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Cosa ingeriamo mangiando il pesce?

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Di che cosa è ricco il pesce? Di microplastica.

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Ultimamente si sente parlare sempre di più della microplastica, un inquinante che si trova in elevate quantità nel pesce, in aggiunta agli altri inquinanti già noti come metalli pesanti, PCB, diossina e in generale gli inquinanti organici persistenti (POP), così chiamati perché permangono nell’ambiente, e negli organismi viventi, per decenni.


La microplastica è un ulteriore pericolo per la salute umana derivante dal consumo di pesce, alimento che purtroppo continua a essere considerato – a torto – nell’immaginario collettivo come salubre e vantaggioso.


Con “microplastica” si intendono le minuscole particelle di plastica che galleggiano nei mari, derivanti da due fonti: gli oggetti in plastica, come bottiglie, sacchetti, ecc., che si decompongono lentamente e rilasciano tali particelle; e le cosiddette “microsfere”, utilizzate nei prodotti per l’igiene personale, che finiscono negli scarichi e poi nei mari (essendo molto piccole, passano attraverso i sistemi di filtraggio).


La microplastica, proprio perché è formata da particelle minuscole, è in grado di penetrare nell’organismo umano, ed è pericolosa per due motivi:

  1. perché essa stessa contiene sostanze chimiche pericolose utilizzate nella sua produzione (come ad esempio il BPA – bisfenolo A);

  2. perché raccoglie e accumula i diversi composti tossici che si trovano nelle acque (PCB, metalli pesanti, ecc.).

Gli effetti sono davvero pericolosi: alterazioni del DNA e della funzionalità degli ormoni, che portano a tumori, infertilità, obesità.

Il modo in cui la microplastica entra nell’organismo umano è attraverso il consumo di pesce, visto che i pesci ingeriscono le microparticelle e le accumulano nei loro tessuti. Più si sale nella catena alimentare e maggiore è la concentrazione di microplastica, per il noto fenomeno detto del “bioaccumulo”.

Il dottor Michael Greger, in alcune sue conferenze, cita svariati studi (vedi bibliografia a fine articolo), i quali hanno dimostrato che:

  • è certo che i pesci ingeriscano la microplastica, che si accumula nei loro organi interni e tessuti;

  • con l’ingestione di pesce così contaminato, le microparticelle più piccole possono essere assorbite dall’intestino umano ed entrare nella circolazione sanguigna.

Il dott. Greger tiene giustamente a far notare che questo non è stato dimostrato attraverso test sui roditori, anche se purtroppo questi sono stati effettuati e hanno mostrato che anche nei roditori avviene l’assorbimento della microplastica con l’ingestione di pesce.

Ma, ben sapendo che dai risultati di test su animali non si può ricavare nulla di certo per l’essere umano, il dott. Greger cita invece degli esperimenti fatti sugli scarti di placenta umana (dopo la nascita del bambino, naturalmente). Tali esperimenti hanno dimostrato che le microparticelle sono in grado di attraversare la placenta dal flusso sanguigno materno. E di conseguenza possono entrare nel sistema circolatorio del bambino.

Quanta microplastica viene ingerita e da quali pesci?

E’ stato calcolato che, in media, i consumatori europei di molluschi ingeriscono 11 mila particelle di microplastica l’anno. Nei molluschi la concentrazione è più alta perché se ne consuma l’intero corpo, mentre nei pesci le interiora vengono eliminate.

Tuttavia, studi scientifici hanno dimostrato che la microplastica non si trova solo negli organi interni, ma anche, in quantità ancora maggiori, nei tessuti dei pesci abitualmente consumati.

È stato misurato il livello di BPA (un composto usato nella produzione della plastica, già noto come nocivo) in pesci come tonno, sardine, granchi, platessa e baccalà, sia in scatola che freschi, e si è concluso che il pesce è l’alimento che presenta il maggior livello di contaminazione da BPA.

