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Comunicato di Opal:«Ministro Bonino, cosa deve succedere ancora in Egitto per sospendere l’invio di armi italiane?»

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Tra le armi in dotazione ai militari egiziani anche fucili d’assalto della ditta Beretta. Tra i bossoli trovati lo scorso anno in piazza Tahrir anche quelli della Fiocchi di Lecco (vedi foto)

«Ministro Bonino, cosa deve succedere in Egitto per sospendere l’invio di armi italiane?». E’ la domanda che l’Osservatorio OPAL di Brescia rivolge a mezzo stampa al ministro degli Esteri, Emma Bonino, a fronte delle ingenti esportazioni di sistemi militari destinati alle Forze armate egiziane. Esportazioni in costante crescita tanto che lo nel 2012, durante il governo Monti, hanno raggiunto i 28 milioni di euro e tra cui figura di tutto: dai fucili d’assalto e lanciagranate della Beretta alle munizioni della Fiocchi, dalle bombe per carri armati della Simmel alle componenti per centrali di tiro della Rheinmetall, dai blindati della Iveco alle “apparecchiature specializzate per l’addestramento militare”. L’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere (OPAL) di Brescia ha infatti potuto esaminare attentamente la Relazione ufficiale sulle esportazioni di sistemi militari inviata al Parlamento nelle scorse settimane dal governo Letta.

«A fronte della situazione di forte tensione, agli arresti arbitrari dei leader politici e di giornalisti in Egitto, il presidente degli Stati Uniti ha deciso di rinviare la consegna dei caccia F-16 all’Aeronautica militare egiziana», dichiara Piergiulio Biatta, presidente dell’Osservatorio OPAL. «Ci aspettiamo che la titolare della Farnesina, che ben conosce la situazione nel paese nordafricano, faccia lo stesso e dichiari pubblicamente la sospensione dell’invio di ogni sistema militare alle forze armate egiziane», conclude Biatta.

Infatti con la riforma avvenuta lo scorso anno, la titolarità delle esportazioni di materiali militari risiede nella nuova Autorità nazionale per le Autorizzazioni di Materiali di Armamento (UAMA) presso la Direzione Generale per la Promozione del Sistema Paese (DGSP) del Ministero degli Affari Esteri.

«Apprezziamo la costante attenzione e la profonda preoccupazione espressa dal ministro Bonino per gli atti di violenza e di intimidazione nei confronti della popolazione», commenta Francesco Vignarca, coordinatore nazionale della Rete Italiana per il Disarmo a cui OPAL aderisce.  «Proprio per questo riteniamo che l’Italia – che sta per ratificare in Parlamento il Trattato internazionale sul commercio delle armi – si debba subito fare promotrice in sede europea di un’iniziativa affinché tutti i paesi membri dell’Unione sospendano l’invio di armi all’Egitto, fino a quando la situazione non si sarà chiarita».

Le esportazioni di armi dall’Italia all’Egitto sono in costante crescita e vedono il nostro paese tra i cinque maggiori fornitori europei delle Forze Armate egiziane. Lo spiega Giorgio Beretta, analista di OPAL. «Le autorizzazioni ministeriali per forniture di armamenti all’Egitto non superavano i 10 milioni di euro del 2010, sono salite a oltre 14 milioni di euro nel 2011 e lo scorso anno, col governo Monti, hanno toccato il picco di oltre 24,6 milioni di euro. E di conseguenza sono cresciute le consegne effettive di sistemi militari, che nel 2012 hanno superato i 28 milioni di euro (€ 28.679.837). Esportazioni che sono tuttora in corso, visto che nei primi tre mesi del 2013 l’ISTAT ha già rilevato spedizioni all’Egitto di armi e munizioni per oltre 2,6 milioni di euro», conclude Beretta.

Sorprende soprattutto la tipologia di armi esportate dall’Italia all’Egitto proprio tra il 2011 e il 2012, cioè durante le rivolte che hanno portato alle dimissioni del presidente Hosni Mubarak e alla nomina del nuovo presidente Mohamed Morsi, oggi a sua volta destituito.

