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Salviamo Report e il diritto di informare. Firma la Petizione!

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Come si fa per impedire a un giornalista di indagare e permettere ai cittadini di conoscere la verità? Fascismo, stalinismo e logge massoniche avevano i loro metodi coercitivi. Oggi la censura preventiva e l’intimidazione si attuano con espedienti più moderni, e solo apparentemente meno perversi e repressivi. Ad esempio intentando una causa nei confronti di una giornalista e chiedere un risarcimento milionario perché una sua inchiesta ha cercato di fare luce sulle zone d’ombra di una multinazionale.

È ciò che ha fatto l’Eni, sesto gruppo petrolifero mondiale per giro di affari che con una querela di ben 145 pagine accusa Report di Milena Gabanelli di averne leso l’immagine per un’inchiesta del dicembre 2012. Cospicua la richiesta di risarcimento: 25 milioni di euro. Chi si sente diffamato ha tutto il diritto di tutelarsi ma è chiaro che in questo caso l’obiettivo è un altro: un palese tentativo di intimidazione. Il termine tecnico è “querele temerarie,” un’azione di sbarramento compiuta nei confronti di un giornalista per dissuaderlo dal proseguire il suo filone di inchiesta. E ovviamente per disincentivare altri cronisti dall’occuparsi dello stesso tema.

Per impedire l’uso di questo strumento intimidatorio il Parlamento ha avviato un lavoro bipartisan nella passata legislatura. Un iter che ovviamente giace ora impolverato nei cassetti di Montecitorio e Palazzo Madama. Per questo oggi lanciamo una petizione per chiedere che il nuovo Parlamento voglia immediatamente mettere mano ad una revisione della materia che preveda una sostanziosa penalità nei confronti di chi utilizza strumentalmente questo tipo di richieste, condannando il querelante, in caso di sconfitta in sede giudiziaria, al pagamento del medesimo importo: se cioè chiedi 25 milioni di euro alla Gabanelli di risarcimento e poi perdi la causa la risarcisci della stessa cifra. E vince il diritto di informare ed essere informati

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FIRMA LA PETIZIONE

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Fonte: change.org

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Gli interessi italiani (ed europei) in Libia

“Gli italiani, tra tutti i popoli delle nazioni al mondo, hanno più da perdere in questo cambio di regime in Libia”

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Barili di petrolio

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di Mirko Misceo

Dal petrolio agli elicotteri, ecco perché Frattini “ci va cauto” sulla Libia

Nel deserto libico, a più di quaranta gradi all’ombra, i manager dell’Eni sudano freddo. E sudano e pregano anche i loro colleghi del capitale, seduti comodamente sulle poltrone del potere, qui da noi, nell’ormai prossima al tracollo energetico Italia. Mentre la Libia, nel mezzo di una rivoluzione che vede migliaia di morti per le strade, produce ancora petrolio sufficiente per il consumo interno, il suo ex padrone coloniale, l’Italia, non sembra essere altrettanto fortunata quando si parla di rifornimenti energetici.

“Gli italiani, tra tutti i popoli delle nazioni al mondo, hanno più da perdere in questo cambio di regime in Libia” – dichiara Peter Zeihan, vice presidente del dipartimento di analisi presso la “Stratfor”, società di intelligence di rilevanza mondiale – L’Italia riceve circa un terzo del suo petrolio ed il 10-15 per cento del suo gas dalla Libia.”

Il nostro paese, senza gli approvvigionamenti che giungerebbero dai paesi arabi (in testa la Libia), avrebbe riserve di petrolio sufficienti per solo 90 giorni e di gas per 30 giorni, ha dichiarato una fonte del governo italiano all’agenzia di stampa Reuters.

L’Eni, la compagnia petrolifera più grande d’Italia, di cui è parzialmente proprietario lo Stato, si è impegnata ad investire fino a 25 miliardi di dollari in Libia. Il prezzo delle azioni Eni in questi giorni, a causa dell’influenza sui mercati internazionali che hanno avuto le notizie delle rivolte, è sceso del 5,1 per cento, registrando il calo più sensibile dal luglio del 2009.

“Se fossi l’Eni, sarei terrorizzato in questo momento – afferma con sarcasmo Zeihan – gli italiani non hanno una politica energetica; la loro politica di rifornimenti è addirittura più inconsistente di quella degli americani”.

Senza l’appoggio del regime di Gheddafi, insomma, toccherà rivedere i piani strategici per l’approvvigionamento energetico. E chissà se l’alta borghesia italiana, che ha in pugno il destino energetico del nostro paese, cercherà adesso di ripiegare ancora di più verso la Russia: non sembrano esserci rivoluzioni in vista per Putin.

Un legame (in)dissolubile… (leggi tutto)

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Fonte: Controlacrisi.org