L’assunzione media di microplastica da pesci come merluzzo, platessa, cernia, scampi, barracuda, è di centinaia di particelle per una porzione da 300 grammi.

Non è stata fissata una “dose massima tollerabile” per l’ingestione di microplastica, perché non è ancora nota la tossicità esatta dei vari tipi di plastica per l’organismo umano, ma, come conclude uno degli studi citati dal dr. Greger, “consumare pesce in modo regolare ogni settimana può minacciare la salute dei consumatori, specialmente i gruppi più vulnerabili come i bambini, le donne in gravidanza e in allattamento”.

Difendersi è semplice: basta evitare di consumare pesce. I rischi del consumo di pesce sono molti, i vantaggi sono praticamente inesistenti, perché qualsiasi nutriente utile che si possa trovare nel pesce si trova anche nei vegetali, a rischio zero. Con un impatto ambientale molto minore, e a costo decisamente più contenuti.

I famosi omega-3 (che comunque nel pesce sono contenuti in quantità decisamente minore di quel che si pensa), si ricavano dalle noci, dai semi di lino tritati (o dall’olio di lino da banco frigo) e dai semi di chia tritati. Costano meno, si trovano in ogni supermercato, ne bastano pochi e non hanno alcuno svantaggio.

Per maggiori informazioni sugli omega-3, fare riferimento al sito del PiattoVeg.

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Fonti

Microplastic Contamination & Seafood Safety,

NutritionFacts.org
How Much Microplastic Is Found in Fish Fillets?,

NutritionFacts.org

Bibliografia di riferimento

  • Miranda DA, De Carvalho-Souza GF. Are we eating plastic-ingesting fish?. Mar Pollut Bull. 2016;103(1-2):109-114.

  • Sharma S, Chatterjee S. Microplastic pollution, a threat to marine ecosystem and human health: a short review. Environ Sci Pollut Res Int. 2017;24(27):21530-21547.

  • Rochman CM, Kross SM, Armstrong JB, et al. Correction to Scientific Evidence Supports a Ban on Microbeads. Environ Sci Technol. 2015;49(24):14740.

  • Cheung PK, Fok L. Evidence of microbeads from personal care product contaminating the sea. Mar Pollut Bull. 2016;109(1):582-585.

  • Carr KE, Smyth SH, McCullough MT, Morris JF, Moyes SM. Morphological aspects of interactions between microparticles and mammalian cells: intestinal uptake and onward movement. Prog Histochem Cytochem. 2012;46(4):185-252.

  • Wick P, Malek A, Manser P, et al. Barrier capacity of human placenta for nanosized materials. Environ Health Perspect. 2010;118(3):432-436.

  • Hussain N, Jaitley V, Florence AT. Recent advances in the understanding of uptake of microparticulates across the gastrointestinal lymphatics. Adv Drug Deliv Rev. 2001;50(1-2):107-142.

  • Repossi A, Farabegoli F, Gazzotti T, Zironi E, Pagliuca G. Bisphenol A in Edible Part of Seafood. Ital J Food Saf. 2016;5(2):5666.

  • Engler RE. The complex interaction between marine debris and toxic chemicals in the ocean. Environ Sci Technol. 2012;46(22):12302-12315.

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  • Vandermeersch G, Van Cauwenberghe L, Janssen CR, et al. A critical view on microplastic quantification in aquatic organisms. Environ Res. 2015;143(Pt B):46-55.

  • Erren TC, Gross JV, Steffany F, Meyer-Rochow VB. “Plastic ocean”: What about cancer?. Environ Pollut. 2015;207:436-437.

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  • Van cauwenberghe L, Janssen CR. Microplastics in bivalves cultured for human consumption. Environ Pollut. 2014;193:65-70.

  • Akhbarizadeh R, Moore F, Keshavarzi B. Investigating a probable relationship between microplastics and potentially toxic elements in fish muscles from northeast of Persian Gulf. Environ Pollut. 2018;232:154-163.