Quello inviato dall’Italia alle Forze armate egiziane è un autentico arsenale bellico (vedi elenco a fine comunicato)

«Soprattutto – evidenzia Carlo Tombola, coordinatore scientifico di OPAL – sono da segnalare nel 2011, cioè nel bel mezzo delle rivolte popolari, le esportazioni dalla provincia di Lecco di munizioni probabilmente prodotte dalla ditta Fiocchi. Si tratta di forniture per oltre 41.900 euro, che possono corrispondere ad oltre 100mila munizioni. Ricordiamo che – come ha documentato Amnesty International – in piazza Tahrir dopo gli scontri tra manifestanti e forze armate del 2011 sono stati ritrovati dei bossoli di munizioni della Fiocchi».

Riguardo alle esportazioni della Fiocchi, l’Osservatorio OPAL fa notare una costante anomalia. Da oltre dieci anni le effettive spedizioni di munizioni ad uso militare della Fiocchi non sono mai riportate nella Relazione della Presidenza del Consiglio: ci sono le autorizzazioni rilasciate dai Ministeri degli Esteri e delle Finanze (per i pagamenti) ma manca il riscontro dell’Agenzia delle Dogane.

«In parole semplici – commenta Tombola – da oltre dieci anni la Fiocchi sta esportando munizioni di cui l’Agenzia delle Dogane non dà alcun riscontro nelle Relazioni governative, quasi si trattasse di munizioni per armi ad uso civile o sportivo e non invece di munizioni da guerra, e che come tali sono autorizzate e dovrebbero essere puntualmente riportate nella relazione governativa. Su questa stranezza, che potrebbe coprire ulteriori esportazioni di munizioni oltre quelle autorizzate, chiediamo al ministro Bonino di fare subito chiarezza», conclude Tombola.

ARMI ESPORTATE DALL’ITALIA ALL’EGITTO NEL TRIENNIO 2010-2012

  • Già nel 2010 erano state esportati al Cairo ben 2.450 fucili d’assalto automatici della ditta Beretta modello SCP70/90 corredati di 5.050 parti di ricambio a cui sono seguiti nel 2012 altri 1.119 fucili automatici sempre modello SCP70/90 e 2.238 caricatori e da altri 35 fucili d’assalto calibro 5,56 NATO modello ARX-160 ciascuno corredato da caricatori e baionetta e muniti di 35 lanciagranate e da silenziatori tutti dell’azienda bresciana Beretta.
  • Nel 2011 è stata autorizzata, dal governo Berlusconi, l’esportazione di 14.730 colpi completi per carri armati del calibro 105/51 TP-T IM 370 (equivalente al colpo completo cal. 105/51 TP-T M490) e nel 2012 altri 692 colpi completi calibro 40/70 PFFC IM212 con spoletta e altri 673 colpi completi 76/62 TP tutti prodotti da Simmel Difesa.
  • Sempre nel 2011 è stata autorizzata l’esportazione di 355 componenti per la centrale di tiro Skyguard per missili Sparrow/Aspide e affusti a cui sono seguiti nel 2012 altre 1.000 componenti e corsi d’addestramento per la stessa centrale di tiro prodotta dalla Rheinmetall Italia;
  • Nel 2012 è stata autorizzata dal governo Monti l’esportazione di 55 veicoli blindati Lizard della Iveco;
  • Vanno poi segnalate le esportazioni autorizzate nel 2012 a Oto Melara per attrezzature del cannone navale 76/62 S/R e apparecchiature elettroniche e software della Selex Elsag

Nei giorni scorsi l’Osservatorio OPAL ha anche segnalato le recenti forniture italiane di armi da guerra per le Forze armate del Kazakistan: vedi http://www.opalbrescia.org/

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Fonte: O.P.A.L    (Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa – Brescia

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Da Israele al Kazakistan: l’export armato del governo Monti

