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Insulto alla scienza: “Carne e verdure? Hanno lo stesso impatto ambientale”

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Carne e impatto ambientale: Assocarni nega l’evidenza | 24/03/2015

Gli allevatori sostengono che carne e vegetali abbiano stessa impronte ecologica, nonostante tutti gli studi scientifici dimostrino il contrario.

[COMUNICATO STAMPA]
CARNE E IMPATTO AMBIENTALE: ASSOCARNI NEGA L’EVIDENZA.
ALLEVATORI SOSTENGONO CHE CARNE E VEGETALI ABBIANO
STESSA IMPRONTA ECOLOGICA, NONOSTANTE TUTTI GLI
STUDI SCIENTIFICI DIMOSTRINO IL CONTRARIO.
NO A INCLUDERE LA POSIZIONE DI ASSOCARNI NELLA “CARTA DI MILANO”,
CON INFORMAZIONI INFONDATE E VIZIATE DAL CONFLITTO DI INTERESSI.
24 marzo 2015

Titoli apparsi di recente sui giornali del tipo “Carne e verdure? Hanno lo stesso impatto ambientale”, basati su presunti “studi”, sostenuti dalle associazioni di allevatori e macellai, sono un vero insulto alla scienza, alla logica e al buonsenso.

Tutti gli studi di impatto ambientale degli ultimi decenni hanno dimostrato che i prodotti di origine animale (carne, pesce, latticini e uova) causano un impatto ambientale molto più elevato di quelli di origine vegetale. Non vi è discussione sul tema, da parte delle comunità scientifica, si tratta di risultati ormai assodati.

Il report del governo statunitense

Ciò è confermato anche dal report appena emesso (febbraio 2015) dal Dietary Guidelines Advisory Committee, il Comitato del dipartimento per la salute e del dipartimento per l’agricoltura del governo degli USA. Il report verrà usato per definire le prossime linee guida governative per una sana alimentazione (che usciranno quest’anno).

In tale report, un capitolo è dedicato alla sostenibilità ambientale delle produzioni alimentari e in esso il comitato trae delle conclusioni sulla base dei risultati di 15 studi pubblicati dal gennaio 2000 al marzo 2014 da gruppi di ogni parte del mondo (USA, Regno Unito, Germania, Olanda, Franca, Spagna, Italia, Australia, Brasile, Nuova Zelanda, ecc.) su riviste scientifiche internazionali, su quasi 90 presi in esame. Uno dei 15 scelti è a firma di un gruppo italiano (Baroni L, Cenci L, Tettamanti M, Berati M Evaluating the environmental impact of various dietary patterns combined with different food production systems, Eur J Clin Nutr. 2007 Feb;61(2):279-86. Epub 2006 Oct 11).

Nelle conclusioni del report si afferma, tra le altre cose, che:

– tutti gli studi erano concordi nel dimostrare che maggiori consumi di cibi animali sono associati a un maggior impatto sull’ambiente, mentre maggiori consumi di cibi vegetali sono associati a un minor impatto.

– Gli studi erano concordi nel sostenere che le diete che promuovono una miglior salute promuovono anche la sostenibilità.

– Gli studi hanno mostrato che diete più sane che seguono le linee guida sono più sostenibili ambientalmente rispetto a quelle tipiche consumate dalla popolazione.

(Fonte: Appendix E-2.37. Part D. Chapter 5: Food Sustainability and Safety)

Ora se un gruppo di macellai – per quando numerosi e danarosi – afferma qualcosa di completamente diverso per aumentare i propri guadagni (o cercare di arginare le perdite), non è certo il caso di dar loro credito.

L’invenzione degli allevatori: vegetali e carne hanno quasi stessa impronta ecologica

Secondo le recenti dichiarazioni delle associazioni di produttori di carne Assica, Assocarni e UnaItalia, le associazioni di categoria che rappresentano gli allevamenti di bovini, suini e pollame, “tutti gli alimenti hanno quasi la stessa influenza”.

Con la loro Clessidra Ambientale, che vorrebbero inserire nella “Carta di Milano” (il documento ufficiale di Expo 2015 da consegnare al segretario generale dell’Onu il prossimo ottobre), affermano “se si segue il giusto modello alimentare, l’impatto medio settimanale della carne risulta allineato a quello di altri alimenti, per i quali gli impatti unitari sono minori, ma le quantità consumate decisamente maggiori”.

