Monthly Archives: Febbraio 2013

A cento anni dalla nascita di Rosa Parks. La piccola grande donna che cambiò il mondo!

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L’impronta di Rosa Parks nella storia americana

di Jeanne Theoharis

6 febbraio 2013

Oggi, 4 febbraio 2013 per onorare il centenario della nascita di Rosa Parks, il servizio postale statunitense ha emesso il francobollo Rosa Parks. L’anno scorso una scultura in pietra  della Parks è stata aggiunta alla Cattedrale nazionale. Nel 2005 Rosa Parks è diventata la prima donna e la seconda afro-americana la cui bara è stata esposta al pubblico  nel Campidoglio della nazione e, con uno speciale atto del Congresso, si è ordinato che  una sua statua fosse sistemata al Campidoglio.

Questi tributi a Rosa Parks, poggiano però su una visione ristretta e distorta della sua eredità. Secondo il racconto, una tranquilla sarta di Montgomery, Alabama, con un solo atto ha sfidato la segregazione razziale nel sud degli Stati Uniti, ha catapultato un giovane Martin Luther King Jr. nella dirigenza nazionale e ha dato inizio al moderno movimento per i diritti civili. La commemorazione di Rosa Park promuove un’improbabile racconto per bambini in cui si parla di cambiamenti sociali – una donna non arrabbiata si è seduta, il paese è stato galvanizzato dall’avvenimento e il razzismo strutturale è stato sgominato.

Questa favola diminuisce la storia più ampia dell’azione collettiva contro l’ingiustizia razziale e sottovaluta l’opposizione diffusa al movimento per della  gente di colore per la  libertà che per decenni ha trattato le attività politiche di Rosa Parks come anti-americane. La cosa più importante è che la favola tralascia la piaga duratura  della disuguaglianza sociale nella società americana – una realtà che la Parks ha continuato a sottolineare e sfidare – e serve gli interessi politi contemporanei che trattano le ingiustizie razziali come una cosa del passato.

Un resoconto più meticoloso della vita politica della Parks offre una serie diversa di motivi perché la nazione le renda omaggio. Operando in relativa oscurità negli anni ’40 e ’50, la Parks e il suo collega E.D.Nixon facevano parte di un piccolo gruppo che cercava di trasformare la NAACP (Associazione nazionale per la promozione delle persone di colore) di Montgomery in una sezione  più operativa, determinati a registrare il loro dissenso,anche se non potevano assestare un colpo significativo alla supremazia bianca. Nixon come presidente della sezione e la Parks come segretaria, hanno fatto pressione per avere l’iscrizione della gente di colore nelle liste elettorali, la giustizia legale e l’abolizione della segregazione razziale. La Parks ha percorso lo stato documentando la brutalità dei bianchi e le infrazioni della legge. L’estate prima dell’episodio dell’autobus, aveva partecipato a un seminario di due settimane alla Highlander Folk School, una scuola di addestramento per adulti di  razze diverse, nel Tennessee, per organizzare l’attuazione dell’abolizione della segregazione razziale.

Conoscendo bene quanto costava la resistenza sugli autobus (una sua vicina era stata uccisa, la giovane Claudette Colvin era stata maltrattata), e avendo opposto resistenza personale molte volte contro la segregazione senza ottenere nulla, la Park capiva il costo, il pericolo, e la probabile inefficacia della sua resistenza. E tuttavia ” spinta fino a dove poteva sopportare di spingersi”  lo ha fatto comunque. Quando, con sua sorpresa, il suo arresto ha galvanizzato un movimento di massa, ha lavorato sodo per sostenerlo nell’anno seguente.

La sua opposizione ha causato rilevanti difficoltà economiche e personali alla sua famiglia. Nei primi tempi del boicottaggio, sia Rosa che Raymond Park hanno perso il lavoro. Otto mesi dopo la fine del boicottaggio, senza poter ancora trovare un lavoro, in cattiva salute e con le continue minacce di morte da affrontare, essi hanno lasciato Montgomery e sono andati a Detroit. Rosa non si è riposata, ma si è unita a nuovi e vecchi compagni per combattere il razzismo della sua nuova città di residenza e, più in generale, della società americana.