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di Giorgio Beretta

Sarà stato per il retaggio dell’export armato del precedente governo Berlusconi. Sarà perché dittatori, regimi autoritari, paesi in conflitto sono da sempre i maggiori acquirenti di armi. O sarà forse perché, grazie alla modifica della legge 185/1990, dallo scorso anno la competenza in materia è passata alla nuova Autorità nazionale per le Autorizzazioni di Materiali di Armamento (UAMA) presso – si noti – la Direzione Generale per la Promozione del Sistema Paese (DGSP) del Ministero degli Esteri che annovera tra i suoi compiti il “sostegno all’internazionalizzazione dell’industria dello spazio e della difesa” (come se satelliti meteorologici e carroarmati e relative bombe fossero la stessa cosa). Sarà per la necessità di trovare qualche commessa all’estero per compensare i tagli annunciati lo scorso anno dal Ministero della Difesa (più annunciati che effettivi). O sarà che tutto è stato fatto – come ormai è d’uso dire – “a loro insaputa” (ma su questo avanzerò qualche dubbio).

Resta il fatto che il governo Monti è riuscito a superare anche colui che si era autoproclamato “commesso viaggiatore” dell’industria militare nazionale. Ammontano infatti a 2.725.556.508 euro le autorizzazioni all’esportazione di armamenti rilasciate dall’esecutivo dei tecnici (ma il valore esatto, corretto un trucco di attribuzione, è di quasi 3 miliardi di euro). E, soprattutto sono cresciute le effettive consegne di sistemi militari che nel 2012 sfiorano anch’esse i 3 miliardi di euro (2.979.152.817 euro). Il testo ufficiale, anticipato sommariamente da alcuni quotidiani (il Fatto e Il Sole), non è ancora disponibile ma Unimondo è entrato in possesso dei voluminosi tomi della Relazione annuale della Presidenza del Consiglio sulle esportazioni di sistemi militari. Che mostra diverse, ma non positive, novità; numerose mancanze, più di qualche inesattezza e, soprattutto, una succinta lettera di accompagnamento dell’attuale presidente del Consiglio, Enrico Letta. Partiamo dalle cifre.

Esportazioni mescolate ai “programmi intergovernativi”

La Relazione, come detto, è stata predisposta dal Ministero degli Affari Esteri (MAE) del governo Monti e – a differenza degli ultimi anni – manca del Rapporto del Presidente del Consiglio che esplicitava i “lineamenti di politica del Governo in materia di esportazione di materiali d’armamento” (i recenti Rapporti sono disponibili qui). I precedenti rapporti distinguevano e separavano chiaramente le autorizzazioni all’esportazione dai “programmi governativi di cooperazione internazionale” (detti anche “programmi intergovernativi”) tra cui figurano i caccia Eurofighter, le fregate Fremm, le navi Orizzonte, gli elicotteri EH-101 e NH-90 in costruzione dotazione anche per il nostro ministero della Difesa. Sommando le autorizzazioni all’esportazione con i programmi intergovernativi, il MAE presenta una tabella (p.13) che risulta fuorviante per conoscere i reali paesi destinatari delle esportazioni militari italiane. Al primo posto infatti risulterebbe essere il Regno Unito (€ 608.093.754 che sono però la somma di € 74.407.416 di operazioni autorizzate all’esportazione con € 533.686.338 dei programmi intergovernativi), al quarto la Francia, all’ottavo la Germania.

La tabella reale – ricalcolata al netto dei programmi intergovernativi – è invece quanto mai diversa. Eccola in breve: Israele (€ 472.910.250), Stati Uniti (€ 419.158.202), Algeria (€ 262.857.947), Arabia Saudita (€ 244.925.280), Turkmenistan (€ 215.821.893), Emirati Arabi Uniti (€ 149.490.989), Belgio (€123.658.464), India (€ 108.789.957), Ciad (€ 87.937.870) e Regno Unito (€ 74.407.416). Come si può notare tra i primi dieci destinatari delle autorizzazioni all’esportazione solo tre (USA, Belgio e UK) fanno parte delle tradizionali alleanze dell’Italia (Nato e Ue) mentre per la maggior parte si tratta di paesi extra europei, di nazioni in guerra, rette da regimi dispotici o autoritari e da governi responsabili di reiterate violazioni dei diritti umani. Verso questi paesi non è però dato di sapere dalla Relazione su quali criteri si sia basato il ministero degli Esteri nell’emettere le autorizzazioni all’esportazione.