Non stupisce questa mistificazione dei dati: chi li presenta in questa maniera ha un conflitto di interessi enorme; però dovrebbero stare ben attenti ad auspicare che la dieta media degli italiani si avvicini a quella delle linee guida, perché perderebbero molti clienti: i consumi reali di carne, pesce, latticini e uova sono molto maggiori di quelli permessi dalle linee guida!

La loro stessa affermazione, al netto dei giochi di parole propagandistici, dimostra proprio che la carne ha un impatto ambientale molto più alto dei vegetali: in una alimentazione che segua le linee guida, il consumo di carne è basso (molto minore dei livelli attuali di consumo reale), quindi costituisce solo una piccola parte della dieta. Ebbene, nonostante questo, secondo gli stessi allevatori, l’impatto ambientale generato dalla produzione di quella piccola quantità di carne eguaglia quello di tutto il resto della dieta-tipo, vale a dire quantità molto maggiori di verdura, frutta, legumi, pane, pasta, riso e altri cereali, ecc, da cui si ricava la maggior parte dei nutrienti necessari. Il che significa che produrre carne ha un impatto molto maggiore rispetto a produrre vegetali.

Non esiste la “carne sostenibile”

Parlare, come essi fanno, di “carni sostenibili” è una contraddizione in termini: per quanti accorgimenti si possano applicare nelle procedure di allevamento e di coltivazione dei mangimi, il problema è intrinseco, non si può eliminare. Infatti, per ottenere carne, o latticini o uova, bisogna nutrire gli animali con una quantità molto maggiore di vegetali (coltivati appositamente, non si tratta di “scarti” che nessuno utilizzerebbe, come si potrebbe ingenuamente pensare). Eliminare questo passo di trasformazione e coltivare cibi per il diretto consumo umano consente di risparmiare moltissime risorse, e, al contrario, non esiste metodo d’allevamento che possa eliminare il problema dell'”inefficienza” di questa trasformazione.

L’impatto della carne è ben maggiore di quello dei vegetali, anche in una dieta teorica

Oltretutto, secondo gli studi più recenti, i dati divulgati da Assocarni & C. non sono nemmeno corretti: la sola componente animale, anche quando è molto bassa, non pesa sull’ambiente come la restante componente vegetale, ma ben di più. Infatti, uno studio pubblicato di recente sulla rivista scientifica internazionale “Foods” (dello stesso gruppo di autori dell’articolo selezionato dalla commissione statunitense di cui sopra) affronta proprio questo preciso tema: prende in esame 3 diete basate sulle linee guida per una sana alimentazione emanate dal dipartimento per l’agricoltura statunitense (USDA) nel 2010. Una dieta onnivora, una latto-ovo-vegetariana, una vegana. Calcolando l’impatto ambientale totale delle 3 diete, risulta che l’impatto della dieta onnivora è del 463% maggiore rispetto a quella vegan, oltre 4 volte tanto!

Perciò, scegliere se introdurre o meno nella propria alimentazione prodotti animali, fa la differenza, eccome, sull’impronta ecologica del singolo, e tale scelta è l’arma più potente che il singolo cittadino ha a disposizione per abbattere il proprio impatto negativo sull’ambiente.

Va osservato che si sta parlando di una dieta teorica, in cui solo il 19% dei prodotti sono di origine animale (includendo in questa categoria carne, pesce, latticini e uova) mentre il restante 81% è lo stesso per tutte le diete. Se invece si va ad analizzare quel 19% di differenza, si evince che la dieta latto-ovo-vegetariana è 9,2 volte (920%) più impattante di quella vegan, l’onnivora è 17,3 (1730%) volte tanto. Si evince inoltre che la componente di origine animale della dieta è responsabile di circa l’80% dell’impatto totale, in una dieta teorica che segue le linee guida, non la metà, come sostengono gli allevatori. (Fonte: Baroni, L.; Berati, M.; Candilera, M.; Tettamanti, M. Total Environmental Impact of Three Main Dietary Patterns in Relation to the Content of Animal and Plant Food. Foods 2014, 3, 443-460. Per un riassunto divulgativo in italiano: “Carne, latticini, uova, impattano 17 volte di piu’ dei cibi vegetali”).

