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Il vero costo delle nostre scarpe: viaggio nelle filiere produttive di tre marchi globali delle calzature

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(2017) REPORT – Il vero costo delle nostre scarpe

di Francesco

La Campagna Abiti Puliti e Change your Shoes annunciano il lancio della nuova inchiesta “Il vero costo delle nostre scarpe: viaggio nelle filiere produttive di tre marchi globali delle calzature” realizzata dal Centro Nuovo Modello Di Sviluppo (CNMS) e FAIR.

Il rapporto descrive il viaggio compiuto lungo le filiere produttive di tre grandi marchi di calzature (Tod’s, GEOX e Prada), mostrando quanto questa industria sia ancora lontana dal rispettare i diritti umani e sindacali degli operai che confezionano le loro scarpe.

Tale basso livello di rispetto si fa sentire anche nel continente europeo che sta vivendo importanti fenomeni di rilocalizzazione. Questa è uno degli aspetti di novità che emerge dal rapporto. Si definisce reshoring e indica il trasferimento in direzione contraria delle attività produttive precedentemente delocalizzate in Asia (o altri luoghi “low cost”) soprattutto per l’abbassamento del costo del lavoro. L’aumento di produttività, unito a una politica di moderazione salariale, di maggiore flessibilità del lavoro, di maggiore libertà di licenziamento, di relazioni industriali soft affiancate da incentivi e sussidi per attrarre gli investimenti, sta rendendo di nuovo appetibile anche la vecchia Europa che presenta il vantaggio di una mano d’opera ad alta tradizione manifatturiera. Ad essere più interessati al fenomeno sono i paesi dell’Europa dell’Est con salari a volte più bassi di quelli asiatici.

Utilizzando oltre 11 milioni di euro messi a disposizione dal governo serbo, nel gennaio 2016 GEOX ha aperto un impianto di produzione a Vranje, in Serbia. Come descritto nel rapporto, durante l’estate del 2016 una serie di irregolarità sono state denunciate dalla stampa locale: condizioni sanitarie e di sicurezza insoddisfacenti, offese verbali ai lavoratori, forme di assunzione non regolari, straordinari eccessivi e altre violazioni alle norme sul lavoro. Grazie alla capacità di denuncia di alcuni lavoratori, alla pressione dei media e all’attività di sindacati e organizzazioni di attivisti per i diritti dei lavoratori, alcuni aspetti sono migliorati, ma ancora molto c’è da fare. Il video-documentario “In my shoes”, prodotto per Change Your Shoes da Sara Farolfi e Mario Poeta, raccoglie alcune di queste voci. Tuttavia, per consentire ai lavoratori di godere a pieno dei loro diritti, deve essere garantito e rafforzato un vero processo di libertà di associazione sindacale e di contrattazione collettiva, che includa un aumento negoziato dei salari per soddisfare il costo medio della vita.

Le reti di produzione globale sono strutturate per incoraggiare la corsa verso il basso e spesso  favorire violazioni diffuse dei diritti dei lavoratori. Quando i tempi di consegna sono molto stretti e i prezzi pagati dai marchi talmente bassi da non permettere nemmeno di coprire i costi di produzione dei subfornitori, allora entriamo nel mondo oscuro dell’economia informale, popolato da aziende che cercano di risparmiare frodando i propri lavoratori, le autorità fiscali, e il sistema di sicurezza sociale. In questo contesto, è facile per le piccole imprese fallire, come è successo ad alcuni imprenditori che hanno lavorato per Tod’s e Prada.

Come conseguenza di queste relazioni inique vi è una crescente sproporzione tra prezzi e valore reale dei beni assorbita per la maggior dalla distribuzione e dal marchio (che si appropriano di circa il 60% del prezzo finale) lasciando le briciole agli altri attori della catena di fornitura. Questo accade soprattutto dove c’è più opacità, lontano dalla vista dei consumatori. L’inchiesta rivela come la maggior parte dei lavoratori e dei subappaltatori abbia paura di testimoniare, preferendo farlo nell’anonimato.

La presenza di cittadini e consumatori bene informati, di media indipendenti, di reti di solidarietà internazionali, sono condizioni fondamentali per ottenere dalle imprese comportamenti responsabili conformi alle tutele previste dalle leggi nazionali, dalle convenzioni internazionali e dai Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani (UNGP).