Armi a Israele: il “salto di qualità” di Monti

Andrebbero innanzitutto spiegate quali novità nella politica estera di Israele sono intervenute per giustificare i € 472.910.250 di autorizzazioni all’esportazione di armamenti al governo di Tel Aviv tra qui figurano oltre ad “aeromobili” anche “armi con calibro superiore a 12,7 millimetri”. Non certo la disponibilità del governo Netanyahu a riconoscere lo stato della Palestina visto che il governo israeliano si è opposto ripetutamente al riconoscimento della Palestina anche solo come “Stato osservatore non membro” delle Nazioni Unite: un riconoscimento per il quale, invece, l’Italia ha votato a favore. L’ex-presidente del Consiglio italiano non può certo dire di non essere a conoscenza della faccenda, visto che Monti in prima persona si pronunciato a favore del contratto per la fornitura a Israele di 30 velivoli addestratori M-346 della Alenia Aermacchi. Un contratto che l’Amministratore Delegato di Alenia Aermacchi Giuseppe Giordo definiva nei termini di “una eccezionale vittoria del sistema paese Italia”. Si tratta di aerei addestratori per i piloti dei caccia d’attacco F-35 (che Israele ha intenzione di acquisire dalla Lockheed Martin) in cambio dell’acquisto da parte dell’Italia di un pacchetto da un miliardo di dollari per velivoli senza pilota e altro materiale bellico: un contratto che rappresenta “salto di qualità” che andrebbe spiegato ai cittadini visto che l’esportazione italiana di armi italiane verso Israele nei precedenti 20 anni è stata quanto mai contenuta e che questo tipo di autorizzazioni hanno rilevanti implicazioni sulla politica mediorientale del nostro paese. La relazione del Ministero degli Esteri riporta per il contratto relativo agli aerei addestratori M-346 un valore di “soli” € 469.285.638 comprensivo però di un oscuro “loose equipment kit”.

Elicotteri all’Algeria, caccia e bombe all’Arabia Saudita

Sulla scia del governo Berlusconi che nel 2011 aveva autorizzato al contestato governo del presidente Bouteflika un intero arsenale militare, il governo Monti nel 2012 ha emesso autorizzazioni per il ministero della Difesa algerino per quasi 263 milioni di euro. La maggior parte riguarda la fornitura di 14 elicotteri Agusta Westland AW139 comprensivi di apparecchiature per la visone all’infrarosso, 28 caschi militari e altre amenità per un valore complessivo di € 258.241.013. Prosegue anche la fornitura all’Arabia Saudita dei caccia Eurofighter (denominati El Salaam): trattandosi della produzione di un consorzio europeo (composto dalla britannica BAE, dalla tedesca DASA, dall’italiana Alenia Aeronautica dalla spagnola CASA) il ministero degli Esteri ha avuto la geniale pensata di classificare queste autorizzazioni tra i “programmi intergovernativi” anche se i sauditi non partecipano al progetto ma sono solo acquirenti dei caccia. Tra le armi esportate all’Arabia Saudita figurano però anche 600 bombe 2000LB Blu 109 attiva per un valore di € 15.600.000 ed inoltre 1000 bombe 500LB MK82 inerte e 300 bombe 2000LB MK84 inerte per complessivi € 8.500.000 tutte prodotte dalla RWM Italia di Ghedi (Rheinmetall Group). E 100mila granate cal. 40/46 MM TP Low Velocità esportate a Riyad da Simmel Difesa per € 6.291.000.

Armi “top secret” al Turkmenistan e aerei militari al Ciad

Anche verso il Turkmenistan il governo Monti ha proseguito la politica di esportazioni di sistemi militari inaugurata dal precedente governo Berlusconi. Verso quello che il Dipartimento di Stato americano definisce come uno “stato autoritario” riportando una lunghissima serie di violazioni dei diritti umani, sotto la direzione del ministro Giulio Terzi di Sant’Agata la Farnesina ha autorizzato quasi 216 milioni di euro di esportazioni di armamenti tra cui però non è dato di conoscere nemmeno la tipologia perché il ministero degli Esteri ha (casualmente?) dimenticato di fornirla nell’apposita tabella. Sta di fatto che mentre Jennifer Lopez, solo per aver cantato al compleanno del presidente turkmeno Gurbanguly Berdymukhamedov, si è beccata le critiche di mezzo mondo, il responsabile della Farnesina che negli ultimi due anni ha autorizzato quasi 350 milioni di euro di esportazioni di armi alle forze armate turkmene rimane tranquillo (e profumatamente pagato) al suo posto senza che alcuno in Parlamento sollevi qualche critica.

