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Egidia Beretta Arrigoni, mamma di Vittorio, racconta in un libro la breve vita del figlio.

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NADiRinforma propone la presentazione del libro di Egidia Beretta Arrigoni “Il viaggio di Vittorio” (Dalai editore) organizzata dal Comune di Sasso Marconi (Bologna) il 25 maggio ’13, in collaborazione con l’Ordine dei Giornalisti Emilia-Romagna.

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Accanto ad Egidia hanno partecipato:


Stefano Mazzetti, Sindaco di Sasso Marconi,
Gerardo Bombonato, Presidente OdG Emilia-Romagna
Amedeo Ricucci, giornalista Rai, inviato speciale

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Egidia Beretta, mamma di Vittorio Arrigoni, racconta la breve vita del figlio, spesa nella conquista dei diritti umani “non è un eroe né un martire, solo un ragazzo che credeva dei diritti umani” soprattutto in Palestina, ove tali diritti parrebbero essere solo utopia, come amava chiamarsi lui. Vittorio, barbaramente assassinato nella notte tra il 14 e il 15 aprile 2011 a Gaza, è divenuto il simbolo della ricerca dei valori umani e il suo “Restiamo umani” , con il quale firmava ogni articolo, un grido di speranza teso ad alimentare il significato di quell’utopia di cui lui si sentiva parte.
Si ringrazia per l’accoglienza in particolar modo il personale dell’ufficio stampa del comune di Sasso Marconi nella fattispecie il Responsabile Enzo Chiarullo.

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Fonte: N.A.Di.R

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Scoop del Guardian – USA: raccolta di registrazioni telefoniche di milioni di cittadini

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phone tap

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USA, NSA e le intercettazioni a strascico

Documenti esclusivi provano che l’intelligence tiene sotto controllo tutte le chiamate dei cittadini statunitensi. L’ha stabilito il presidente Obama, ed è una sorpresa che non sorprende. EFF: ve l’avevamo detto

di Alfonso Maruccia

Comunicazioni telefoniche dei cittadini statunitensi spiate dalle agenzie di intelligence alle dipendenze della Casa Bianca: una verità che riemerge grazie a uno scoop del Guardian, il quale pubblica un ordine segreto che obbliga il secondo provider statunitense a fornire informazioni a strascico alla National Security Agency (NSA) sulle chiamate quotidiane degli utenti.

L’ordine è stato dato dalla Foreign Intelligence Surveillance Court (FISC) e stabilisce l’obbligo, per Verizon, di raccogliere e fornire “su base giornaliera” i metadati sulle chiamate effettuate dai cittadini USA: che si tratti di comunicazioni nazionali o internazionali non fa alcuna differenza.

L’ordine è stato firmato a metà aprile con scadenza 19 luglio 2013, viene eseguito nel pieno rispetto delle norme del Patriot Act – che garantisce l’accesso ai registri di dati delle aziende per questioni di intelligence e antiterrorismo – e prova, per la prima volta in maniera inequivocabile e senza possibilità di appello, che la seconda amministrazione Obama non intende rinunciare alle pratiche illiberali messe in atto sull’onda dell’antiterrorismo figlio dell’attentato alle Torri Gemelle.

Verizon ha l’obbligo di fornire “solo” i metadati delle comunicazioni veicolate sul proprio network e non il contenuto delle chiamate vero e proprio o i dettagli privati (nome, indirizzo, dati finanziari) degli utenti, nondimeno NSA ha accesso quotidiano a informazioni sensibili quali numeri di telefono identificativi, tempo della chiamata e dati di localizzazione.

La privacy al telefono? Negli USA è poco meno che uno scherzo: che NSA e l’intelligence fosse invischiata in pratiche di intercettazioni a strascico è un fatto noto da anni, così come è nota la volontà della politica di Washington di mettere al sicuro compagnie di telecomunicazioni collaborative con norme ad hoc che le difendano dalle richieste di verità provenienti dai cittadini o dal potere giudiziario.

Amaro, come prevedibile, anche il giudizio della Electronic Frontier Foundation (EFF): l’associazione di legali e attivisti sottolinea come la rivelazione del Guardian confermi quanto si va dicendo da tempo sulle intercettazioni a strascico negli States, esorta gli americani ad arrabbiarsi e a chiedere a gran voce la fine del programma – illiberale e incostituzionale – di intercettazioni messo in atto dalla NSA.

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Fonte: Punto Informatico

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Lettera da Istanbul: da Gezi Park al mondo

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Turchia

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Si protesta per fermare la demolizione di qualcosa di più grande di un parco: il diritto a vivere in democrazia. La città si stringe solidale contro il governo.

“Ai miei amici che vivono fuori dalla Turchia: scrivo per farvi sapere cosa sta succedendo a Istanbul da cinque giorni. Personalmente sento di dover scrivere perché la maggior parte della stampa è stata messa sotto silenzio dal governo e il passaparola e internet sono i soli mezzi che ci restano per raccontare e chiedere sostegno.

Quattro giorni fa un gruppo di persone non appartenenti a nessuna specifica organizzazione o ideologia si sono ritrovate nel parco Gezi di Istanbul. Tra loro c’erano molti miei amici e miei studenti. Il loro obiettivo era semplice: evitare la demolizione del parco per la costruzione di un altro centro commerciale nel centro della città. Ci sono tantissimi centri commerciali a Istanbul, almeno uno in ogni quartiere. Il taglio degli alberi sarebbe dovuto cominciare giovedì mattina. La gente è andata al parco con le coperte, i libri e i bambini. Hanno messo su delle tende e passato la notte sotto gli alberi. La mattina presto quando i bulldozer hanno iniziato a radere al suolo alberi secolari, la gente si e’ messa di mezzo per fermare l’operazione.

