.
– Partigiane: 35.000
– Patriote: 20.000
– Gruppi di difesa: 70.000 iscritte
– Arrestate, torturate: 4.653
– Deportate: 2.750
– Commissarie di guerra: 512
– Medaglie d’oro: 16
– Medaglie d’argento: 17
– Fucilate o cadute in combattimento: 2.900
In tutte le città del Nord Italia liberato dal nazi-fascismo, grazie all’intervento delle truppe alleate anglo-americane e, nondimeno grazie alla strenua, lunga lotta clandestina, combattuta dai partigiani, il 1° maggio 1945, si festeggiano, contemporaneamente, la Festa del Lavoro e quella della Liberazione.
Questa prima celebrazione avviene dopo oltre vent’anni di regime che, ha portato un’intera Nazione allo sfacelo, costringendo, negli anni più difficili, quelli della guerra, donne, anziani e bambini a vivere, di giorno, in funzione della affannosa ricerca di cibo e, di notte, in funzione della disperata ricerca di un rifugio.
La festa del 1° Maggio 1945 assume, pertanto, un significato emblematico per un popolo che riconquista la propria dignità e la propria libertà.
In questo contesto festoso in ogni città del Nord si assiste al tripudio dei partigiani, che sfilano in mezzo alla folla esultante.
Bandiere dei partiti antifascisti vengono esposte alle finestre; anche le donne con fazzoletti rossi o verdi si uniscono alla festa, cantando e ballando i motivi americani, in voga.
Ma le donne non sfilano insieme ai partigiani.
“C’è, nei confronti delle donne che hanno partecipato alla Resistenza, un misto di curiosità e di sospetto… E’ comprensibile … che una donna abbia offerto assistenza a un prigioniero, a un disperso, a uno sbandato, tanto più se costui è un fidanzato, un padre, un fratello… L’ammirazione e la comprensione diminuiscono, quando l’attività della donna sia stata più impegnativa e determinata da un a scelta individuale, non giustificata da affetti e solidarietà familiari. Per ogni passaggio trasgressivo, la solidarietà diminuisce, fino a giungere all’aperto sospetto e al dileggio.”
Così scrive MIRIAM MAFAI nel noto volume Pane nero, più volte ristampato (ora in Oscar Mondadori, p. 263).
Recenti studi storici hanno saputo conferire il dovuto risalto a quello che impropriamente viene definito “ruolo”, “contributo”, “partecipazione femminile” nella Resistenza Italiana.
Note storiche, quali Mirella Alloisio, Giuliana Beltrami, Anna Bravo, Anna Maria Bruzzone, Marina Addis Saba, Victoria De Grazia, Delfina Tromboni, attraverso le loro ricerche, nonché attraverso numerose, preziose interviste a donne, che assunsero parte attiva nella lotta, a fianco dei partigiani, hanno creato un quadro composito ed omogeneo di quella parte della Resistenza, “lungamente taciuta”.
Il principio che accomuna i sopramenzionati studi storici si estrinseca nell’analisi a quei vocaboli, propri della storiografia ufficiale, volti a conferire alle donne un ruolo marginale nella guerra partigiana.
Mentre il termine partecipazione rende un po’ più di giustizia, perché in sostanza, significa “prender parte” (ma come sottolinea Anna Bravo, non significa ancora “fare parte”), il termine “contributo”, invece, non ha neppure questo connotato.
In fondo chi oserebbe parlare di “contributo maschile” nella Resistenza?
Persiste, dunque, ancora, sul piano linguistico, uno scarto non superato, non risolto: “lo scarto tra ciò che di una donna si pensava potesse fare prima della resistenza e di ciò che si pensa possa fare dopo, per il semplice motivo che l’ha fatto”.
Questa è la sintetica, ma efficace interpretazione storico-linguistica che, D. TROMBONI E L. ZAGAGNONI compiono nel loro pregevole Con animo di donna, UDI – Archivio Storico, 1991.
In Partigiane – Tutte le donne della Resistenza, Mursia Editore, Milano, 1998, la storica Marina Addis Saba, precisa che l’impegno femminile, durante la guerra di liberazione, “disconosciuto e poco noto”, si orientò verso due direzioni: l’una dettata dalla necessità, fu quella di resistere e di dare assistenza ai partigiani, attraverso molteplici attività materiali, dalla cura ai feriti, al trasporto di armi, munizioni e cibo, anche nelle zone più impervie, nei nascondigli dei partigiani, in mezzo ai monti.
L’altra direzione dell’impegno femminile è stata quella politica.
Numerosissime donne, di ogni estrazione sociale, operaie, studentesse, casalinghe, insegnanti, in città, così come in campagna, organizzarono veri e propri corsi di preparazione politica e tecnica, di specializzazione per l’assistenza sanitaria, per la stampa dei giornali e dei fogli del Comitato di Liberazione Nazionale e per la divulgazione di stampa e volantini di propaganda, a favore della lotta partigiana.
A rafforzare l’impegno politico femminile, durante la Resistenza, è testimonianza un organismo creato nel novembre del 1943 a Milano, da alcune donne appartenenti ai partiti del CLN (Giovanna Barcellona, Giulietta Fibbi e Rina Picolato, comuniste; Laura Conti e Lina Merlin, socialiste; Elena Drehr e Ada Gobetti, azioniste).
Tale organizzazione prende il nome di Gruppo di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti per la libertà”. Da una stima effettuata a guerra finita, nei GDD costituitisi in tutta Italia si contano circa 59.000 donne.
In Volontarie della libertà di Mirella Alloisio e Giuliana Beltrami, Mazzotta Edit., 1981, emerge, con chiara evidenza, l’impegno che, attraverso i GDD, le partigiane, iniziano a manifestare. Il loro compito, in primo luogo, consiste nell’allargare la rete delle aderenti, cercando di avvicinare le donne e di spiegare loro quale importanza strategica, può derivare dal coinvolgimento nella guerra di liberazione.
Ancora manca l’abitudine ad affrontare argomenti quali libertà, giustizia, ma il coraggio e la determinazione hanno la meglio.
Non si può affermare, dunque, che sia l’incoscienza o l’ignoranza ad animare moltissime donne, a far correre loro rischi inenarrabili, pur di portare a compimento un’azione, quale può essere la consegna di un messaggio, che informa degli spostamenti dei tedeschi un gruppo di partigiani, altrimenti isolati in zone impervie di montagna o in altri nascondigli pressoché irragiungibili.
E’ invece indubitabile che le donne vivono la consapevolezza di combattere per una causa giusta e che in numero considerevole partecipano alla formazione dell’opposizione antifascista, fulcro della guerra di liberazione.
Nell’immediato dopo-guerra, infatti, le donne italiane conseguono il diritto di cittadinanza, attraverso il voto, quale pieno riconoscimento della loro ormai matura coscienza politica.
Solo allora viene affermata l’eguaglianza nei diritti del lavoro e nella famiglia, grazie alla Costituzione repubblicana, “che è il frutto più maturo della Resistenza”, come ricorda Marina Addis Saba.
(schede a cura di Katia Romagnoli)
.
Fonte: Resistenzaitaliana.it
.