Sono invece rintracciabili – e ampiamente documentati da varie fonti – i due aerei da trasporto tattico forniti al Ciad: si tratta di due C-27J Spartan con parti di ricambio venduti da Alenia Aeronautica per quasi 88 milioni di euro. Sulle effettive necessità di questi aerei militari per il paese sub-sahariano la cui popolazione è, secondo il l’Indice dello sviluppo umano dell’UNPD, è quartultimo posto al mondo (184mo su 186 paesi) per condizioni di vita è meglio non commentare.

Fucili d’assalto (e silenziatori) Beretta al Kazakistan

Che Berlusconi abbia fatto affari col dittatore kazako Nursultan Nazarbayev e che sia da tempo amico del produttore di armi bresciano, Ugo Gussalli Beretta (tanto da aver pensato alcuni anni fa di nominarlo ambasciatore negli Stati Uniti) è cosa nota. Ma nemmeno a colui che aveva definito il dittatore kazako come “un leader molto amato dal suo popolo” era mai riuscito di autorizzare esportazioni di armi dalla cinquecentenaria ditta di Gardone Valtrompia a Astana, la capitale kazaka. C’è riuscito invece il già citato funzionario della Farnesina, il ministro plenipotenziario (mai titolo è stato più azzeccato!) Michele Esposito, direttore generale della Autorità nazionale dell’Unità per le Autorizzazioni di Materiali di Armamento (UAMA). E’ sotto la sua direzione che è stata autorizzata la vendita alle forze armate kazake di 40 fucili d’assalto cal. 7,62x39mm NATO modello ARX 160 insieme con 40 lanciagranate cal.40mm modello GLX-160 compresivi di 1000 granate dello stesso tipo ed inoltre 3 pistole semiautomatiche PX4 Storm corredate da 6 dispositivi di soppressione del rumore da sparo. Le stesse tipologie di armi, ma in quantità maggiore, la cui esportazione era stata autorizzata, sempre dallo stesso ministro plenipotenziario, all’autocrate turkmeno l’anno prima. La dogana di Brescia ha già rilasciato il “nulla osta” per entrambe le forniture. Qualcuno nelle ex repubbliche sovietiche si sta già esercitando con le armi “made in Italy”.

Giorgio Beretta
giorgio.beretta@unimondo.org

P.S.: Il presidente del Consiglio, Enrico Letta ha inviato alle Camere la Relazione con la succinta nota che riportiamo più sotto. Su questo e su altri aspetti controversi della Relazione (operazioni bancarie, mancanze di informazioni, errori ecc.) ritorneremo in un prossimo articolo.

“Ai sensi dell’articolo 5 della Legge 9 luglio 1990, n. 185, trasmetto la relazione annuale, relativa all’anno 2012, preparata dal precedente Governo, sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo delle esportazioni, importazioni e transito dei materiali di armamento con allegate le relazioni dei Ministri, incluse relative tabelle, di cui al comma 2 del medesimo articolo”.

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Fonte: unimondo.org

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Stati Uniti: Michael Moore indica come fermare la lobby delle armi

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Le vittime del massacro di Sandy Hook. A destra in alto la madre dell’omicida, uccisa anch’essa, e, in basso, l’omicida.

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Stati Uniti, non distogliete lo sguardo! (Come farla finita con la lobby delle armi)

di Michael Moore

L’anno era il 1955. Emmett Till era un giovane ragazzo afroamericano di Chicago in visita a parenti nel Mississippi. Un giorno Emmett fu visto “flirtare” con una giovane della città e a causa di ciò fu mutilato e assassinato all’età di quattordici anni. Fu trovato con una parte di una sgranatrice di cotone legata attorno al collo con un pezzo di filo spinato. I suoi assassini, due uomini bianchi, gli avevano sparato in testa prima di gettarlo nel fiume.

