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Il branco di lupi (giornalisti) pagati per sputtanare il Movimento 5 Stelle

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GIORNALISTI E GRILLO

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di Andrea Fabozzi

«La lente di ingrandimento della stampa può essere usata per mettere a fuoco i problemi di tutti, per portare alla luce questioni prima sconosciute». Sono parole di un comico. Pronunciate durante un comizio politico. Davanti a centinaia di migliaia di persone. A Washington, però, e più di due anni fa. In Italia abbiamo Beppe Grillo che i suoi talenti di attore comico li ha compiutamente messi a frutto nel mestiere di politico. E alle domande dei giornali italiani non risponde. La stampa nazionale, dice, è fatta di «lupi» che «sono pagati dai partiti per sputtanare il Movimento 5 Stelle». Qualcuno, anche tra i giornalisti italiani, comincia a dargli ragione.

Distinguiamo. C’è l’irresistibile attrazione del carro del vincitore, storia nota. In Rai è già nata la corrente dei giornalisti grillini. C’è la vecchia legge del «trattami male e ti darò ascolto» che noi giornalisti di solito tentiamo di usare a nostro vantaggio, per «sciogliere» le fonti. Funziona però anche a nostro danno. La strategia dell’isolamento, la tecnica di comunicazione che applicano Casaleggio e Grillo non è nuova né raffinata. A loro riesce particolarmente bene grazie al rigido controllo che esercitano sugli attivisti – e dal numero e dalla frequenza delle «istruzioni» per i militanti diffuse sul blog si capisce quanto tengano a mantenerlo. Raccontarsi come accerchiati aumenta la coesione del gruppo, trovarsi fisicamente accerchiati da giornalisti caduti in trappola è un bel regalo. Naturalmente non tutti i militanti e nemmeno gli eletti del 5 Stelle hanno le stesse reazioni davanti ai cronisti, negli anni però l’ostilità è aumentata. A Milano hanno persino fatto avere alla stampa un glossario perché venisse evitato il termine «leader», perché «fuorviante, Grillo non è il nostro leader». Solo pochi giorni dopo, però, Grillo dal sito informava che lui è l’unico «capo politico del movimento». Chi si avvicina adesso per fare una domanda al grillino medio, in genere viene accolto da un telefonino che inizia a riprendere e da almeno un paio di contro-domande: chi ti paga? come hai fatto ad avere il posto? Il politico tradizionale, invece, anche mai conosciuto, abitualmente risponde con un «carissimo».

Il giornalismo politico cambierà i grillini che hanno conquistato il parlamento, o saranno loro a cambiare qualcosa nel giornalismo politico? Purtroppo quello che principalmente ci sarebbe da cambiare, è cioè la scarsa indipendenza della stampa dai poteri economici e la conseguente incapacità di mettere in difficoltà i potenti di turno, è quello a cui Grillo si dedica meno. Preferisce non distinguere, attaccare genericamente ogni giornale – la funzione stessa dei giornali – coprendo così il grande tema dei conflitti di interesse degli editori. Al contrario, l’esaltazione acritica che Grillo fa della rete – meglio, di una forma piuttosto arcaica e unidirezionale della comunicazione in rete – trascura di riflettere su quanto si stia impoverendo la produzione di notizie. I giornali, nella crisi, si affidano sempre più spesso a collaboratori mal pagati quando non direttamente ai lettori per sostituire il lavoro professionale delle redazioni. Il che aumenta il volume delle informazioni, ma ne diminuisce attendibilità e accuratezza.

Non di meno alcune caratteristiche del giornalismo politico italiano entreranno in rotta di collisione con i rappresentanti del 5 Stelle. Non diminuirà lo spazio che i giornali dedicano alla politica – in Italia è tanto per ragioni storiche e perché qui da noi la politica vende. Ma la tendenza a personalizzare il discorso faticherà con un movimento che si vuole di semplici portavoce: la stampa ha strutturalmente bisogno di riconoscere i leader, o ne nasceranno o saranno creati, magari artificialmente. Così come la naturale tendenza dei giornali per le previsioni piuttosto che per il racconto dei fatti dovrà entrare in relazione con una delegazione parlamentare che avrà poteri limitati e informazioni scarse. In definitiva quello che decideranno Casaleggio e Grillo lo sapranno (sempre) solo loro.

E poi, per quanto sforzo possano fare i «secchioni» del movimento, l’innegabile eccesso di politicismo di un giornalismo troppo dipendente dalle dichiarazioni e poco dai fatti per essere curato avrà bisogno di fatti. Per intendersi, è vero che per 20 anni i giornali hanno raccontato lo stesso scontro tra la politica e la magistratura. Ma è vero anche che di riforme della giustizia se ne sono viste poche.

