Tag Archives: liberalizzazione

Uruguay: dal 2014 in farmacia un grammo di marijuana “statale” a soltanto venti pesos

.

.

José Mujica

.

Uruguay, lotta al narcotraffico: marijuana di Stato a 68 cent al grammo

.

di Alessandro Andrea Caruso

“I consumatori potranno acquistare fino a 40 grammi al mese, “di erba di primissima qualità” rispetto a quella illegale che è in genere pessima e dannosa. Ci sarà un registro dei produttori per autoconsumo che saranno autorizzati alle coltivazioni mentre il mercato illegale continuerà ad essere sanzionato con pene fino a 10 anni”

L’Uruguay ha deciso da tempo di combattere la criminalità organizzata nel campo delle droghe leggere. Un obiettivo, quello degli antiproibizionisti sud americani, che da semplice sogno rincorso per lungo tempo sta diventando finalmente realtà.

E per combattere lo spaccio illegale, i prezzi saranno a dir poco competitivi: dal 2014, i consumatori potranno acquistare in farmacia un grammo di marijuana “statale” a soltanto venti pesos, ossia circa 68 centesimi di Euro.

Non è un prezzo a caso ma è competitivo con quello spacciato sulla piazza per la marijuana di provenienza per lo più paraguayana”, ha scritto dal suo blog Gennaro Carotenuto, giornalista che da anni si occupa delle dinamiche dei paesi dell’America Latina.

I consumatori potranno acquistare fino a 40 grammi al mese, “di erba di primissima qualità – sostiene il segretario generale della Giunta Nazionale per le Droghe, Julio Calzada – rispetto a quella illegale che è in genere pessima e dannosa”. Inoltre – ha spiegato Carotenuto –ci sarà un registro dei produttori per autoconsumo che saranno autorizzati alle coltivazioni mentre il mercato illegale continuerà ad essere sanzionato con pene fino a 10 anni.”

Nel frattempo il Partito Nazionale (movimento di centro-destra) si è messo di traverso: è stata dunque annunciata una raccolta di firme per indire un referendum abrogativo contro la legge sulla “marijuana di Stato”.

Ma i detrattori dell’antiproibizionismo sono arrivati troppo tardi: la legge sulla legalizzazione dell’erba è stata votata alla Camera ed entro la fine dell’anno passerà anche in Senato.

Dal 2014 dunque, il paese del presidente “Pepe” Mujica (che dona ogni mese il 90% del suo stipendio, 12.000 dollari, a organizzazioni non governative, vivendo con 1.500 dollari al mese) sarà il primo al mondo a legalizzare la produzione, distribuzione e vendita (poiché in Olanda è legale la distribuzione, ma non la coltivazione, antitesi tutt’ora al centro di un acceso dibattito).

Le vendite inizieranno ufficialmente da metà del prossimo anno, come ha spiegato il responsabile delle politiche antidroga Julio Calzada. L’obiettivo di questa legge non è di rimpinguare la casse statali ma piuttosto di contrastare il mercato criminale. Tuttavia solo per i residenti, e non dunque per i turisti, sarà possibile acquistare “l’erba pubblica”.

.

Fonte: ilnumerozero.com

.

.

 

 

 

 

 

 


Accordo USA-UE: integrale liberalizzazione dei rispettivi mercati (TTIP). La catastrofe dietro l’angolo.

.

.

images

.

La TTIP, ovvero come si prepara la guerra globale

di Mimmo Porcaro

La Transatlantic Trade and Investment Partnership (meglio nota col brutto acronimo di TTIP), ossia l’accordo Usa-Ue per l’integrale liberalizzazione dei loro rispettivi mercati, è un importante punto di svolta (o, se si vuole, di accelerazione) nella storia sociale dell’Europa e quindi dell’Italia. E ciò per due ordini di motivi.