Campagna Abiti Puliti con Change your Shoes chiede ai marchi delle calzature (compresi Tod’s, Prada e GEOX) di garantire una totale trasparenza della loro catena di fornitura e il rispetto dei diritti umani e del lavoro fondamentali, compreso il pagamento di salari dignitosi; allo stesso tempo chiede ai governi nazionali e alle istituzioni europee di rafforzare i controlli sull’applicazione delle leggi sul lavoro, soprattutto nei segmenti ad alto rischio di violazione; obbligare le aziende a rendere trasparenti le loro catene di fornitura e a implementare un piano di due diligence per identificare, prevenire, ridurre e rendere conto degli impatti negativi delle loro operazioni sui diritti dei lavoratori lungo tutta la catena di fornitura.

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Video

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Fonte:  Campagna Abiti Puliti

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Bangladesh – H&M: impegno non mantenuto sulla sicurezza dei lavoratori

A Bangladeshi woman weeps as she waits at the site of a building that collapsed Wednesday in Savar, near Dhaka, Bangladesh, Friday, April 26, 2013. The death toll reached hundreds of people as rescuers continued to search for injured and missing, after a huge section of an eight-story building that housed several garment factories splintered into a pile of concrete.(AP Photo/Kevin Frayer)

A Bangladeshi woman weeps as she waits at the site of a building that collapsed Wednesday in Savar, near Dhaka, Bangladesh, Friday, April 26, 2013.(AP Photo/Kevin Frayer)

 

Sicurezza edifici in Bangladesh: H&M non rispetta i patti

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La Clean Clothes Campaign (CCC), l’International Labor Rights Forum (ILRF), il Maquila Solidarity Network (MSN) e il Worker Rights Consortium (WRC) lanciano il report Evaluation of H&M Compliance with Safety Action Plans for Strategic Suppliers in Bangladesh. Il documento analizza le informazioni pubbliche disponibili riguardo ai progressi fatti da H&M nell’affrontare i rischi per la sicurezza dei lavoratori nei suoi stabilimenti in Bangladesh.
I dati, provenienti dalle relazioni delle ispezioni nelle fabbriche e dai Piani di Azione Correttiva (CAPs) resi pubblici dall’Accordo per la prevenzione degli incendi e la sicurezza in Bangladesh (siglato in seguito al crollo del Rana Plaza nel 2013, il peggior disastro della storia dell’industria tessile che ha causato la morte di 1138 persone), mostrano chiaramente come H&M non abbia rispettato gli impegni per garantire la sicurezza dei lavoratori.

Concentrandosi sulle fabbriche che H&M ha indicato come le migliori della sua catena di fornitura in tema di lavoro e ambiente, il rapporto mostra come tutte queste fabbriche non siano state in grado di rispettare le scadenze previste per le riparazioni e come la maggior parte delle ristrutturazioni non siano ancora state ultimate nonostante i termini scaduti. Le ristrutturazioni includono l’installazione di porte tagliafuoco, la rimozione dei blocchi e delle porte scorrevoli dalle uscite di sicurezza e delle recinzioni sulle scale, permettendo ai lavoratori di uscire dalla fabbrica in sicurezza in caso di emergenza.

Nel 2010, 21 lavoratori sono morti nell’incendio della fabbrica Garib&Garib, fornitore di H&M, per mancanza di elementi base a garantire la sicurezza, tra cui le uscite antincendio.

“Per la prima volta, grazie all’Accordo, H&M è a conoscenza di tutte le ristrutturazioni necessarie a rendere finalmente sicure le sue fabbriche in modo che i lavoratori non corrano rischi e non temano un nuovo Rana Plaza” ha dichiarato Bob Jeffcott del Maquila Solidarity Network (MSN). “Nonostante ciò, continuano a tirarla per le lunghe e a ritardare i lavori”

“Da parte di H&M vorremmo vedere un investimento serio nel processo di risanamento dei suoi fornitori in Bangladesh, almeno pari a quello effettuato in pubblicità e dichiarazioni altisonanti sulla sostenibilità. Dato il suo peso nel settore tessile in quel paese e data l’opportunità offerta dallo storico Accordo siglato dopo la tragedia del Rana Plaza, H&M può giocare un ruolo chiave per mettere in sicurezza l’intero settore in Bangladesh ”, dichiara Deborah Lucchetti della Campagna Abiti Puliti.

“Sull’onda emotiva che ha circondato il disastro del Rana Plaza, H&M, il più grande produttore di abbigliamento in Bangladesh, ha garantito di sistemare le condizioni in cui si trovano le fabbriche in quel Paese” ha concluso Scott Nova del Worker Rights Consortium (WRC). “Ora è chiaro che H&M ha infranto quella promessa”.

Fonte: abitipuliti.org