Infine ci sarebbe da correggere la tendenza a sovra rappresentare alcune realtà politiche – basta ricordare la centralità che ha avuto Casini nel racconto pre elettorale. Ma anche questa tendenza, per quanto Grillo voglia ignorarlo, non è figlia della malafede dei giornalisti «lupi», quanto ancora degli interessi costituiti in imprese editoriali. Perché «la lente di ingrandimento della stampa», ha concluso quell’altro comico, quello americano – il grande Jon Stewart – nel suo comizio di Washington due e più anni fa, «può anche essere usata per dare fuoco alle formiche e magari fare uno speciale di una settimana per discutere sull’improvvisa, inattesa e pericolosa epidemia di formiche in fiamme».

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Fonte: il Manifesto


Le 10 Prime Pagine che hanno fatto il giro del mondo nel 2012

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by pedroelrey

233 Grados, “superblog” specializzato sull’attualità dei media e del mondo editoriale, ha pubblicato prima di Natale le 10 prime pagine che hanno fatto il giro del mondo per la loro rilevanza o anche per le polemiche che hanno generato.

Nella speciale classifica, che in qualche modo riassume anche l’anno informativo, figura la copertina del settimanale satirico francese «Charlie Hebdo» che ridicolizzava il profeta Mahoama e che generò proteste e violenze nel mondo arabo e, sempre per restare in Francia, la prima pagina di «Liberation» che a caratteri cubitale “consigliava” a Bernard Arnault “chasse-toi riche con” [vattene ricco coglione], o ancora la recente prima pagina del «New York Post» che decise di mettere a tutta pagina la foto di un uomo che stava per essere investito dalla metropolitana.

Il podio della classifica, il primo posto spetta però ad «Il Giornale» del 3 agosto di quest’anno che sopra la fotografia delprimo ministro tedesco Angela Merkel recava a caratteri cubitali la scritta “quanto reich” con chiaro riferimento al nazismo e che ovviamente fece infuriare i tedesci e fu ripreso in tutto il mondo non esattamente come esempio di eccellenza giornalistica, per usare un eufemismo.

No comment!

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Fonte:  giornalaio.wordpress.com

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Ancora una volta la guerra è in prima serata e il ruolo del giornalismo è tabù

John Pilger

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di John Pilger

1° dicembre 2011

Il 22 maggio 2007, la prima pagina del Guardian annunciava: “Il piano segreto dell’Iran per l’offensiva di estate per costringere gli Stati Uniti a ad andarsene dall’Iraq.” L’autore dell’articolo, Simon Tisdall, sosteneva che  l’Iran aveva piani segreti per sconfiggere le truppe americane in Iraq e questi comprendevano “creare dei  legami con elementi di al-Qaida”. L’imminente resa dei conti era un complotto iraniano per influenzare un voto al Congresso degli Stati Uniti. Basato interamente su informative di anonimi funzionari statunitensi, la “esclusiva” di Tisdall  è piena di  clamorose  storie di celle omicide” iraniane e di “azioni belliche quotidiane contro le forze statunitensi e britanniche”. Su 1200 parole del suo articolo ce ne erano soltanto 20 riguardanti la secca smentita  dell’Iran.

Era un mucchio di sciocchezze: in effetti era  un comunicato stampa del Pentagono presentato come pezzo giornalistico  che ricordava la famigerata      invenzione che giustificava la sanguinosa invasione dell’Iraq nel 2003. Tra le fonti di Tisdall c’erano “consiglieri importanti” del generale David Petraeus, il comandante militare statunitense che nel 2006 spiegava la sua strategia di intraprendere una “guerra di percezioni…..condotta continuamente per mezzo delle notizie fornite  dai mezzi di informazione”.

La guerra dei mezzi di informazione contro l’Iran è cominciata nel 1979 quando l’incaricato dell’Occidente Mohammad Reza Shah Pahlavi, un tiranno, è stato spodestato da una rivoluzione popolare islamica. La “perdita” dell’Iran, che quando regnava lo Scià era considerato il “quarto pilastro”  del controllo occidentale del Medio Oriente, non è stata mai perdonata a Washington e a Londra.

Il mese scorso, la prima pagina del Guardian recava un’altra “esclusiva”: “Il ministero della difesa  si prepara a prendere parte agli attacchi occidentali  contro l’Iran”. Ancora una volta si citavano funzionari anonimi. Questa volta il tema era la “minaccia” posta da un’arma nucleare iraniana. La più recente “prova” erano documenti riciclati presi da un computer portatile nel 2004 dallo spionaggio statunitense e passato all’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica. Numerose autorità  sollevato dubbi su queste contraffazioni sospette, compreso un ispettore capo di armi dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (International Atomic Energy Agency – IAEA).  Un dispaccio diplomatico statunitense diffuso  da WikiLeaks,  descrive il nuovo capo della IAEA, Yukiya Amano, come “solidamente   alla corte degli Stati Uniti” e “pronto a comparire in  “prima serata”. (leggi tutto)

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Fonte:  ZNET Italy

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