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Domani 18 luglio si celebra in tutto il mondo il Mandela Day

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Photo by Johnny Green/PA Wire

Photo by Johnny Green/PA Wire

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E’ stato il simbolo dell’integrazione, Nelson Mandela. Primo presidente nero del Sudafrica, dopo la fine dell’apartheid, Nobel per la Pace nel 1993, è stato un protagonista assoluto della storia del suo paese e del pianeta intero. Durante l’apartheid Nelson organizzò e partecipò ad azioni di sabotaggio e guerriglia contro il governo razzista sudafricano. Per questo venne arrestato e fu segregato in carcere per 27 anni. Fu liberato l’11 febbraio 1990, dopo forti pressioni della comunità internazionale e su ordine dell’allora presidente De Klerk. Divenuto libero cittadino e presidente dell’Anc, Mandela si candidò e venne eletto primo presidente nero della nazione. Rimase alla guida del Sudafrica dal 1994 al 1999. E’ da tutti considerato un eroe che ha lottato per la libertà del suo Paese. Una volta ritiratosi dalla vita politica, ha continuato la sua attività d’impegno per i diritti civili e sociali lavorando con molte associazioni e ricevendo numerose onorificenze. Durante i mondiali di calcio in Sudafrica del 2010, da lui fortemente voluti, non ha potuto presiedere alla cerimonia di apertura a causa di un grave lutto in famiglia: la nipote tredicenne, infatti, ha perso la vita in un incidente automobilistico proprio alla vigilia della manifestazione. Tuttavia ha presenziato, a sorpresa, alla cerimonia di chiusura, poco prima che le due finaliste scendessero in campo.

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Fonte: unimondo.org

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Mandela e Snowden: due eroi che hanno molto di più in comune di quanto sappiamo

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newspaper-nelson-mandela    HONGKONG Snowden 4

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di Danny Schechter *

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E’ stato chiamato “Il lungo arrivederci” mentre la stampa mondiale aggiornava i suoi aggiornamenti ogni ora sullo stato di salute di Nelson Mandela con tante congetture sul quando morirà. Ora che è stato diagnosticato come “critico”, forse non ne avrà per molto.

Il massiccio interesse dei media Mandela, è un notevole tributo a un uomo molto speciale che ha contribuito ad annullare l’apartheid mentre emozionava il mondo con il suo coraggio come il prigioniero che è  diventato presidente.

Si è detto che Mandela, è diventato, dopo la Coca Cola, il secondo marchio più famoso nel mondo, e quindi forse è comprensibile l’attenzione dei media dati i grandi numeri del gradimento che riscuote e il status nel pantheon dei liberatori. Quale altro leader politico malato riceve questo genere di attenzione prolungata?

In questi giorni scarseggiano gli eroi che vengono ampiamente accettati nel mondo, come possiamo

vedere anche dal modo in cui i media si  sono occupati del delatore Edward Snowden, anche lui considerato da molti come un eroe – dalla maggioranza di quelli a cui è stato chiesto un parere – mentre, stranamente, la maggioranza del potentato degli esperti si fatto un’opinione più cinica.

Molti dei nostri “leader innovatori” chiedono se non sia in realtà un traditore che deve essere perseguito penalmente piuttosto che un liberatore dell’informazione da essere salutato con calore. Il conduttore del programma “Incontro con la stampa” ha perfino domandato a Glenn Greenwald, che faceva i servizi giornalistici su quell’argomento, “Perché non dovresti essere tu in galera.”

I membri dei media che occupano alte cariche tendono a essere deferenti e protettivi verso i funzionari di governo e detestano i ribelli. Fanno parte dell’establishment, non lo criticano.

Chiaramente queste due storie sono molto diverse, ma ci sono dei paralleli che quasi nessuno dei media ha commentato.

Entrambi questi uomini sono degli eroi per coloro che credono nella libertà – il diritto di essere liberi dalle leggi razziste in un caso, e il gravoso  spionaggio in un altro.

Entrambi questi uomini hanno preso posizione contro i poteri. Uno è stato processato e imprigionato, l’altro potrebbe esserlo presto.