Una delle più grosse distorsioni della favola della Parks è il modo in cui questa la rappresenta come docile, senza la risoluta sensibilità politica che le faceva riconoscere in Malcom X il suo eroe personale. Arrivando a Detroit nel 1957, Rosa ha passato più di metà della sua vita lottando contro l’ingiustizia razziale delle leggi Jim Crow *nel nord del paese. Descrivendo la città come la “terra promessa che non era”, la famiglia Parks viveva “nel cuore del ghetto” e ha scoperto che il razzismo a Detroit era “diffuso quasi quanto a Montgomery.” Essendosi offerta come volontaria nella sua campagna politica, la Parks è stata assunta dal Repubblicano di recente eletto, John Conveyers nel 1965 per fare parte della sua squadra di Detroit, dove Rosa si è occupata di: brutalità della polizia,  di eventi aperti a tutti, di benessere pubblico, e di discriminazione nel campo del lavoro  – le piaghe del razzismo nel Nord America.

I suoi impegni politici di lunga durata per l’autodifesa, la storia della gente di colore, la giustizia economica, la responsabilità della polizia e la responsabilizzazione politica della gente di colore, si sono intersecate con gli aspetti fondamentali del movimento del Potere Nero, e lei ha preso parte a numerose mobilitazioni alla fine degli anni ’60 e ’70. In quanto internazionalista, si opposta al coinvolgimento degli Stati Uniti in Vietnam, ha dimostrato davanti all’ambasciata del Sudafrica per condannare l’apartheid e ha contestato la politica statunitense in America Centrale. Otto giorni dopo l’11 settembre si è unita ad altri attivisti per scrivere una lettera con la quale si chiedeva giustizia, non vendetta, insistendo che gli Stati Uniti dovevano operare insieme alla comunità internazionale e mettendo in guardia contro la rappresaglia e la guerra.

Fino alla fine della vita, la Parks ha continuato a mettere l’accento la necessità duratura del cambiamento sociale, ricordando agli Americani “di non accontentarsi dei successi che abbiamo fatto negli ultimi 40 anni.” Quella intera vita di fermezza,  di indignazione, di tenacia e di eroismo è quella che merita la venerazione nazionale.

Rendere giustizia alla vera eredità della Parks, richiede quindi qualche cosa di noi, qualche cosa molto più difficile da fare che un francobollo o una statua. Il coraggio di Rosa Parks consisteva nella capacità di opporre resistenza personale, anche se lei ed altri lo avevano fatto prima e nulla era cambiato, e perfino quando Rosa capiva bene il danno che poteva averne. Ha opposto resistenza ripetutamente durante tutta la sua vita.

Onorare la sua eredità significa avere la stessa audacia. Richiede riconoscere che l’America non è una società post-razzista e che il degrado provocato  dall’ingiustizia razziale e sociale è profondo ed evidente. Comporta un intenso impegno negli scopi per i quali Rosa ha lottato tutta la sua vita  – un sistema di  giustizia penale imparziale e giusto per la gente di colore, il diritto di voto senza restrizioni, l’accesso paritario all’istruzione, una  vera assistenza ai poveri, eliminare  le guerre di occupazione degli Stati Uniti e la storia della gente di colore da tutti i settori dei curricoli scolastici. Infine significa prestare attenzione alle parole che ha detto agli studenti del College Spelman: “Non rinunciate e non dite che il movimento è morto.”

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it.wikipedia.org/wiki/Leggi_Jim_Crow

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Fonte ita:  Z Net Italy

 

Jeanne Theoharis è professoressa di Scienze politiche al College Brooklyn dell’Università della città di New York, ed è autrice di una nuova biografia: The Rebellious Life of Mrs. Rosa Parks [La vita ribelle della Signora Rosa Parks].

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/rosa-parks-stamp-on-american-history-by-jeanne-theoharis

Originale: The Root

Traduzione di Maria Chiara Starace

Traduzione © 2013  ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC  BY – NC-SA  3.0

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Twitter violati i server. 250mila il numero di account interessati dall’attacco

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Twitter sotto attacco

Il servizio di micro-blogging preso di mira da ignoti che riescono a penetrare nei server. Potenzialmente compromessi centinaia di migliaia di account. Dalla società messaggi contraddittori sull’origine del problema

di Alfonso Maruccia

Twitter è sotto attacco, e questa volta non si tratta di un falso allarme: e lo stesso blog dell’azienda ad annunciare che, nel corso della scorsa settimana, i server del servizio di micro-blogging hanno registrato percorsi di accesso “inusuali” nel tentativo di rubare informazioni degli utenti.

Twitter stima in circa 250mila il numero di account interessati dall’attacco, con gli ignoti assalitori che si sono guadagnati l’accesso a informazioni “limitate” comprendenti nomi utente, indirizzi email, token di sessione e versioni cifrate delle password di accesso.

