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Bangladesh – H&M: impegno non mantenuto sulla sicurezza dei lavoratori

A Bangladeshi woman weeps as she waits at the site of a building that collapsed Wednesday in Savar, near Dhaka, Bangladesh, Friday, April 26, 2013. The death toll reached hundreds of people as rescuers continued to search for injured and missing, after a huge section of an eight-story building that housed several garment factories splintered into a pile of concrete.(AP Photo/Kevin Frayer)

A Bangladeshi woman weeps as she waits at the site of a building that collapsed Wednesday in Savar, near Dhaka, Bangladesh, Friday, April 26, 2013.(AP Photo/Kevin Frayer)

 

Sicurezza edifici in Bangladesh: H&M non rispetta i patti

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La Clean Clothes Campaign (CCC), l’International Labor Rights Forum (ILRF), il Maquila Solidarity Network (MSN) e il Worker Rights Consortium (WRC) lanciano il report Evaluation of H&M Compliance with Safety Action Plans for Strategic Suppliers in Bangladesh. Il documento analizza le informazioni pubbliche disponibili riguardo ai progressi fatti da H&M nell’affrontare i rischi per la sicurezza dei lavoratori nei suoi stabilimenti in Bangladesh.
I dati, provenienti dalle relazioni delle ispezioni nelle fabbriche e dai Piani di Azione Correttiva (CAPs) resi pubblici dall’Accordo per la prevenzione degli incendi e la sicurezza in Bangladesh (siglato in seguito al crollo del Rana Plaza nel 2013, il peggior disastro della storia dell’industria tessile che ha causato la morte di 1138 persone), mostrano chiaramente come H&M non abbia rispettato gli impegni per garantire la sicurezza dei lavoratori.

Concentrandosi sulle fabbriche che H&M ha indicato come le migliori della sua catena di fornitura in tema di lavoro e ambiente, il rapporto mostra come tutte queste fabbriche non siano state in grado di rispettare le scadenze previste per le riparazioni e come la maggior parte delle ristrutturazioni non siano ancora state ultimate nonostante i termini scaduti. Le ristrutturazioni includono l’installazione di porte tagliafuoco, la rimozione dei blocchi e delle porte scorrevoli dalle uscite di sicurezza e delle recinzioni sulle scale, permettendo ai lavoratori di uscire dalla fabbrica in sicurezza in caso di emergenza.

Nel 2010, 21 lavoratori sono morti nell’incendio della fabbrica Garib&Garib, fornitore di H&M, per mancanza di elementi base a garantire la sicurezza, tra cui le uscite antincendio.

“Per la prima volta, grazie all’Accordo, H&M è a conoscenza di tutte le ristrutturazioni necessarie a rendere finalmente sicure le sue fabbriche in modo che i lavoratori non corrano rischi e non temano un nuovo Rana Plaza” ha dichiarato Bob Jeffcott del Maquila Solidarity Network (MSN). “Nonostante ciò, continuano a tirarla per le lunghe e a ritardare i lavori”

“Da parte di H&M vorremmo vedere un investimento serio nel processo di risanamento dei suoi fornitori in Bangladesh, almeno pari a quello effettuato in pubblicità e dichiarazioni altisonanti sulla sostenibilità. Dato il suo peso nel settore tessile in quel paese e data l’opportunità offerta dallo storico Accordo siglato dopo la tragedia del Rana Plaza, H&M può giocare un ruolo chiave per mettere in sicurezza l’intero settore in Bangladesh ”, dichiara Deborah Lucchetti della Campagna Abiti Puliti.

“Sull’onda emotiva che ha circondato il disastro del Rana Plaza, H&M, il più grande produttore di abbigliamento in Bangladesh, ha garantito di sistemare le condizioni in cui si trovano le fabbriche in quel Paese” ha concluso Scott Nova del Worker Rights Consortium (WRC). “Ora è chiaro che H&M ha infranto quella promessa”.

Fonte: abitipuliti.org

 

 


Buon compleanno Alessandro Benetton! Fai un regalo alle vittime del Rana Plaza

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UnitedVictimsOfBenetton

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(2014) Rana Plaza: per i marchi della moda è ora di pagare! Al via la campagna Pay up!