Uno era un combattente di un movimento radicale e per la liberazione politica. L’altro è più un guerrigliero della liberazione elettronica, ma è considerato anche come parte di una ampia rete di affinità anarchiche che comprendere Bradley Mannning, Wikileaks, Anonymous e molti attivisti con una coscienza politica.

Non possiamo dimenticare che Mandela è stato etichettato come terrorista per anni e nascosto alla vista dei media. E’ stato processato per tradimento, e assolto con un processo largamente condannato, in un tribunale dell’epoca dell’apartheid, che in retrospettiva, forse è stato più giusto di quelli che affrontano Manning e il suo gruppo di fratelli.

Snowden è stato ora denunciato per tradimento e ora è all’attenzione dei media ma è anche obiettivo dei politici di massimo livello e dei ruffiani dei media che li prendono sul serio e che  mettono in dubbio i suoi motivi e il suo  l’impatto. In entrambi i casi, i loro due esempi entusiasmano gli ammiratori che li inondano di lodi per la loro coraggiosa difesa della libertà.

Il presidente del Sudafrica Jacob Zuma che ha, in molto modi tradito il mandato morale di Mandela, dice tuttavia che il suo paese non solo lo ammira, ma ne ha bisogno.”

“Abbiamo bisogno che sia con noi,” ha detto. “Tutti percepiamo che il nostro presidente, il vero padre della democrazia in Sudafrica è in ospedale.” I seguaci di Snowden sembra che esprimano un bisogno analogo che  qualcuno come lo scaltro Snowden sfidasse il Grande Fratello.

Quello che molti nei media non ci hanno ricordato, è che il “vero padre della democrazia” del Sudafrica era stato catturato  e messo in prigione grazie a un suggerimento proprio delle forze che Snowden sta combattendo.

E’ stata la CIA che pedinava Mandela con le tecnologie meno sofisticate che allora erano disponibili, e che ha dato la dritta alla polizia segreta del Sudafrica riguardo alla posizione dove si trovava.

Un resoconto sul New York Times del 10 giugno 1990 “citava un funzionario in pensione non identificato, che ha riferito che un importante funzionario della CIA gli aveva detto poco dopo l’arresto di Mandela, ‘Abbiamo consegnato Mandela al ramo esecutivo  del Sudafrica. Gli abbiamo fornito tutti i dettagli, che cosa avrebbe indossato, l’ora del giorno, proprio il luogo dove sarebbe stato.”

L’Associated Press ha citato Paul Eckel, allora importante agente della CIA, che si vantava che la cattura di Mandela “era uno dei suoi più grandi successi.” C’erano stati anche alcuni rapporti precedenti negli anni ’80  anche su questo ruolo della CIA, ma non hanno mai innescato lo scandalo che avrebbero dovuto.

In un certo qual modo, era allora considerato accettabile che un’agenzia di spionaggio fosse in collusione  con uno stato bianco razzista che combatteva chi lottava per la libertà.

C’è una relazione tra Snowden e Mandela che può spiegare perché la “intelligence” americana tende spesso a stare dalla parte sbagliata, o forse è proprio la parte sbagliata. Chiaramente i padroni dei nostri servizi segreti avevano allora come priorità quello che fanno oggi: la protezione dello status quo globale.

Più di recente, i dispacci diffusi da WikiLeaks e pubblicati dai cinque  principali  quotidiani del mondo, hanno rivelato conversazioni private con Mandela circa il suo desiderio di incontrare Margaret Thatcher e di correggere i suoi atteggiamenti verso la lotta in Sudafrica.

Un altro dispaccio che è stato rilasciato rivelava i piani dell’allora presidente sudafricano F.W. Deklerck di liberare Mandela, prima che quei piani fossero resi pubblici.

Chiaramente li stavamo spiando di nuovo, gli Stati Uniti sembra che abbiano protetto i guardiani del potere bianco.

Ora sembra che la situazione si sia ribaltata – almeno per certi aspetti, grazie al coraggio degli informatori che  hanno sfidato  un governo impegnato in uno spionaggio massiccio.