Il corpo di Emmett Till fu ritrovato e rimandato a Chicago. Con sconvolgimento di molti sua madre insisté per una cassa aperta al suo funerale, in modo che il pubblico potesse vedere cosa succede al corpo di un ragazzino quando i fanatici decidono che lui è meno che umano. Volle che i fotografi scattassero delle foto del suo figlio mutilato e le pubblicassero liberamente. Più di 10.000 parteciparono al funerale e la foto di Emmett Till apparve sui quotidiani e le riviste di tutta la nazione.

“Volevo soltanto che il mondo vedesse,” disse la madre. “Volevo soltanto che il mondo vedesse.”

Il mondo vide davvero e nulla fu più lo stesso per i suprematisti bianchi degli Stati Uniti d’America. Grazie a Emmett Till, grazie alle fotografie sconvolgenti del suo piccolo corpo morto, solo pochi mesi più tardi “iniziò ufficialmente la rivolta il 1 dicembre 1955” (da Eyes on the Prize), quando Rosa Parks decise di non cedere il suo posto sull’autobus a Montgomery, Alabama. Lo storico boicottaggio degli autobus ebbe inizio e, con le immagini di Emmett Till ancora fresche nella mente di molti statunitensi, non ci fu modo di tornare indietro.

Nel marzo del 1965 la polizia di Selma, Alabama, picchiò, innaffiò e sparò brutalmente gas lacrimogeni contro un gruppo di afroamericani soltanto perché aveva attraversato un ponte durante una marcia di protesta. La nazione fu sconvolta dalle immagini di neri brutalmente malmenati e feriti. E’ lo stesso accadde al Presidente. Solo una settimana dopo Lyndon Johnson convocò una seduta del Congresso statunitense e si presentò alla sessione congiunta e disse ai parlamentari di approvare una legge che stava proponendo quella sera: la Legge sul Diritto di Voto del 1965. E solo cinque mesi dopo il Presidente Johnson firmò, promulgandola, la Legge sul Diritto di Voto.

Nel marzo del 1968 soldati statunitensi massacrarono 500 civili a My Lai, in Vietnam. Un anno e mezzo dopo il mondo finalmente vide le fotografie, di mucchi di contadini morti coperti di sangue, di un bambino terrorizzato pochi secondi prima di essere abbattuto e di una donna con il cervello fatto letteralmente schizzare fuori dal cranio. (Tali fotografie sarebbero andate ad aggiungersi ad altre foto della guerra del Vietnam, tra cui quella di una bambina nuda ustionata dal napalm in fuga su una strada e di un generale sud-vietnamita che si avvicina a un sospetto in manette, estrae la pistola e gli fa saltare la testa sul notiziario serale della NBC).

Con questa valanga di immagini orribili il pubblico statunitense si rivoltò contro la guerra del Vietnam. Il renderci conto di ciò di cui eravamo capaci di fare ci sconvolse a tal punto che divenne molto difficile per i futuri presidenti (fino a George W. Bush) invadere di punto in bianco una nazione sovrana ed entrare in guerra per un decennio.

Bush è stato in grado di scatenarla perché i suoi gestori, i signori Cheney e Rumsfeld, sapevano che la cosa più importante da fare fin dall’inizio era controllare le immagini della guerra, assicurarsi che nulla di simile alle fotografie di My Lay comparisse mai sulla stampa statunitense.

E questo è il motivo per cui non vedrete mai più una foto del tipo di morte e distruzione che potrebbe farvi balzare dal divano e correre fuori urlando ‘maledetti assassini’ ai responsabili di quelle atrocità.

E’ questo il motivo per cui ora, dopo il massacro dei bambini a Newtown, assolutamente l’ultima cosa che la National Rifle Association vuole che sia di pubblico dominio è QUALSIASI immagine di ciò che è accaduto in quel tragico giorno.