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Oggi mancano esattamente due mesi al primo anniversario del crollo del Rana Plaza, il peggior disastro industriale che ha colpito l’industria tessile, con 1.138 morti e più di 2.000 feriti

Per ricordare quel giorno, la Clean Clothes Campaign e i suoi partners in Bangladesh e in tutto il mondo lanciano la campagna PAY UP! per chiedere a tutti i marchi collegati al Rana Plaza o che si riforniscono in Bangladesh di pagare immediatamente i risarcimenti alle vittime attraverso dei versamenti nel Rana Plaza Arrangement’s Donor Trust Fund

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Che cos’è il Rana Plaza Arrangement?

Il Rana Plaza Arrangement è un meccanismo innovativo per garantire ai sopravvissuti e ai familiari delle vittime del Rana Plaza il supporto per la perdita del reddito e per le spese mediche di cui hanno disperatamente bisogno.

L’impegno congiunto del Ministero del Lavoro del Governo bengalese, dell’industria tessile locale e internazionale, dei sindacati locali e internazionali e delle organizzazioni non governative, con l’International Labour Organization (ILO) come attore indipendente e neutrale, ha portato all’istituzione di un Donor Trust Fund e ad una gestione centralizzata delle richieste di risarcimento.

Tali richieste saranno inserite in un processo implementato da organizzazioni locali e esperti internazionali che supporterà le vittime e i loro familiari nell’elaborare le richieste, valutare il livello dei pagamenti da effettuare a ciascun beneficiario, intraprendere valutazioni mediche e fornire ulteriore sostegno dove necessario.

Il Donor Trust Fund volontario previsto dall’Arrangement sta raccogliendo le donazioni e inizierà ad erogare i primi pagamenti, non appena sarà stato versato denaro sufficiente.

Servono 40 milioni di dollari entro il primo anniversario del terribile crollo del Rana Plaza, il 24 Aprile.

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Cosa chiediamo?

I sopravvissuti e i familiari delle vittime hanno sofferto abbastanza e non dovrebbero rivivere quell’orribile giorno senza essere certi che le loro perdite finanziarie possano almeno essere coperte.

Hanno sofferto ferite terrificanti, perso mariti e mogli, figli e genitori, fratelli e sorelle; ne porteranno i segni fisici e psichici per tutta la vita. Questo non potrà mai essere risarcito. Ma almeno le perdite finanziarie e le spese mediche si.

E ciò deve prima di quell’anniversario.

Chiediamo ai marchi di versare significativi contributi nel Donor Trust Fund, proporzionati ai loro rapporti commerciali col Rana Plaza, con il Bangladesh e alle loro capacità economiche.

Porteremo la campagna di pressione pubblica in piazza, nei centri commerciali, nelle strade di Dhaka e in tutta Europa nei prossimi due mesi per garantire ai sopravvissuti e ai familiari delle vittime che non debbano aspettare ancora per avere i loro risarcimenti.

Aspettano da troppo tempo

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logo_payup_facebook

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Cosa puoi fare tu?

Il nostro primo passo sarà di chiedere a Benetton di contribuire al fondo.

Se sei sui social networks:

          posta il logo Pay up! (link) sul tuo profilo facebook citando Benetton e chiedendogli di effettuare un versamento: “@Benetton PAY UP! Paga i risarcimenti alle vittime del Rana Plaza!”

          Twitta: @Benetton sei pregato di pagare per le vittime del Rana Plaza. Aspettano da troppo tempo #payup

Hai un negozio Benetton vicino?

– Se sei vicino a un negozio Benetton, scarica la lettera QUI allegata e portala al responsabile del punto vendita, fai sentire la tua voce!

Manderemo aggiornamenti costanti sulla situazione.

Grazie per il tuo supporto prezioso e costante!

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Fonte: Campagna Abiti Puliti

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La fabbrica del Bangladesh e il terrorismo delle multinazionali

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Bangladesh Factory Fire

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di Paula Chakravartty e Stephanie Luce – 3 maggio 2013

Com’è che attribuiamo a certi atti di violenza la qualifica di terrorismo globale mentre altri sono relegati alla categoria più banale della violenza ordinaria? I fratelli Tsarnaev sono immediatamente classificati terroristi, e terroristi mussulmani, quanto a questo, con una frenesia nazionale e dei media sociali a sezionare i loro crimini promossa dallo spettacolo dal vivo della “caccia all’uomo” di Boston.