Non hanno fatto altro che restare in piedi di fronte alle macchine. Nessun giornale né emittente televisiva era lì per raccontare la protesta. Un blackout informativo totale. Ma la polizia è attivata con i cannoni d’acqua e lo spray al peperoncino. Hanno spinto la folla fuori dal parco.

Nel pomeriggio il numero di manifestanti si è moltiplicato. Così anche il numero di poliziotti, mentre il governo locale di Istanbul chiudeva tutte le vie d’accesso a piazza Taksim, dove si trova il parco Gezi. La metro è stata chiusa, i treni cancellati, le strade bloccate. Ma sempre più gente ha raggiunto a piedi il centro della città. Sono arrivati da tutta Istanbul. Sono giunti da diversi background, da diverse ideologie, da diverse religioni. Si sono ritrovati per fermare la demolizione di qualcosa di più grande di un parco: il diritto a vivere dignitosamente come cittadini di questo Paese.

Hanno marciato. La polizia li ha respinti con spray al peperoncino e gas lacrimogeni e ha guidato i tank contro la folla che offriva ai poliziotti cibo. Due giovani sono stati colpiti dai tank e sono stati uccisi. Un’altra giovane donna, una mia amica, è stata colpita alla testa da uno dei candelotti lacrimogeni. La polizia li lanciava in mezzo alla folla. Dopo tre ore di operazione chirurgica, è ancora in terapia intensiva in condizioni critiche. Mentre scrivo, non so ancora se ce la farà. Questo post è per lei.

Nessun agenda nascosta
Queste persone sono miei amici. Sono i miei studenti, i miei familiari. Non hanno “un’agenda nascosta”, come dice lo Stato. La loro agenda è là fuori, è chiara. L’intero Paese viene venduto alle corporazioni dal governo, per la costruzione di centri commerciali, condominii di lusso, autostrade, dighe e impianti nucleari. Il governo cerca (e quando è necessario, crea) ogni scusa per attaccare la Siria contro la volontà del suo popolo.

E, ancora più importante, il controllo del governo sulle vite personali della sua gente è diventato insopportabile. Lo Stato, dietro la sua agenda conservatrice, ha approvato molte leggi e regolamenti sull’aborto, il parto cesareo, la vendita e l’utilizzo di alcol e anche il colore del rossetto delle hostess delle compagnie aeree.

La gente che sta marciando verso il centro di Istanbul chiede il diritto a vivere liberamente e a ottenere giustizia, protezione e rispetto dallo Stato. Chiede di essere coinvolta nel processo decisionale della città in cui vive. Quello che invece ha ricevuto è violenza e un enorme numero di gas lacrimogeni lanciati dritti in faccia. Tre persone hanno perso la vista.

Eppure continuano a marciare. Centinaia di migliaia si stanno unendo. Duemila persone sono passate sul ponte del Bosforo a piedi per sostenere la gente di Taksim. Nessun giornale né tv era lì a raccontare cosa accadeva. Erano occupati con le notizie su Miss Turchia e “il gatto più strano del mondo”. La polizia ha continuato con la repressione, spruzzando spray al peperoncino tanto da uccidere cani e gatti randagi.

Scuole, ospedali e anche hotel a cinque stelle intorno a piazza Taksim hanno aperto le porte ai feriti. I dottori hanno riempito le classi e le camere di albergo per dare primo soccorso. Alcuni poliziotti si sono rifiutati di spruzzare lo spray e lanciare lacrimogeni contro persone innocenti e hanno smesso di lavorare. Intorno alla piazza hanno posto dei disturbatori per impedire la connessione internet e i network 3G sono stati bloccati. I residenti e i negozi della zona hanno dato alla gente in strada accesso alle loro reti wireless, i ristoranti hanno offerto cibo e bevande gratis.

La gente di Ankara e Izmir si è ritrovata nelle strade per sostenere la resistenza di Istanbul. I media mainstream continuano a raccontare di Miss Turchia e del “gatto più strano del mondo”.

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Scrivo questa lettera così che possiate sapere cosa succede a Istanbul. I mass media non ve lo diranno. Almeno non nel mio Paese. Per favore postate più articoli possibile su internet e fatelo sapere al mondo.

Mentre pubblicavo articoli che spiegavano quanto sta avvenendo ad Istanbul sulla mia pagina Facebook la scorsa notte, qualcuno mi ha chiesto: “Cosa speri di ottenere lamentandoti del tuo Paese con gli stranieri?”. Questa lettera è la mia risposta.

Con il cosiddetto “lamentarmi” del mio Paese, io spero di ottenere:

Libertà di parola e espressione,

Rispetto per i diritti umani,

Controllo sulle decisione che riguardano il mio corpo,

Diritto a radunarsi legalmente in qualsiasi parte della città senza essere considerato un terrorista.

Ma soprattutto dicendolo al mondo, ai miei amici che vivono nel resto del globo, spero di aprire i loro occhi, di aver sostegno e aiuto.”

da Istanbul
Sumandef Hakkinda

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Fonte:  Informare ControInformando News  (Facebook)

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