Prima di tutto perché l’accordo mira all’eliminazione delle barriere commerciali non tariffarie, ossia di tutte quelle norme di tutela ambientale, sanitaria e sociale che limitando il libero traffico dei prodotti nocivi, delle informazioni riservate e dei servizi equivalgono, secondo l’Economist, a dazi multipli rispetto a quelli attuali e, secondo noi, alla tenuta di un minimo di civiltà nella gestione dell’economia europea. Una volta conclusi i negoziati, la TTIP renderà più “accettabili” gli OGM e le emissioni inquinanti, sfalderà la tutela delle filiere agroalimentari (con grave danno per le produzioni italiane), ingloberà le nostre vite nei computer della CIA, limiterà seriamente il raggio d’azione delle imprese pubbliche, e quindi di ogni politica industriale. E molto probabilmente condurrà alla privatizzazione integrale dei servizi pubblici. In ogni caso la TTIP accentuerà, come tutti i processi di libero scambio, la concentrazione della potenza produttiva e tecnologica nei poli dominanti, la divaricazione fra nazioni dentro l’Unione Europea, e l’uso di questa divaricazione per approfondire le differenze di classe: ossia quello che è da tempo il “core business” dell’ Unione stessa. Tutto ciò renderà scarsamente rilevanti per le classi e per i Paesi deboli gli incrementi del PIL che (anche se non nella misura strombazzata dai gazzettieri pro-market) deriveranno dall’attuazione della TTIP: perché questi incrementi avverranno nel contesto di un peggioramento dei rapporti sociali e geopolitici e delle condizioni della stessa politica “spicciola”. Infatti chi proverà a contrastare questo andazzo verrà rimandato non solo da Roma a Bruxelles, ma anche da Bruxelles a Washington: con tanti saluti all’ Europa “sociale”.

Ma c’è di più: dopo il trattato di partnership transpacifica, che tenta di costruire una zona di libero mercato tra quasi tutti i Paesi dell’area, Cina esclusa, la TTIP è la seconda mossa della strategia di accerchiamento (oggi economico, domani militare) della Cina e dei Brics da parte degli Usa. Essa infatti sancisce la fine della globalizzazione perché registra il fallimento dei trattati multilaterali e punta sui trattati bilaterali, ossia sulla costruzione di poli economici ad egemonia occidentale che mentre liberalizzano gli scambi al proprio interno, ostacolano i flussi provenienti dall’esterno, ossia dai Brics. E perché, unita al rimpatrio di molti capitali ed alle continue svalutazioni competitive, riporta al centro della scena il conflitto tra poli economico-politici, mandando definitivamente in archivio, tra l’altro, la possibilità della “globalizzazione dal basso”. Quando scriveva che “non si fa una guerra senza acronimi” il grande romanziere Don De Lillo non pensava certo alla futura TTIP, ma noi siamo tenuti a capire che quest’ultimo acronimo è il primo passo di una guerra economica che tenderà a trasformarsi in un conflitto militare.

Come reagire a questa prospettiva? A mio parere bisogna schierarsi decisamente contro la costruzione di un polo anti-Brics, puntare ad un Europa che sia almeno “terza forza” tra Usa e Brics, e non agente dei primi, unire le esigenze di sopravvivenza dei Paesi e delle classi deboli d’Europa alle esigenze generali della pace e della gestione razionale dei conflitti. Ma per farlo bisogna capire che un’Europa di pace nasce solo sulle ceneri dell’attuale Unione Europea, che quest’ultima è un vettore decisivo della TTIP e che non si può combattere contro questa accentuazione del neoliberismo se non si disarticola (come da tempo ci chiede Samir Amin) il sistema di potere di Bruxelles e Francoforte, iniziando col rivendicare la sovranità nazionale e costruendo, su questa base, una nuova Europa confederale. Questo è il punto decisivo del momento, e rispetto ad esso la stessa sacrosanta battaglia contro l’Euro appare come una questione tattica, di notevole importanza ma non certo risolutiva.
Come affrontare tutto ciò è questione aperta, che può essere affrontata solo da una libera ed ampia discussione collettiva. Ma il presupposto di tale discussione è il riconoscere che la rottura dell’Unione Europea è il nostro problema storico: se non lo si affronta rischia di essere inutile tutta la discussione intorno al nuovo soggetto politico di sinistra e comunista: nella misera periferia italiana della zona transatlantica di libero scambio (ma forse nell’intera Europa) la politica diventerebbe inutile, e la costruzione di un partito equivarrebbe più o meno alla creazione di un meritorio ma innocuo movimento d’opinione.

P.S. Dimenticavo: i negoziati della TTIP dovrebbero concludersi nel novembre 2014. Per bene che ci vada, il tutto inizierà a marciare a metà del 2015, ossia dopodomani. Che si fa?

.

Fonte: Controlacrisi

.

.