La dieta reale nei paesi industrializzati, in particolare dell’Italia, è molto più sbilanciata verso il consumo di cibi animali. Infatti, da uno studio pubblicato nel 2007 (lo stesso cui fa riferimento anche il report del comitato statunitense sopra citato) risulta che la dieta onnivora “reale” (vale a dire calcolata sulle statistiche reali di consumo) ha un impatto di due volte e mezza rispetto a quella “teorica” ottenuta seguendo le linee guida. E una dieta onnivora reale impatta quasi 7 volte tanto rispetto a una dieta 100% vegetale reale.

Non permettiamo che questa mistificazione entri nella Carta di Milano

Come NEIC – Centro Internazionale di Ecologia della Nutrizione chiediamo al Ministro delle Politiche Agricole di sventare questa montatura ed evitare la vergogna di inserire in un documento d’intenti con visibilità internazionale qual è la “Carta di Milano” le affermazioni propagandistiche di chi ha interessi economici in gioco.

Né il pubblico né le istituzioni devono essere prese in giro: si tratta di un argomento serio e i dati sul tema devono venire dalla letteratura scientifica, non da associazioni di produttori, specie se presentati con dei giri di parole che fanno credere cose diverse rispetto alle conclusioni reali sostenute dai dati scientifici.

Comunicato di:
NEIC – Centro Internazionale di Ecologia della Nutrizione
http://www.nutritionecology.orginfo@nutritionecology.org

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E’ primavera! Auguri Alda!

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“Ho la sensazione di durare troppo, di non riuscire a spegnermi: come tutti i vecchi le mie radici stentano a mollare la terra. Ma del resto dico spesso a tutti che quella croce senza giustizia che è stato il mio manicomio non ha fatto che rivelarmi la grande potenza della vita.”

(Alda Merini – La pazza della porta accanto)

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Alda Merini: Più bella della poesia è stata la mia vita.

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(Sullo sfondo dell’immagine un’opera dell’artista Andrea Palermo)

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Approfondimento

Alda Merini

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USA: la CIA prova a spiare dentro i prodotti Apple

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Datagate, CIA al cracking di Apple

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di Alfonso Maruccia

Le nuove rivelazioni di Edward Snowden descrivono l’intelligence americana come attivamente impegnata a bypassare la sicurezza dei gadget della Mela per rubare informazioni o installare backdoor.

Stando agli ultimi documenti riservati forniti da Edward Snowden e consultati da The Intercept, le agenzie di intelligence statunitensi (e la CIA in particolare) hanno una vera e propria passione per i gadget Apple. Al punto da dedicare anni e anni di studio al tentativo, non è dato sapere quanto riuscito, di comprometterne la sicurezza per spiare, intercettare e controllare tutto e tutti.

Lo sforzo dei ricercatori della CIA rivelato da The Intercept si è in questi anni focalizzato su diverse iniziative Apple-centriche, come ad esempio il tentativo di compromettere le chiavi crittografiche usate sui gadget mobile di Cupertino oppure l’ideazione di un metodo per compromettere Xcode, l’ambiente di sviluppo integrato usato da Apple per creare le app iOS e OS X.

Il lavoro della CIA e delle altre agenzie di intelligence USA è proseguito per anni, come emerge dai documenti di Snowden, e ha anche visto la partecipazione di ricercatori ed esperti di sicurezza privati chiamati a raccolta tramite la conferenza (ovviamente segreta) “Jamboree”.
Tra i metodi presentati durante i meeting tra spioni spiccano Strawhorse, un lavoro di ricerca a opera di Sandia Labs e focalizzato su una versione compromessa di Xcode con cui installare backdoor remote su OS X, rubare tutti i dati presenti su iPhone e iPad, oppure una presentazione su un updater per OS X modificato con cui installare impunemente software keylogger su sistemi Mac.

Non ci sono conferme, nelle nuove rivelazioni del Datagate, che CIA e altre agenzie a tre lettere abbiano avuto successo nei vari tentativi compiuti di compromettere i gadget della Mela. Traspare invece l’ipocrisia delle autorità USA, che si lamentano delle backdoor solo quando a volerle installare nei gadget sono i produttori cinesi.

I continui scoop del Datagate evidenziano ancora e ancora come gli Stati Uniti siano poco meritevoli di fiducia su questioni come cyber-sicurezza e integrità degli apparati elettronici, ambito in cui non a caso in Germania – uno dei paesi europei più controllati e spiati dalla NSA – le autorità che usano il servizio di posta elettronica De-Mail possono ora contare su comunicazioni crittografiche protette da PGP.

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Fonte: PuntoInformatico

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