Tuttavia nella stessa settimana un’esplosione in una fattoria di fertilizzanti ha ucciso quattordici persone e causato danni enormi in una cittadina del Texas occidentale, con scarsa attenzione mediatica. Le Bombe di Boston sono state atti deliberati di terrorismo commessi da delinquenti che hanno preso di mira innocenti; l’esplosione del Texas, pur tragica, è stata considerata accidentale – anziché una conseguenza della regolamentazione dell’industria e degli standard di sicurezza – e perciò agevolmente dimenticata.

L’orrendo incendio di una fabbrica, avvenuto il 24 aprile fuori Dhaka, in Bangladesh, che ha ucciso più di 400 persone, prevalentemente donne mussulmane, e ferito altre mille potrebbe plausibilmente essere interpretato come un esempio di una rete globale di violenza.

L’edificio di otto piani del Rana Plaza, dove si è scatenato l’incendio, ospitava una molteplicità di aziende, tra cui una banca e cinque fabbriche di abbigliamento che impiegavano 3.122 lavoratori di sartoria. I lavoratori avevano notato il 23 aprile una grande fessura nell’edificio, che è crollato il giorno successivo. La polizia aveva ordinato che fosse evacuato e la banca al secondo piano aveva detto ai suoi dipendenti di non presentarsi il giorno successivo.

Tuttavia le fabbriche di abbigliamento avevano deciso di restare in attività e la conseguenza è stata l’insensata e prevedibile tragedia. Si è trattato solo del più recente di una serie di incendi nelle fabbriche e di edifici crollati in Bangladesh che dal 2005 hanno ucciso più di 900 lavoratori e ne hanno ferito migliaia di altri.

Di chi la colpa?

I grandi dettaglianti negli Stati Uniti e in Europa hanno additato i subappaltatori del Bangladesh come responsabili di questi “tragici incidenti”. Ma non c’è nulla di accidentale in questi troppo comuni atti di terrorismo contro lavoratori, e nel comportamento di società come Walmart, The Gap, H&M e centinaia di altre, che si sono rifiutate di affrontare le fondamentali esigenze di sicurezza dei lavoratori nell’industria dell’abbigliamento in Bangladesh.

L’incendio al Rana Plaza ha portato nelle strade a esigere giustizia migliaia di lavoratori, le loro famiglie e i loro sostenitori. Una coalizione di ONG e organizzatori di lavoratori hanno chiesto alle multinazionali di aderire a un programma che crei comitati indipendenti di controllo e di sicurezza nelle fabbriche e che si occupi di alcune delle strategie fondamentali di prevenzione degli incendi.

Sin qui solo due società (Phillips van Heusen, che rappresenta marchi come Calvin Klein e Tommy Hilfiger e la società tedesca Tchibo) vi hanno aderito, mentre la maggioranza si è rifiutata. Società come la Walmart si sottraggono a qualsiasi tentativo dei lavoratori di aver voce nel garantirsi la sicurezza nel luogo di lavoro in Bangladesh, sviando le critiche mediante la promessa di autoregolamentazione e investendo in atti di beneficienza finalizzati alla propaganda.

Il Bangladesh è il secondo maggior produttore di abbigliamento di un’industria globale da un trilione di dollari, spremendo profitti dai lavoratori che assemblano secondo i dettati della rincorsa alla moda del momento in condizioni pericolose e a velocità sbalorditiva. Un rapporto ha rilevato che i lavoratori dovevano cucire un paio di jeans ‘Faded Glory’ per la Walmart ogni sei minuti, a volte sino a 12 ore al giorno.

Potenti dettaglianti e marchi multinazionali arrivano in Bangladesh pretendendo il prezzo più basso possibile, costringendo i produttori locali a tagliare i costi della manutenzione degli edifici, della sicurezza e dei salari.

Dove stanno le opportunità e i vantaggi della globalizzazione per i lavoratori che stanno alla base della piramide? Negli anni ’80 il governo del Bangladesh fu spinto a concentrarsi sulle esportazioni, promuovendo la sua abbondanza di manodopera a basso costo e il suo “vantaggio competitivo” sia in patria, nell’industria tessile, sia all’estero dalle rimesse dei lavoratori che vivevano oltre confine.

