Monthly Archives: Dicembre 2009

Eating Animals di Jonathan Safran Foer: Perchè sono vegetariano

In questo nuovo saggio, "Eating Animals,  Jonathan Safran Foer ci racconta le motivazioni che lo hanno spinto verso la scelta vegetariana. In Italia il libro edito da Guanda, che uscirà il 25 febbraio, sarà titolato "Se niente
importa. Perché mangiamo gli animali?" (madu)

 

 

PERCHÉ SONO VEGETARIANO

NEW YORK. Dopo due romanzi di straordinario successo planetario, uno dei
quali diventato un film di culto, Jonathan Safran Foer consegna alle
stampe un lungo saggio intitolato Eating Animals, nel quale racconta le
motivazioni della propria scelta vegetariana, il controverso rapporto
con il cibo e l’ orrore nei confronti degli allevamenti di animali. Il
libro, che uscirà il 25 febbraio per Guanda col titolo Se niente
importa. Perché mangiamo gli animali?
è una via di mezzo tra un
reportage e una riflessione, personalissima, sulla violenza che viene
perpetrata ogni giorno nei confronti di mucche, pollame, maiali e
pesci, e sull’ ignoranza e l’ indifferenza che circondano l’ argomento.
Safran Foer parte dal ricordo della nonna, che sopravvisse
miracolosamente all’ Olocausto e che lui considerò per molto tempo come
la migliore cuoca di tutti i tempi, per narrare quindi la propria
scelta vegetariana vissuta a fasi intermittenti. Sin dalle prime pagine
ci sono molti passaggi nei quali è possibile riconoscere immediatamente
lo stile dell’ autore, a cominciare da un falso dizionario
caratterizzato dal sarcasmo, a titoli in pieno stile postmoderno ("Non
sono il tipo di persona che si trova nel pieno della notte nella
fattoria di uno sconosciuto") e note per comunicare dati che avvalorano
le tesi de libro: «Meno dell’ uno per cento degli animali uccisi per la
propria carne provengono da allevamenti familiari». Nella visita
notturna citata lo scrittore si avventura in compagnia di un animalista
dentro un allevamento di tacchini e ne rimane sconcertato. Non è l’
unico momento di sgomento in un libro brillante, nel quale Safran Foer
pubblica cinque intere pagine con le sole parole Influent e
Speechlessness per spiegare che «nell’ arco della propria vita gli
americani mangiano in media l’ equivalente di 21.000 animali. Un
animale per ogni lettera delle ultime cinque pagine». Ma il testo
invita a riflettere su qualcosa che trascende il ribrezzo per tanta
violenza: «L’ impatto degli allevamenti animali sul riscaldamento
globale è superiore del 40 per cento rispetto a tutti i trasporti del
mondo combinati. È la causa principale del cambiamento del clima».
«Sono dati ufficiali, confermati dalle Nazioni Unite e da tutte le Food
Commission», spiega l’ autore, con passione. C’ è chi pensa che il
grido d’ allarme sul riscaldamento globale sia esagerato o perfino una
bufala… «Beh, non sono tra costoro. È uno dei grandi temi di questi
anni, nei confronti del quale non possiamo non prestare la massima
attenzione. E, voglio ripetere, la difesa dell’ ambiente e il rispetto
per gli animali sono due facce della stessa medaglia». (leggi tutto)

 

Fonte: La Repubblica

 

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Approfondimento:

Jonathan Safran Foer

 


40 anni fa la strage di Piazza Fontana

 

Dall’intervista del 1982 a Licia Pinelli:

"Pino è stato il granellino di sabbia
che ha inceppato il meccanismo. Dopo la bomba di Piazza Fontana avevano cominciato
la caccia agli anarchici, che erano la parte più debole… la morte
di Pino è stata un infortunio sul lavoro, per loro sarebbe stato più
comodo metterlo in galera con gravi imputazioni e tenerlo dentro per anni…"

 

 

40 anni fa la strage di Piazza Fontana


È
sempre stupefacente come – in Italia, almeno – i «cercatori ufficiali
di verità» si guardino bene dal fare domande ai testimoni diretti. Un
caso esemplare
di questa malattia è quello di Pasquale Valitutti.
Appena ventenne all’epoca della strage di piazza Fontana, come tanti
altri in quei giorni fece l’esperienza della questura. Non di una
qualsiasi, ma proprio quella di Milano. Anzi, è stato l’ultimo
compagno a parlare con Giuseppe Pinelli, la sera del 15 dicembre; poi
lo ha sentito cadere dalla finestra. In questi 40 anni non ha
mai cambiato la sua versione.

