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Un blogger israeliano ricercato. Denuncia 126 morti sospette di soldati dell’esercito nazionale

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Israele, un blogger contro l’esercito

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di Cristina Sciannamblo

Con un’operazione di citizen journalism vuole fare chiarezza sulle morti di 126 soldati. La magistratura indaga sul suo operato. E lui propone: mi consegno se i militari diranno la verità

Un’inchiesta giornalistica che, col passare delle ore, sembra trasformarsi in un caso nazionale. Un blogger anonimo israeliano, dopo essere finito al centro delle indagini condotte dalla polizia e dall’esercito nazionale, ha avanzato una proposta di scambio alle controparti: la disponibilità a subire le conseguenze giudiziarie del proprio operato “professionale” in cambio dell’accertamento, da parte dei responsabili, delle informazioni trasmesse.

Eishton, questo il nome fittizio dell’attivista, è indagato dalla difesa israeliana per aver sostanzialmente smentito le informazioni trasmesse dalle forze di difesa circa le morti dei soldati registrate tra il 2011 e il 2012. 126 i decessi secondo i canali ufficiali, che, secondo il blogger, non sarebbero da attribuire ad attacchi terroristici o a operazioni militari, bensì a suicidi, malattie o decessi passati sommati retroattivamente ai bilanci ufficiali.

Secondo i dati emersi dall’inchiesta, la causa principale delle morti registrate nel corpo militare israeliano sarebbe da attribuire al suicidio, constatazione raggiunta attraverso la consultazione di documenti pubblici e altro materiale ufficiale fuoriuscito dagli scaffali interni dell’esercito. Un lavoro di inchiesta considerato serio e professionale da giornalisti accreditati.

Per questo motivo Eishton ha deciso di intavolare, attraverso la propria pagina Facebook, una vera e propria trattativa con le autorità di polizia: la persona che si nasconde dietro lo pseudonimo si consegnerà alla giustizia israeliana a patto che quest’ultima compia un’operazione di trasparenza sulle 126 morti dei soldati.

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Fonte: Punto Informatico

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USA – Deputati repubblicani: chiudete l’account Twitter del gruppo palestinese di Hamas

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USA: soffocate i cinguettii di Hamas

Un gruppo di deputati repubblicani chiede di chiudere l’account Twitter del gruppo palestinese, considerato una minaccia terroristica per gli Stati Uniti. L’FBI si riserva di valutare il caso

di Cristina Sciannamblo

Una richiesta netta che non ammette mediazioni: sette deputati repubblicani statunitensi hanno chiesto ai vertici di Twitter e alle autorità federali di chiudere l’account dell’organizzazione politica palestinese Hamas, considerata alla stregua di un gruppo terrorista.

La richiesta giunge dopo la recrudescenza delle ostilità tra Israele e il movimento palestinese, che ha eletto proprio la piattaforma cinguettante a teatro mediatico della contesa bellica. Il gruppo di politici d’Oltreoceano è guidato dal membro del Congresso Ted Poe, il quale avrebbe inviato una lettera formale all’FBI per esprimere i propri timori circa un potenziale attentato che Hamas potrebbe compiere nei confronti di obiettivi a stelle e strisce. “Autorizzare organizzazioni terroristiche come Hamas a operare su Twitter significa supportare il nemico”, ha spiegato Poe.

Il deputato texano ha quindi aggiunto che la piattaforma di microblogging fungerebbe da supporto all’azione terroristica in quanto fornirebbe ai terroristi “l’abilità di diffondere liberamente la propria propaganda violenta e di mobilitare nuove forze nella guerra contro Israele”.

Al momento, l’FBI non ha trasmesso alcuna replica anche se le autorità hanno spiegato di dover valutare l’entità del pericolo e dunque procedere alla risposta. Non rimane che attendere se la polizia federale deciderà di optare per la repressione dei canali di comunicazione.

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Fonte: Punto Informatico

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La Rete è in pericolo!

 

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Brin: la Rete è in pericolo, Google ultimo baluardo

di Mauro Vecchio

La grande minaccia al Web libero secondo il co-founder di BigG. La cybercensura dei governi, le lobby anti-pirateria, i giardini recintati di Apple e Facebook

Una minaccia incombente sulla libertà del vasto ecosistema connesso, annunciata dal co-founder di Google Sergey Brin in una lunga intervista al quotidiano britannico The Guardian. In pericolo sarebbero i principi fondamentali di apertura e libero accesso alla Rete, in un ambiente digitale che sembra ormai distante dagli albori della grande rivoluzione tecnologica.

“In tutto il mondo, esistono forze molto potenti che si sono allineate su più fronti contro la Rete libera – ha esordito Brin – Sono più preoccupato ora che in passato. È spaventoso”. Chi porterebbe al web questa minaccia così terribile? Innanzitutto i vari governi del pianeta, quelli che combattono la libera circolazione di opinioni nell’era della condivisione online.

Dalla grande muraglia digitale in Cina al blocco dei social network in Iran. La natura aperta e democratica della Rete messa in pericolo dal regime della cybercensura, sui ripetuti tentativi di tecno-controllo da parte delle autorità più repressive. I vari nemici di Internet sono annualmente denunciati dall’organizzazione internazionale Reporters Sans Frontieres (RSF).

Ma la minaccia paventata da Brin non passa soltanto per la censura a livello governativo. Le lobby legate all’industria dell’intrattenimento hanno scatenato un’agguerrita battaglia contro la condivisione pirata, attraverso disegni di legge – SOPA, CISPA, ma anche trattati come ACTA – pericolosi per la libertà d’espressione sul web.

Infine, la terza forza indicata dal co-founder di BigG. Colossi come Apple e Facebook starebbero stringendo la morsa per una visione “balcanizzata” della Rete. Attraverso rigide piattaforme proprietarie che sarebbero ormai riuscite a chiudere milioni di utenti nei cosiddetti walled garden, giardini recintati per il controllo totale delle attività condivise.

Tornano così i vecchi dissapori tra Google e il sito di Mark Zuckerberg, in particolare la battaglia sull’esportazione dei contatti Gmail verso il social network da quasi 900 milioni di amici. L’azienda di Mountain View aveva di fatto bloccato Facebook, dopo un tentativo silente di sfruttare l’immenso patrimonio di dati sul sito in blu.

Il ragionamento offerto da Brin sembra chiaro. L’ecosistema digitale voluto da Facebook non permetterebbe oggi la nascita di un protagonista come Google. “Con tutte queste regole, l’innovazione rischia di essere limitata”, ha sottolineato Brin. Curioso però il motivo citato dal co-founder di BigG.

“C’è tanto da perdere con i sistemi recintati. Ad esempio, tutte le informazioni contenute nelle applicazioni. Questi dati non sono rintracciabili dai crawler del web. E quindi l’utente non li può cercare”. È dunque questa la minaccia portata dai colossi 2.0 come la piattaforma di Zuckerberg? In altre parole, per Brin tutto quello che non è indicizzabile da Google sarebbe un problema, in una inedita sovrapposizione tra Google stessa e una Internet libera.

“Facebook ha succhiato per anni i contatti Gmail”, ha ribadito Brin. È tutta una questione di libero accesso alle informazioni da parte di società private che offrono servizi ormai fondamentali ai netizen? C’è chi ha infatti ricordato a BigG le sempre attuali problematiche relative al rastrellamento selvaggio di dati personali e attività di navigazione web.

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Fonte: Punto Informatico
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