Ma ho una profezia. Sono convinto che qualcuno a Newtown, Connecticut – un genitore in lacrime, un agente della polizia sconvolto, un cittadino che ne ha abbastanza di questo carnaio nel nostro paese – qualcuno, tra non molto, farà uscire le foto della scena del crimine del massacro della Scuola Elementare di Sandy Hook. E quando il popolo statunitense vedrà cosa possono fare al corpo di un bambino le pallottole di un fucile d’assalto sparate a distanza ravvicinata, quello sarà il giorno in cui le danze saranno finite per la NRA. Sarà il giorno in cui il dibattito sulle armi arriverà al termine. Non resterà nulla di cui discutere. E ogni statunitense sano di mente esigerà provvedimenti.

Naturalmente ci saranno urli e strepiti bigotti da parte dei guru che deprecheranno la pubblicazione di quelle raccapriccianti fotografie. Quelli che le pubblicheranno o le metteranno in rete saranno definiti “scandalosi” e “vergognosi” e “di cattivo gusto”. Come può un canale mediatico essere così insensibile nei confronti dei bambini morti? Qualcuno poi comincerà a boicottare la rivista o il sito web che le pubblicherà.

Ma si tratterà di indignazione falsa. Perché la verità vera è questa: non vogliamo che ci vengano mostrate le conseguenze concrete di una società violenta. Di una società che scatena guerre illegali, che giustizia criminali (o presunti tali), che aggredisce e picchia le proprie donne ogni 15 secondi e spara ogni giorno a 30 dei propri cittadini. Oh no!, per favore, NON FATECI VEDERE QUESTO!

Perché se davvero dovessimo guardare i venti bambini massacrati – intendo dire guardarli sul serio, con i corpi fatti a pezzi, molti così irriconoscibili che l’unico modo in cui i genitori hanno potuto identificarli è stato grazie agli abiti che indossavano – quale sarebbe la nostra scusa per non agire? Adesso. Proprio in questo momento. Esattamente ora! Come diavolo potrebbe qualcuno non buttarsi ad agire nello stesso momento dopo aver visto i corpi devastati dai proiettili di questi bambini e bambine?

Non sappiamo cosa esattamente mostrino quelle foto di Newtown. Ma voglio che tu, sì, tu, la persona che legge questo in questo momento, pensi a cosa effettivamente sappiamo:

I bambini di sei e sette anni uccisi nella Scuola Elementare di Sandy Hook sono stati colpiti fino a undici volte da un fucile semi-automatico  Bushmaster AR-15. La velocità iniziale di un fucile come l’AR-15 è circa tre volte quella di una pistola. E poiché l’energia cinetica di una pallottola è uguale alla metà della massa del proiettile moltiplicata per la sua velocità al quadrato, la forza distruttiva potenziale di una pallottola sparata da un fucile è circa nove volte maggiore di quella di un proiettile simile sparato da una pistola.

Nove volte. Ho parlato con il dottor Victor Weedn, presidente del Dipartimento di Scienze Forensi presso l’Università George Washington, il quale mi ha detto che i raggi X al torace di una persona colpita da un fucile hanno spesso l’aspetto di una “tempesta di neve”, perché le ossa sono ridotte in frantumi. Questo succede non solo a causa dell’impatto diretto del proiettile, ma perché ogni proiettile trasmette un’onda d’urto agli organi molli del corpo, un’onda così potente che può spezzare le ossa anche senza averle colpite. Un video qui mostra gli effetti dell’onda d’urto sulla “gelatina balistica” utilizzata dagli esperti per simulare un tessuto umano. (Gabby Giffords sarebbe sopravvissuta se le avessero sparato con un fucile anziché con una pistola Glock? Probabilmente no, dice il dottor Weedn: l’onda d’urto avrebbe danneggiato le parti più critiche del suo cervello).

Per quanto orribile sia questo, c’è di peggio, di molto peggio. Il dottor Cyril Wecht, ex presidente dell’Accademia Statunitense delle Scienze Forensi, mi ha detto questo:

“Il tipo di munizioni usato dall’assassino di Newtown deve aver prodotto lesioni molto estese, gravi e mutilanti alla testa e al volto di queste piccole vittime. A seconda del numero di colpi alla testa di un bambino, considerevoli parti della testa sarebbero scagliate via. Il tessuto cerebrale sottostante sarebbe estesamente lacerato con porzioni di tessuto cerebrale emorragico in fuoruscita dalla parte anteriore e da quella basale del cranio, parte delle quali rimarrebbe su segmenti del volto … l’effettiva identificazione fisica di ciascun bambino sarebbe estremamente difficoltosa e in molti casi impossibile, anche da parte di genitori di ciascun bambino specifico.”