  • Karami A, Golieskardi A, Choo CK, Larat V, Karbalaei S, Salamatinia B. Microplastic and mesoplastic contamination in canned sardines and sprats. Sci Total Environ. 2018;612:1380-1386.

  • Rochman CM, Tahir A, Williams SL, et al. Anthropogenic debris in seafood: Plastic debris and fibers from textiles in fish and bivalves sold for human consumption. Sci Rep. 2015;5:14340.

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  • Karami A, Golieskardi A, Ho YB, Larat V, Salamatinia B. Microplastics in eviscerated flesh and excised organs of dried fish. Scientific Reports. 2017;7(1). doi:10.1038/s41598-017-05828-6

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Fonte: Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana (SSNV)

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Il Web lancia il boicottaggio di Barilla!

       Boicotta

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La protesta contro la Barilla parte dalla rete  (*)

di Chiara Amendola

Parte dalla rete la protesta contro l’Impresa di prodotti alimentari più famosa d’Italia: la Barilla.

L’azienda, non più italiana ma americana, usa grano con tassi di micotossine altissimo, e quindi ammuffito, derivante da lunghi stoccaggi, al prezzo più basso possibile.

Ma perché accade ciò?

La storia risale al 2006 quando l’Unione Europea decise di alzare i livelli di micotossine presenti nel grano duro in modo che anche gli altri paesi, con climi più sfavorevoli, potessero produrlo. Una decisione basata su fini puramente commerciali. Oltre ad impoverire la qualità dei prodotti, infatti, la manovra rappresentò un duro colpo per i contadini del Sud Italia. Quest’ultimi, il cui grano non conteneva micotossine poiché lavorato naturalmente, furono meccanicamente esclusi dal mercato europeo.

Il discorso però era, ed è, diverso per i paesi d’oltreoceano. Per l’esportazione del prodotto in Usa e in Canada i parametri cambiano. In questo caso il grano deve avere un tasso di micotossine pari alla metà di quello accettato dalla UE per le importazioni.

In questo modo è successo che:

I prezzi internazionali del grano duro di riflesso sono crollati, circostanza favorevole per i commercianti italiani ed i monopolisti internazionali che hanno potuto acquistare il grano al prezzo più basso possibile dai contadini meridionali, messi alle strette dalle direttive europee. Questi stessi imprenditori hanno esportato poi il grano italiano migliore all’estero, lucrando sul prezzo, per poi portare da noi prodotti realizzati con il grano ammuffito, accumulatosi nei depositi, e radioattivo.

Alla luce di ciò il web, attraverso i social network, sta diffondendo il messaggio per boicottare la Barilla, principale azienda responsabile di questo disastro alimentare, incentivando gli utenti ad acquistare solo prodotti graminacei coltivati nello stivale e di agricoltura biologica.

Operazione non semplice visto che la Barilla è presente nel mondo con i marchi con il più alto valore commerciale: Motta, Essere, Gran Pavesi, le Tre Marie, le Spighe, Mulino Bianco, Pavesini, Voiello, Panem.

La protesta sta raccogliendo consensi e già esistono liste di discussione dove è possibile trovare un’ alternativa di prodotti, completamente realizzati in Italia e non OGM, da poter sostituire al colosso americano.

Fonte:  Controlacrisi.org

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Viste le tante e giuste richieste nei commenti sono riuscito a trovare la fonte reale dell’articolo:

(*)   Il post è stato lanciato su Facebook il 18 febbraio 2012 nelle note di : “Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo“. In seguito, il 20 aprile 2012,  viene postato un altro articolo collegato a Barilla e all’agricoltura biologica.

(**) Errata corrige: La Barilla è stata americana dal 1970 al 1979.  Il marchio ”Le Tre Marie” è stato venduto a Sammontana.    FONTE: Wikipedia

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