Malgrado i suoi molti detrattori nella ‘azienda’  dei servizi segreti, e i suoi sostenitori al Congresso, e coloro che razionalizzavano tutto sulla stampa, le azioni di Snowden sembrano averlo trasformato in una figura popolare;  scrive Gay Stamper:

“Edward Snowden sta apparendo come l’eroe tipicamente americano, secondo un sondaggio che mostrava il 70% del appoggio per lui e le sue azioni tra il pubblico americano. Paragonate questo con la popolarità del Congresso che sta per la maggior parte richiedendo il momento da Bradley Manning per Snowden. Se continua a eludere la CIA, e l’Apparato americano per la sicurezza non può catturarlo subito, le sue azioni aumenteranno tantissimo perché gli americani amano molto un eroico  perdente.

“Uno degli inviati del Guardian che ha programmato con Snowden di incontrarsi a Hong Kong per delle interviste, ha detto alla Associated Press che era stato contattato da “innumerevoli persone” che offrivano di pagare per qualsiasi cosa di cui [Snowden] potesse avere bisogno.”

Il novantaquattrenne Mandela  e il ventinovenne Snowden provengono da parti diverse del mondo e hanno combattuto in epoche diverse.

Il membro del Congresso, Ron Paul, il libertario  che Snowden ha appoggiato con una campagna di donazioni, sta già temendo per la sua vita, e dice:”Sono preoccupato, qualcuno nel nostro governo potrebbe ucciderlo con un missile o con un missile Cruise o con un missile lanciato da un drone… viviamo in un brutto periodo in cui i cittadini americani non hanno neanche i diritti e in cui possono essere uccisi, ma questo gentiluomo sta cercando di dire la verità su quanto sta accadendo.”

Il mondo sta osservando come Snowden finora ha eluso la cattura; Mandela quando era clandestino era stato definito la “Primula Rossa” quando ha evitato la cattura fino a quando la CIA lo ha consegnato.

Oggi, milioni di sostenitori di Mandela si stanno preparando alla fine della sua vita a causa della sua età e  di una malattia che ha contratto in prigione.

E’ un genio politico, fortunatamente, con dei buoni geni che gli hanno permesso di vivere abbastanza a lungo per completare quella che chiamava ‘la lunga camminata verso la libertà.’ Ha scritto che quel viaggio non è finito per il Sudafrica, anche se  forse può finire per lui.

Snowden sa che le sue pene possono soltanto stare per cominciare quando diventerà un fuorilegge internazionale che però ha accesso a segreti che i potenti vogliono tenere segreti. Deve affrontare varie sfide per stare un passo avanti rispetto ai suoi inseguitori che sono indignati perché finora li ha

superati in astuzia.

Mandela non ha soltanto problemi di salute, ma anche una rivolta in famiglia, dato che due figlie stanno facendo causa al suo avvocato e un suo amico intimo che stanno amministrando un fondo che aveva  istituito, cercando di ottenere denaro per loro stesse.

Ciò che viene ampiamente percepito come avidità, è la prova di come i valori per i quali ha combattuto Mandela si sono corrotti nel nuovo Sudafrica. Quando era più attivo in politica, Mandela parlava contro questo tradimento della lotta che era la sua vita.

La posizione di Snowden deriva dalla sua percezione che l’aumento di una mostruosa  sorveglianza tecnocratica e fuori controllo era una violenza per il pubblico.

Usando i loro modi e i loro tempi, sia Mandela (i cui successi saranno presentati in un importante film che uscirà in autunno) che Snowden si sono impadroniti della immaginazione del pubblico.

Entrambi sono dei Ribelli dei Nostri Tempi. Entrambi sono stati denunciati e denigrati per essersi opposti agli abusi del governo  e tuttavia rimangono largamente rispettati e ammirati.