Secondo il dotto Wecht sappiamo anche questo:

“In un caso i genitori hanno commentato pubblicamente le lesioni al loro bambino, riferendo che il suo collo e la sua mano sinistra mancavano. Molto probabilmente quel bambino aveva portato la mano al volto per lo shock e per proteggersi e ha avuto la mano tranciata via assieme alla parte inferiore del volto.”

Veronique Pozner, madre di Noah, il bambino di sei anni descritto dal dottor Wecht ha insistito che il governatore del Connecticut guardasse Noah nella bara aperta. “Sentivo di dover essere sincera con lui,” ha detto. Il governatore ha pianto.

Le fotografie che mostrano tutto questo oggi esistono, da qualche parte negli archivi della polizia e dell’anatomopatologo in Connecticut. E da oggi abbiamo in qualche modo tutti deciso insieme che non abbiamo necessità di vederle, che in qualche modo siamo a posto con quello che c’è in quelle fotografie (dopotutto più di 2.600 statunitensi sono stati uccisi da colpi d’arma da fuoco dopo Newtown), fintanto che non guardiamo di persona quelle foto.

Ma oggi io vi dico che verrà il momento delle foto di Newtown. E dovrete guardarle. Dovrete guardare chi e cosa sono e cosa abbiamo permesso che accadesse. Alla fine della seconda guerra mondiale il generale Eisenhower ordinò che migliaia di civili tedeschi fossero obbligati a marciare attraverso i campi di concentramento in modo da poter essere testimoni di quello che accadeva appena di là dalla loro strada negli anni in cui avevano guardato da un’altra parte, o non avevano chiesto, o non avevano fatto nulla per fermare l’omicidio di milioni di persone.

Noi non abbiamo fatto nulla dopo Columbinenulla – e in conseguenza ci sono stati più di trenta omicidi di massa da allora. La nostra inerzia significa che siamo tutti, a qualche livello, responsabili e perciò, per aver nascosto la testa nella sabbia, dobbiamo essere obbligati a guardare i venti bambini morti alla Scuola Elementare di Sandy Hook.

Le persone a favore delle quali abbiamo votato dopo Columbine – ad eccezione di Michael Bloomberg – quasi tutte, Democratici e Repubblicani, non hanno osato parlare contro la NRA prima di Newtown e tuttavia noi, il popolo, abbiamo continuato a votarle. E per questo siamo responsabili, ed è per questo che dobbiamo guardare i venti bambini morti.

La maggior parte di noi continua a dire che noi “sosteniamo il Secondo Emendamento” come se fosse stato scritto da Dio (oppure perché temiamo di essere considerati antiamericani). Ma quell’emendamento fu scritto da quegli stessi bianchi che pensavano che un negro fosse solo per tre quinti umano. Non abbiamo fatto nulla per rivedere o revocare questo, e ciò ci rende responsabili, ed è per questo che dobbiamo guardare le fotografie dei venti bambini morti, distesi con quel che resta dei loro corpi sul pavimento dell’aula di Newtown, Connecticut.

E mentre guardiamo quelle atroci fotografie dobbiamo cercare di dire ad alta voce: “Sostengo il Secondo Emendamento!” Qualcosa, scommetto, suonerebbe sbagliato. Ù

Sì, un giorno o l’altro una madre di Sandy Hook – o una madre di Columbine, o una madre di Aurora, o una madre di un massacro ancora di là da venire – dirà, come la madre di Emmett Till: “Ho voluto soltanto che il mondo vedesse.” E poi nulla, a proposito delle armi in questo paese sarà più lo stesso.

Fa’ le valige NRA. Stanno per mostrarti la porta. Perché ci rifiutiamo di permettere che un altro bambino sia ucciso in questo modo. Capito? Spero di sì.

Tutto quello che adesso puoi sperare è che nessuno diffonda quelle foto.

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Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/america-you-must-not-look-away-how-to-finish-off-the-nra-by-michael-moore

Originale: Michaelmoore.com

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2013 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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