Com’è stato il tuo 15 dicembre 1969?
Dopo il 12 dicembre è iniziata la caccia all’anarchico. La polizia ha praticamente fermato
tutti gli anarchici noti. Io non ero a Milano quel giorno; sono andati
a casa mia, han preso mia sorella (che non faveva politica!) e han
detto a mia madre che l’avrebbero lasciata andare solo se mi
fossi consegnato. Quando sono andato in questura, il giorno dopo, c’era
un sacco di gente. Poco alla volta hanno cominciato ad andar via e alla
fine siam rimasti solo in due: io e Pino, in uno stanzone. Pino aveva
una ventina di anni più di me che, da ragazzi, son tanti. Si
scherzava un po’, cercava di consolarmi dicendo «Dai Lello, ‘sta
cosa qui ora finisce, tra un po’ ce ne andiamo a casa». Intanto faceva
dei bei disegni per le sue bambine, che poi ho dato a Licia. Poi son
venuti a prendere Pino e lo hanno portato nella stanza vicina per
interrogarlo. L’ufficio della «squadra politica» era come un
appartamento: una porta d’ingresso, un corridoio lungo con tante stanze. (leggi tutto)
 
 
 
 
 
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Approfondimento:
 
 
 
 
 
 

Nobel per la pace: Obama ritira il premio ed in Afghanistan continuano a morire civili innocenti!

 

 

 

 

 

Mentre Obama ritira il Nobel per la pace, il suoi soldati in Afghanistan continuano a uccidere civili innocenti

di Enrico Piovesana

Amrul è un piccolo villaggio sulle montagne innevate di Laghman, un
centinaio di chilometri nordest di Kabul, abitato da poche centinaia di
pastori e contadini. Come ormai quasi tutti i villaggi
dell’Afghanistan, Amrul è sotto il controllo dei talebani.

"Perché gli danno una medaglia per la pace?". Lunedì
notte, attorno alle due, decine di soldati delle forze speciali
statunitensi accerchiano le case di argilla dell’abitato dove, secondo
le informazioni raccolte, si nasconde un ‘bombarolo’ talebano ritenuto
il responsabile di numerosi agguati dinamitardi contro i convogli delle
truppe Usa.
I talebani, appostati sui tetti delle abitazioni,
aprono il fuoco e in un istante si scatena l’inferno. I soldati
americani sparano contro tutto quello che si muove, sparando fanno
irruzione in alcune abitazioni, uccidendo sette guerriglieri ma anche
sei civili, tra cui una donna.
Il mattino successivo, partiti i
militari Usa, gli uomini di Amrul raccolgono i loro morti e li portano
a Mehtarlam, il capoluogo della provincia, per protestare davanti al
palazzo del governatore.
Dal corteo funebre di protesta si alzano
urla contro l’America, contro Obama: "Perché danno a Obama una medaglia
per la pace? Dice di volerci portare sicurezza, ma ci porta solo morte!
Morte a lui!", urla un parente delle vittime alle telecamere di Al Jazeera. "Morte a Obama! Morte all’America!", gli fa eco la folla attorno a lui alzando i pugni al cielo.
La
rabbiosa processione degli abitanti di Amrul avanza tra i campi
Mehtarlam, ma alle porte della città trova la strada sbarrata dai
soldati dell’esercito afgano, il loro esercito. I militari aprono il
fuoco contro il corteto, uccidendo tre persone. (leggi tutto)

 

Fonte: PeaceReporter