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New York: poteva la polizia neutralizzare e non uccidere Darrius Kennedy?

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New York, polizia e sindaco rivendicano l’esecuzione dell’uomo in Times Square

Uccidere un uomo che brandisce un coltello da cucina a Times Square è un atto giustificato. E’ quanto sostiene la polizia di New York a difesa degli agenti che sabato pomeriggio hanno aperto il fuoco contro un uomo che nel cuore affollato di Manhattan non ha obbedito all’ordine di gettare l’arma che teneva in mano. “La polizia ha agito nel modo opportuno” ha commentato il commissario Raymond Kelly al New York Times, riferendosi ai 12 colpi di arma da fuoco inferti a Darrius Kennedy, 51 anni, già arrestato una decina di volte per possesso di droga, e quindi perfettamente conosciuto dai poliziotti. Anche il sindaco di New York Michael Bloomberg si è espresso a proposito, dichiarando che “gli agenti hanno probabilmente agito in modo responsabile” per fermare un uomo “mentalmente pericoloso”.
Ma i famigliari di Kennedy, intervistati dal Wall Street Journal, sostengono che l’uomo non fosse violento, e che la reazione degli agenti sia stata eccessiva. “Penso che avrebbero potuto sparagli un colpo di avvertimento, forse un colpo nella gamba o nel braccio, o qualcosa di simile” ha detto la cugina Kathy Johnson. “So che devono proteggere la gente, ma allo stesso tempo stanno portando via una vita, bisogna considerare anche questo” ha aggiunto.
Kennedy, fermato dai poliziotti nell’area pedonale di Times Square perchè stava fumando marijuana, ha reagito (secondo la versione della polizia) tirando fuori dalla tasca un coltello da cucina e dandosi alla fuga tra la folla e le auto. “Appena ha estratto l’arma, i poliziotti hanno impugnato le pistole” ha raccontato al New York Times Lincoln Rocha, turista brasiliano che ha assistito alla scena. Paul Browne, portavoce del capo della polizia, ha precisato che, nel tentativo di fermare Kennedy, i poliziotti avrebbero usato sei volte lo spray al peperoncino. Kennedy è stato poi raggiunto dalla polizia tra la 37th Street e la 7th Ave, e ucciso con numerosi colpi di pistola sotto gli occhi dei passanti. Tra i testimoni, per la maggior parte turisti, molti hanno ripreso la scena con telefoni cellulari e macchine fotografiche, diffondendo le immagini della tragedia tra i media americani e su youtube.

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Fonte: Controlacrisi


Il fantasma del Colonnello

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di Stefano Galieni

La legge del taglione colpisce ancora. Ucciso direttamente dal fuoco Nato o dagli insorti del Cnt, la fine del colonnello Mohammar Gheddafi rimbalza come la grande notizia  del giorno, patetici i commenti dei governanti italiani – vecchi amici del rais che plaudono la fine ingloriosa – simili quelli degli altri leader europei. Uccidere i dittatori affinché non raccontino le relazioni ufficiali e poco presentabili mantenute con i governi occidentali, è diventata una mania delle guerre del ventunesimo secolo. Portare la “democrazia” non si accompagna, non si può accompagnare a verità e giustizia, non può prevedere che sul banco degli imputati finiscano anche gli uomini in giacca e cravatta col loro sguardo rassicurante. Legalità internazionale e processi giusti ed equi che non prevedano la pena di morte sono un lusso che non ci si può permettere, meglio la pallottola finale che chiude un epoca e una bocca, che toglie testimoni scomodi di torno. Eppure bisognerebbe raccontarla la storia libica, avere la professionalità anche nel servizio pubblico di spiegare come mai per 42 anni Gheddafi abbia potuto imperare nel proprio paese. Tante le ragioni, il mix di populismo, di socialismo nazionale con cui nel settembre 69 aveva preso il potere ha subito continue evoluzioni e cambiamenti. Gheddafi è sempre stato abile nel costruirsi alleanze giuste, prima con il blocco sovietico, poi con i non allineati, poi dipingendosi come alfiere dal panafricanesimo e infine, almeno da 20 anni convertendosi al mercato.   (leggi tutto)

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Fonte: controlacrisi.org

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