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* L’analista di notizie Danny Schechter cura Mediachannel.org e ha un blog su News Dissector.net. Ha girato 7 documentari su Mandela e negli anni ’60 è stato spiato dall’FBI, dalla CIA e dalla NSA. I commenti si possono inviare a dissector@mediachennael.org

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Fonte:  Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

Traduzione di Maria Chiara Starace

Traduzione © 2013  ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC  BY – NC-SA  3.0

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Tribunale Russell per la Palestina: contro il crimine del silenzio

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“Quello israeliano è un regime di apartheid con un sistema istituzionalizzato per l’esercizio del dominio”. Cape Town, Sud Africa: a parlare sono le conclusioni di giuristi, premi Nobel per la Pace, parlamentari europei, ex capi di Stato e ambasciatori, che si sono riuniti dal 5 al 7 novembre per la terza volta consecutiva dall’inizio del 2010 in quella struttura civile, popolare e internazionale nota come Tribunale Russell per la Palestina (TRP).

di Cecilia Dalla Negra

E che questa volta, dopo gli appuntamenti di Barcellona (marzo 2010) e Londra (novembre 2010) si sono dati come obiettivo quello di analizzare le politiche israeliane nei confronti della popolazione civile palestinese nei Territori Occupati, a Gerusalemme Est e all’interno di Israele, per stabilire – attraverso numerose testimonianze – se si potessero inquadrare in un contesto discriminatorio tale da arrivare a parlare di apartheid.

Sembra di sì, se è vero – come sostenuto dal Tribunale – che i palestinesi vivono “sotto il controllo coloniale e militare israeliano”, tanto nei propri territori sottoposti ad occupazione, quanto all’interno dei confini di Israele, così come stabiliti nel 1948.

Un risultato forse atteso, certamente già scritto nei fatti per chiunque abbia avuto modo di visitare i Territori, arrivato al termine di quella che è stata solo l’ultima tappa di un percorso lungo e articolato, che ha visto la nascita, lo sviluppo e l’affermazione internazionale di un tribunale civile e popolare.

La sua storia inizia nel marzo del 2009 quando, in ambito europeo, il Tribunale Russell per la Palestina, sulla base di alcuni illustri precedenti, viene promosso in primo luogo dall’ex senatore belga Pierre Galand, e dall’ex vicepresidente del Parlamento europeo Luisa Morgantini, attivista per i diritti umani di lungo corso.

Si è da poco conclusa l’offensiva israeliana “Piombo Fuso”, che nella Striscia di Gaza, tra il dicembre 2008 e il gennaio 2009, ha provocato oltre 1400 vittime civili, seminando distruzione e riducendo in macerie scuole, abitazioni, ospedali.

Il gruppo di personalità internazionali che si riunisce sotto la sigla del TRP vuole investigare quei fatti, oltre a tentare di dare una risposta alla domanda che preme sulla comunità Internazionale: è stato fatto davvero tutto il possibile per implementare e assicurare l’applicazione di alcune norme di diritto internazionale, del parere della Corte Internazionale di giustizia del 2004 che aveva condannato la costruzione del muro di separazione israeliano, e della conseguente risoluzione delle Nazioni Unite (ES 10/15 del 2004), che quel parere negativo confermava?

L’iniziativa ha in sé qualcosa di rivoluzionario, perché mira a dare per la prima volta un parere internazionale condiviso sul conflitto israelo-palestinese e sulle politiche israeliane in particolare, ma che sia popolare e provenga da un tribunale civile.

Ricalca le orme di precedenti illustri: siamo alla fine degli anni Sessanta quando il filosofo gallese Bertrand Russell, con il supporto di Jean Paul Sartre, crea il Tribunale Russell per il Vietnam, con lo scopo di investigare eventuali crimini di guerra commessi in quel teatro bellico dagli Stati Uniti d’America. Vi prenderà parte come penalista anche Lelio Basso, che sette anni dopo darà vita al secondo Tribunale Russell, questa volta incentrato sulle violazioni dei diritti umani in Cile, Brasile e Argentina.

Poi, nel 2009, il TRP fissa la sua agenda. I suoi lavori si articoleranno lungo quattro sessioni internazionali, la prima delle quali prende il via con successo a Barcellona: è il 1° marzo del 2010, e la sala è colma di persone arrivate da tutto il mondo.

