalla Camera una mozione per la revisione del trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia, che mette in discussione un accordo scellerato che non tiene conto del diritto internazionale e comunitario e non rispetta i diritti umani dei migranti richiedenti asilo.Per quanto la mozione giunga in ritardo rispetto a tutte le denunce di abusi e maltrattamenti fatti fino ad oggi dalla società civile italiana e dalle autorità internazionali e sia evidentemente spinta dall’esigenza di riequilibrare politiche interne, riconosciamo la fondamentale importanza di questo risultato.
Ci auguriamo che l’esito effettivo sia – come previsto – l’introduzione di procedure di controllo delle operazioni di contrasto dell’immigrazione clandestina e l’adozione di ogni iniziativa utile volta ad acquisire notizie certe sulle condizioni e la destinazione dei richiedenti asilo in Libia, anche – come recita la mozione stessa – “attivandosi con il Governo libico per consentire l’invio di una delegazione parlamentare italiana in visita ai centri di detenzione libici”.

Gli autori e la produzione di “Come un uomo sulla terra” continuano, con questo e con altri film,  a denunciare le situazione di ingiustizia e discriminazione e le violenze subite da migliaia di migranti quotidianamente.

Fonte: Come un uomo sulla terra

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Approfondimento:

Testo completo della Mozione

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