Daily Archives: 29/07/2015

La scuola nel bosco: un altro mondo è possibile!

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la scuola nel bosco

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La scuola nel bosco

di Paolo Mai

Partirà a settembre ad Ostia Antica (Roma) la prima scuola primaria italiana che si ispirerà ai principi pedagogici delle scuole nel bosco. A coordinare il progetto saranno “L’Emilio” e “Manes” che lo scorso anno hanno dato vita al primo asilo nel bosco in Italia (qui raccontato su Comune, Il nostro asilo nel bosco). Questa volta però il progetto non sarà di natura privata ma pubblica. Infatti questa sperimentazione avrà luogo grazie alla collaborazione con L’istituto Comprensivo Amendola Guttuso di Ostia che applicando i principi dell’autonomia scolastica si è resa disponibile a sperimentare percorsi educativi diversi rispetto a quello tradizionale. Saranno quindici i bambini di diverse età che parteciperanno al progetto i cui scopi oltre a quelli richiesti dal ministero saranno una particolare attenzione all’educazione ambientale e a quella emozionale. Come l’asilo nel bosco infatti il rapporto maestro/ bambino non sarà 1 a 25 ma 1 a 8 e ciò permetterà di costruire una sana relazione tra educatore e alunno e di lavorare sulle emozioni dei piccoli così importanti pe rlo sviluppo integrale della persona anche in relazione ai processi cognitivi che sembrano essere l’unico obiettivo della scuola tradizionale.

L’aula sarà la città tutta, i suoi boschi, il suo patrimonio storico artistico e le sue proposte culturali. Le lezioni di scienze saranno fatte nel bosco o all’oasi Lipu di Ostia, quelle di Storia agli Scavi di Ostia Antica o ai Fori Imperiali, i bambini studieranno geometria e matematica all’orto o in falegnameria e così l’esperienza diretta e la piacevolezza saranno due ingredienti fondamentali di questo nuovo approccio didattico. Anche le arti faranno parte delle esperienze quotidiano che verranno proposte ai bambini, il teatro, la pittura, la creta e la danza saranno parte integrante del progetto.

I vantaggi di questo approccio sono molti e sono stati evidenziati da diverse ricerche oltre che dall’esperienza dell’asilo nel bosco di Ostia Antica. Ne partirà una in Italia coordinata dall’Università di Bologna e da quella della Valle d’Aosta e quest’anno ne abbiamo parlato in un Convegno internazionale all’Università Roma Tre. innanzitutto i bambini sono felici di andare a scuola e questo li predispone a costruire relazioni sociali costruttive e ad attivare processi d’apprendimento efficaci. Non molti lo sanno ma le neuroscienze dimostrano che quando siamo felici la nostra memoria funziona meglio, così come la nostra creatività e anche il sistema immunologico funziona a pieno regime. I bambini si ammalano pochissimo e questo oltre che dalla felicità dipende dal trascorrere la quotidianità all’aria aperta che rinforza il sistema immunitario e rende difficile la diffusione di virus e batteri. La sensibilità verso la natura è un altro tratto che contraddistingue queste scuole: la natura è maestra e compagna di gioco e l’amarla è il primo passo per prendersene cura. In più quando vogliamo trasmettere competenze o informazioni se i bambini fanno un’esperienza diretta senza la mediazione del maestro e del libro le acquisiscono in molto meno tempo e rimangono nel loro bagaglio di conoscenze utili per la vita senza che scompaiano presto come accade nell’approccio tradizionale.

Diverso è anche il ruolo dell’educatore e per spiegarlo vi proponiamo un estratto del Libro “L’Asilo e la Scuola nel Bosco, un nuovo paradigma educativo” che uscirà in dicembre scritto dal gruppo di lavoro che si occupa di questo nuovo modello di scuola:

“L’educatore è colui che partendo dall’osservazione dei bisogni e degli interessi di ciascun bambino lavora in maniera discreta sul contesto per facilitare il naturale processo di crescita di ciascun bambino. Molto efficace è a tal proposito la metafora della pianta e del buon contadino. Un seme contiene in sé tutte le informazione e le risorse che gli permetteranno di diventare una robusta e rigogliosa pianta. Un buon contadino sa che per ottenere buoni frutti dalle sue piante non deve tirarle o indirizzarle per farle crescere più velocemente o per permettere loro di dare più frutti. Un buon contadino sa che ciascuna pianta ha bisogno di un ambiente che gli è proprio, fatto di un certo tipo di terra, di una determinata quantità di sole e di una giusta dose di acqua. Un buon contadino sa che il riso vuole molta acqua e il pomodoro meno, che la zucchina ama i terreni grassi e l’insalata non ha molte pretese, che la melanzana ama il sole mentre la fragola ama l’ombra. Quindi compito del buon contadino è quello di conoscere le particolarità di ciascuna delle sue piante e creare il contesto più adatto affinchè ciascuna di loro, con i tempi che le sono propri cresca armoniosamente . Il buon contadino ha imparato dalla terra che per avere successo bisogna abbassarsi a toccarla e cio’ costa fatica e presuppone umiltà. Il buon contadino sa bene che l’ingrediente più importante per avere un orto ed un frutteto rigoglioso è l’amore.