L’industria tessile è stata a lungo una parte prevalente dell’economia in gran parte dell’Asia Meridionale e con l’indipendenza dal Pakistan nel 1972 il Bangladesh ha nazionalizzato le sue grandi fabbriche tessili. La privatizzazione dell’industria è iniziata negli anni ’80 ed è stata accelerata dopo 1986, quando il governo ha aderito alle politiche di aggiustamento strutturale del FMI.

Nonostante il suo perseguimento del “libero mercato”, l’aggiustamento strutturale dell’economia del Bangladesh ha implicato una mano pesante dello stato nel promuovere e sostenere l’industria dell’abbigliamento in serie (RMG) assieme a duri interventi contro i tentativi di sindacalizzazione dei lavoratori.

Crescita dell’industria dell’abbigliamento

Gli ultimi tre decenni hanno visto un’esplosione della crescita dell’industria del RMG che oggi rappresenta quasi l’ottanta per cento delle esportazioni totali della nazione. I salari notoriamente bassi di questa industria sono rimasti virtualmente stagnanti, rendendo il Bangladesh “competitivo” rispetto a Cina, India, Cambogia, El Salvador e virtualmente tutti gli altri esportatori di abbigliamento che hanno visto crescere le paghe nel settore.

Questa manifestazione della corsa al ribasso contribuisce direttamente ad accrescere i tassi di disuguaglianza nella società del Bangladesh e al crescente numero dei poveri tra i lavoratori. In altre parole, mentre la produzione di abbigliamento ha portato a un’impressionante crescita del PIL complessivo del paese, i profitti dell’industria finiscono principalmente nelle casse dei dettaglianti e dei marchi in Europa e negli USA e, in misura minore, nelle tasche degli intermediari e dei proprietari delle fabbriche del Bangladesh. Il governo ha scarsi incentivi a turbare questa comodo relazione, visto che l’industria conta così tanto nella sua economia.

La maggior parte della produzione ha luogo in zone di lavorazione riservate all’esportazione dove le società sono esenti dal rispetto di molte leggi elementari, e pagano poche tasse. Con una limitata base fiscale il governo ha poche risorse che creare i propri uffici del lavoro e altri meccanismi di controllo del rispetto delle norme. Alcuni negli USA hanno sollecitato un boicottaggio o un bando all’abbigliamento prodotto in Bangladesh, ma ciò non farebbe che esacerbare il problema e danneggiare i lavoratori.

In questo Primo Maggio potremmo voler tornare alle analogie tra gli atti di violenza all’esterno di Dhaka e a Boston, entrambi gli eventi conseguenza di insensati bagni di sangue di vittime innocenti. Mentre possiamo discutere di come prevenire tragedie come l’attentato alla maratona di Boston, è abbondantemente chiaro che l’imposizione di standard di sicurezza e regole di base aiuterebbe a prevenire l’assoluta dimensione del terrore e della violenza scatenata ancora una volta in Bangladesh.

Il Forum Internazionale sui Diritti del Lavoro (ILRF), il Consorzio per i Diritti dei Lavoratori (WRC) e la campagna per i Salari Minimi in Asia stanno attuando sforzi per chiedere responsabilità in Bangladesh.

Costerebbe solo una piccola frazione dei profitti che questa industria globale sottrae aggressivamente. La Walmart, ad esempio, dovrebbe pagare 500.000 dollari l’anno per due anni per finanziare il programma ILRF, cioè circa il 2% dello stipendio del suo Direttore Generale nel 2012.

Il WRC stima che il programma per la sicurezza dell’ILRF costerebbe solo circa dieci centesimi per capo d’abbigliamento se il costo fosse distribuito su tutte le esportazioni del paese; una piccola somma per le industrie multinazionali o anche per i consumatori occidentali, che si avvantaggiano della violenza imposta da un modello economico che promuove i profitti piuttosto che la vita umana.

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Paula Chakravartty è docente associato di comunicazioni presso l’Università del Massachusetts – Amherst.

Stephanie Luce è docente associato di studi sindacali al Murphy Institute, Università della Città di New York.

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/bangladesh-factory-and-corporate-terror-by-paula-chakravartty

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2013 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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