Il fantasma del Colonnello

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di Stefano Galieni

La legge del taglione colpisce ancora. Ucciso direttamente dal fuoco Nato o dagli insorti del Cnt, la fine del colonnello Mohammar Gheddafi rimbalza come la grande notizia  del giorno, patetici i commenti dei governanti italiani – vecchi amici del rais che plaudono la fine ingloriosa – simili quelli degli altri leader europei. Uccidere i dittatori affinché non raccontino le relazioni ufficiali e poco presentabili mantenute con i governi occidentali, è diventata una mania delle guerre del ventunesimo secolo. Portare la “democrazia” non si accompagna, non si può accompagnare a verità e giustizia, non può prevedere che sul banco degli imputati finiscano anche gli uomini in giacca e cravatta col loro sguardo rassicurante. Legalità internazionale e processi giusti ed equi che non prevedano la pena di morte sono un lusso che non ci si può permettere, meglio la pallottola finale che chiude un epoca e una bocca, che toglie testimoni scomodi di torno. Eppure bisognerebbe raccontarla la storia libica, avere la professionalità anche nel servizio pubblico di spiegare come mai per 42 anni Gheddafi abbia potuto imperare nel proprio paese. Tante le ragioni, il mix di populismo, di socialismo nazionale con cui nel settembre 69 aveva preso il potere ha subito continue evoluzioni e cambiamenti. Gheddafi è sempre stato abile nel costruirsi alleanze giuste, prima con il blocco sovietico, poi con i non allineati, poi dipingendosi come alfiere dal panafricanesimo e infine, almeno da 20 anni convertendosi al mercato.   (leggi tutto)

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Fonte: controlacrisi.org

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