Il buon maestro come il buon contadino sa che ciascuna delle creature di cui si prende cura ha i suoi tempi e la sua individualità e per questo non si metta a giudicare o a imporre un ritmo di crescita comune a tutti e soprattutto sa che ciascun bambino in un determinato momento puo’ avere interessi e bisogni diversi e per questo deve evitare di fare proposte uniche ma cercare di creare quelle situazioni che permettano a ciascuno di loro di crescere seguendo il proprio unico ed irripetibile percorso.

Compito del buon maestro è infine quello di amare i propri bambini ma sapendo bene che amare significa anche saper dire no, perché i no tracciano quel perimetro senza il quale il pargolo si troverebbe in uno spazio troppo grande da gestire, e significa anche permettere al bambino di vivere delle sane frustrazioni. Le frustrazioni sono molto importanti perché permettono al bambino di vivere situazioni non piacevoli che gli insegneranno a trovare delle soluzioni ai problemi e a cavarsela durante la vita. Ovviamente affinchè le frustrazioni siano sane non devono essere costanti e ripetute in maniera quasi permanente e non devono nascere da eventi traumatici”.

Infine l’auspicio che gli educatori nel bosco è che questa esperienza diventi uno stimolo per la sperimentazione anche in altre città cosi’come accaduto per l’Asilo nel Bosco. Nel prossimo anno scolastico infatti in diverse città nasceranno asili che si ispireranno a questa pedagogia: Monza, Rapallo (Ge), Biella, Piacenza, Pisa, Verona, Castiglione delle Stiviere (Mn), Cerveteri (Rm), Domodossola (Vb), Parma e Montecompatri (Rm) saranno altre realtà in cui si sperimenterà questa pedagogia che pare piacere molto a bambini, famiglie, maestre e ricercatori.

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Fonte: comune-info

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Dossier: “Morire di carcere”

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Giustizia: “Area” sui suicidi nel carcere di Regina Coeli

Ristretti Orizzonti, 28 luglio 2015

Eduard Thedor Brehuescu, 18 anni: muore impiccato nel carcere romano di Regina Coeli il 20 luglio. Poche ore prima, nello stesso reparto, trova la morte Ludovico Caiazza, 32 anni. Entrambi in custodia cautelare, entrambi morti per suicidio.

Sono 24 i morti per suicidio in carcere dall’inizio del 2015; 63 il numero delle morti complessive tra la popolazione detenuta. In carcere, tra i ristretti, il suicidio colpisce 20 volte più che tra le persone libere. Tra il personale di polizia penitenziaria, 3 volte più che nella norma. Sono i dati del dossier “Morire di carcere”, curato da Ristretti Orizzonti.

Quando emettiamo condanne ad anni di carcere, quando disponiamo misure cautelari detentive, noi dobbiamo poter confidare che non stiamo inviando le persone in un luogo senza speranza. Invece, nel quarantennale dell’ordinamento penitenziario (26 luglio 1975 – 26 luglio 2015) constatiamo che quella “tavola” dei diritti e delle speranze delle persone detenute – in custodia cautelare e in esecuzione pena – non riesce ad arginare quelle che sono state definite le evasioni definitive: un lenzuolo annodato che ti conduce fuori dalla vita.

Una morte che colpisce soprattutto i “nuovi giunti”, i detenuti in custodia cautelare, quelli che hanno appena messo piede nel carcere, avvolti anche dal turbinio dei processi psichici di rimozione o di assunzione di responsabilità, di separazione dagli affetti, di primo contatto con la realtà dell’internamento.

Come magistrati, come giudici chiamati ogni giorno ad applicare misure e pene privative della libertà, intendiamo combattere perché il carcere sia un luogo legale, conforme a Costituzione, all’interno del quale vita, incolumità e salute assurgano al livello di diritti inviolabili nella stessa misura che nella società libera.

Riteniamo particolarmente importante, in questo momento, non accontentarsi. Vogliamo vedere. Vedere cosa c’è dentro la pena, dentro il carcere. Crediamo che sia compito di tutti i giudici di cognizione, al pari dei magistrati di sorveglianza esposti su questo fronte, esigere: livelli di assistenza sanitaria per i detenuti conformi a quelli pretesi per i liberi; prassi virtuose in materia di “prevenzione rischi”; diffusione dei presidi per i nuovi giunti; implementazione dei servizi di screening e monitoraggio degli ingressi e analisi dei fattori di rischio attitudinali e psicosociali; aumento del personale civile e di polizia penitenziaria; rivisitazione della cultura, delle disposizioni e delle prassi in materia di isolamento.

Auspichiamo, inoltre, che la congiuntura di questi giorni – quarantennale dell’ordinamento, avvio degli Stati Generali dell’esecuzione penale, legge delega in materia penitenziari – consenta di mettere mano a riforme in grado di portare a compimento il processo di legalizzazione della pena carceraria: l’art. 27 della Costituzione, nel sancire solennemente che non è ammessa la pena di morte, rifiuta categoricamente anche la “morte per pena”.

Il Coordinamento di “Area”

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Fonte: Ristretti Orizzonti

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