Due giorni di lavori, al termine dei quali la giuria del Tribunale, chiamata ad ascoltare numerose testimonianze dirette e ad analizzare il ruolo dell’Unione europea nell’ambito del conflitto, emana le sue conclusioni che, per quanto non ufficiali, hanno il sapore di una sentenza.

L’Ue e i suoi Stati membri vengono riconosciuti responsabili per le violazioni della legalità internazionale commesse da Israele, tanto nell’attacco “Piombo Fuso” su Gaza, quanto nelle politiche quotidiane portate avanti nei Territori Occupati e a Gerusalemme Est, dove le espulsioni di palestinesi dalle proprie case ad opera dei coloni e la colonizzazione di terre proseguono, impunite.

La loro colpa quella di non aver fatto tutto il possibile perché quelle violazioni non avessero luogo, o quantomeno perché avessero fine, laddove il diritto internazionale impegna tutti gli Stati e non ne esime nessuno.

Quindi, le raccomandazioni: è alla società civile europea che la Corte si rivolge, chiedendole di essere guardiana delle politiche portate avanti dai rispettivi paesi, e di “mettere in atto ogni azione necessaria” perché le violazioni del diritto internazionale commesse da Israele cessino. Boicottandone le istituzioni, le relazioni economiche e i commerci, se necessario, come pratica civile, efficace, nonviolenta.

È un copione simile quello a cui si assiste a Londra, nel novembre 2010. La seconda sessione internazionale prende ad oggetto del proprio dibattito questa volta la complicità di aziende, industrie e corporation implicate in vario modo  nell’occupazione illegale di territori palestinesi da parte di Israele.

E, “con prove evidenti”, dimostra la loro “complicità nelle violazioni della legalità internazionale”. Si tratta di tutte quelle aziende che partecipano a vario titolo “alla fornitura di armi, alla costruzione e al mantenimento del muro di separazione, alla fornitura di servizi e infrastrutture per gli insediamenti illegali in Cisgiordania”. Anche in questo caso, la giuria identifica specifiche azioni legali che possano essere intraprese contro queste, e fa appello alla società civile perché attivi ogni canale possibile volto all’interruzione di affari illeciti. 

In Sud Africa, invece, si parlava di apartheid. Il terzo appuntamento internazionale, nel silenzio generale dei media mainstream, mirava ad analizzare le politiche israeliane nei confronti della popolazione palestinese, dentro e fuori i confini stabiliti dello Stato di Israele.

Se infatti apartheid significa letteralmente “separazione”, e la sua politica è quella di porre su piani gerarchici i cittadini di una stessa terra, allora quello instaurato da Israele nei confronti dei palestinesi è un regime di Apartheid.

A testimoniarlo “le demolizioni di case, le punizioni collettive corporali e psicologiche cui la popolazione è sottoposta, il deterioramento dei servizi sanitari ed educativi; il divieto di muoversi liberamente all’interno dei Territori, così come quello di praticare la propria religione”.

E ancora, “le leggi militari applicate solo ai palestinesi, le strade riservate ai soli coloni all’interno dei Territori, lo status di serie b cui sono ridotti i palestinesi residenti a Gerusalemme”. In una parola, quello che Israele fa ogni giorno è “impedire al popolo palestinese di funzionare come gruppo sociale”, separandolo per giunta attraverso un muro.

Secondo il parere del Tribunale, almeno il 30% delle violazioni commesse da Israele possono essere identificate come pratiche di apartheid, considerato un crimine contro l’umanità e vietato dal diritto internazionale.

Un tentativo importante quello del Tribunale Russell, per quanto ignorato dalla comunità internazionale e dalla gran parte dei media, che si da appuntamento per l’ultima sessione, questa volta a Washington, all’inizio del 2012.

E che si è dato come obiettivo quello di rendere evidenti ed inconfutabili i crimini commessi da Israele contro la popolazione palestinese, per realizzare l’intento enunciato già a suo tempo da Bertrand Russell: “Che questo tribunale – scriveva il filosofo – possa impedire il crimine del silenzio”.

8 novembre 2011

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Fonte:  Unponteper Osservatorio Iraq  (Medioriente – Nordafrica)

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