Si è trattato di un attacco bloccato in pieno divenire, dice la società, un lavoro “estremamente sofisticato” che fa parte di un piano di più ampio respiro: Twitter chiama direttamente in causa le intrusioni non autorizzate nei server del New York Times e del Wall Street Journal rese pubbliche nei giorni scorsi.

Il servizio di micro-blogging consiglia agli utenti di cambiare la password, disabilitare Java e altri componenti vulnerabili presenti sul sistema, mentre per le 250mila potenziali “vittime” è in viaggio una email che spiega ciò che è accaduto e come ripristinare l’accesso a Twitter con una password nuova di zecca.

E in attesa di conoscere il risultato finale delle indagini in corso, proprio la suddetta email fa nascere l’ennesimo “giallo” su un caso in divenire: nella missiva Twitter parla di account compromesso “a causa di un sito web o servizio non associato con Twitter”, un commento che stride pesantemente con la spiegazione data dal blog corporate e cioè che i cracker sono entrati nei server della società senza alcun intervento dell’utente. Problemi alle comunicazioni interne o sintomo di scenari complessi dietro l’attacco?

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Fonte: Punto Informatico

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Grecia: anarchici torturati, Amnesty chiede un’inchiesta

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Foto ritoccate per nascondere violenze

Foto ritoccate per nascondere violenze

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Emergono particolari scioccanti sul caso dei quattro giovani arrestati sabato e torturati dalla polizia ellenica. Lo scandalo supera i confini nazionali e Amnesty International punta il dito contro Atene.

Anche Amnesty International, in una nota diffusa ieri, ha chiesto l’apertura di una inchiesta sulle torture inflitte dalla polizia ellenica a quattro giovani arrestati lo scorso 1° febbraio 2013, perché sospettati di aver partecipato alla rapina di una banca di Kozani, nel nord della Grecia. Due dei quattro detenuti sono accusati di far parte del gruppo armato di ispirazione anarchica “Cospirazione delle cellule di fuoco”.

“Le autorità greche non possono pensare di risolvere i loro problemi con Photoshop. Questa cultura dell’impunità dev’essere fermata. Su questa vicenda occorre indagare in modo efficace, imparziale e approfondito, in modo che i responsabili siano identificati e portati rapidamente di fronte alla giustizia” ha dichiarato Amnesty International. Le foto dei quattro giovani con i volti tumefatti per le botte e le torture ricevute hanno fatto nei giorni scorsi il giro del mondo, dopo la pubblicazione delle immagini su alcuni siti istituzionali da parte delle autorità elleniche che hanno in questo modo voluto rivendicare gli arresti. Non prima di aver tentato di ritoccare e ripulire le istantanee a colpi di Photoshop, per cercare di cancellare parte delle prove dei pestaggi che comunque sono apparsi evidenti. Il “lavoro” di ripulitura delle foto infatti è stato fatto così male e di fretta che l’operazione è diventata un vero e proprio boomerang per il governo Samaras e in particolare per il ministero degli interni di Atene. Nel tentativo maldestro di cancellare le ferite più gravi gli improvvisati tecnici della polizia hanno completamente stravolto il viso di uno dei quattro giovani, mentre ad un altro hanno schiarito i capelli biondi così tanto da farli diventare quasi bianchi. E non è quindi bastato impedire ai quattro arrestati di contattare famigliari e avvocati per 24 ore, aspettando che le ferite provocate si rimarginassero almeno un po’.

Nel tentativo di salvare il salvabile la polizia ha affermato poi che i quattro sarebbero stati feriti nel corso dell’arresto e il ricorso alla forza si sarebbe limitato al necessario. Una versione poco credibile e smentita immediatamente. Medici e i familiari, infatti, hanno da subito denunciato che il brutale pestaggio è avvenuto proprio durante e subito dopo la detenzione, quando gli agenti hanno voluto punire gli arrestati per la matrice politica antisistema dei loro presunti crimini.

Uno degli arrestati, il ventenne Nikos Romanós, ha dichiarato: «I miei motivi erano politici. Considero me stesso prigioniero di guerra. Non mi considero una vittima. Non voglio querelare i poliziotti che mi hanno picchiato. Desidero che il mio maltrattamento sensibilizzi le coscienze dei cittadini».

Non è la prima volta che alcuni giovani vengono torturati dalla polizia. Nell’ottobre 2012, 15 manifestanti antifascisti avevano denunciato di essere stati torturati all’interno degli uffici del quartier generale della Polizia di Atene, il GADA, dopo il loro fermo durante una manifestazione antifascista nelle vie della capitale.

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Fonte:  contropiano.org

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