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In Italia viene uccisa una donna ogni 48 ore!

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Una donna ogni due giorni ammazzata: è l’Italia, bellezza

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Una donna ogni due giorni morta ammazzata, una donna ogni 12 secondi vittima di atti di violenza di genere. Succede in Italia, a “casa nostra”, dove dal 2000 al 2012 le donne vittime di omicidio sono state 2200, una media di 171 l’anno, una ogni 48 ore, appunto. È quanto emerge dal rapporto Eures-Ansa sull’omicidio nel nostro Paese, presentato questa mattina alla Camera. L’emergenza femminicidi continua, purtroppo, tragicamente, anche quest’anno, tanto che nei primi sei mesi del 2013 sono state uccise 81 donne, la stragrande maggioranza delle quali – il 75 per cento – da famigliari o partner (compagni, mariti, amanti, ex). Da notare, poi, che è calato sensibilmente il numero degli omicidi in generale: ciò significa che in Italia sono le donne le vittime per eccellenza del reato d’omicidio, e lo sono sempre di più. Gli assassinii sono passati da 1633 del 1990 a 526 del 2012, un calo di oltre il 67 per cento. E non è tutto: nel 2010 ci sono stati oltre 105mila reati di genere, intesi come violenza fisica, verbale o psicologica nei confronti di una donna, più di 290 al giorno. sono 95 le donne che ogni giorno denunciano di aver subito minacce, 87 di aver subito ingiurie, 10 denunciano violenze sessuali, 64 sono vittime di lesioni dolose, 19 di percosse, 14 di stalking. Questo non è un Paese per le donne.

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Fonte: rifondazione.it

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Lettera da Istanbul: da Gezi Park al mondo

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Turchia

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Si protesta per fermare la demolizione di qualcosa di più grande di un parco: il diritto a vivere in democrazia. La città si stringe solidale contro il governo.

“Ai miei amici che vivono fuori dalla Turchia: scrivo per farvi sapere cosa sta succedendo a Istanbul da cinque giorni. Personalmente sento di dover scrivere perché la maggior parte della stampa è stata messa sotto silenzio dal governo e il passaparola e internet sono i soli mezzi che ci restano per raccontare e chiedere sostegno.

Quattro giorni fa un gruppo di persone non appartenenti a nessuna specifica organizzazione o ideologia si sono ritrovate nel parco Gezi di Istanbul. Tra loro c’erano molti miei amici e miei studenti. Il loro obiettivo era semplice: evitare la demolizione del parco per la costruzione di un altro centro commerciale nel centro della città. Ci sono tantissimi centri commerciali a Istanbul, almeno uno in ogni quartiere. Il taglio degli alberi sarebbe dovuto cominciare giovedì mattina. La gente è andata al parco con le coperte, i libri e i bambini. Hanno messo su delle tende e passato la notte sotto gli alberi. La mattina presto quando i bulldozer hanno iniziato a radere al suolo alberi secolari, la gente si e’ messa di mezzo per fermare l’operazione.

Non hanno fatto altro che restare in piedi di fronte alle macchine. Nessun giornale né emittente televisiva era lì per raccontare la protesta. Un blackout informativo totale. Ma la polizia è attivata con i cannoni d’acqua e lo spray al peperoncino. Hanno spinto la folla fuori dal parco.

Nel pomeriggio il numero di manifestanti si è moltiplicato. Così anche il numero di poliziotti, mentre il governo locale di Istanbul chiudeva tutte le vie d’accesso a piazza Taksim, dove si trova il parco Gezi. La metro è stata chiusa, i treni cancellati, le strade bloccate. Ma sempre più gente ha raggiunto a piedi il centro della città. Sono arrivati da tutta Istanbul. Sono giunti da diversi background, da diverse ideologie, da diverse religioni. Si sono ritrovati per fermare la demolizione di qualcosa di più grande di un parco: il diritto a vivere dignitosamente come cittadini di questo Paese.

Hanno marciato. La polizia li ha respinti con spray al peperoncino e gas lacrimogeni e ha guidato i tank contro la folla che offriva ai poliziotti cibo. Due giovani sono stati colpiti dai tank e sono stati uccisi. Un’altra giovane donna, una mia amica, è stata colpita alla testa da uno dei candelotti lacrimogeni. La polizia li lanciava in mezzo alla folla. Dopo tre ore di operazione chirurgica, è ancora in terapia intensiva in condizioni critiche. Mentre scrivo, non so ancora se ce la farà. Questo post è per lei.

Nessun agenda nascosta
Queste persone sono miei amici. Sono i miei studenti, i miei familiari. Non hanno “un’agenda nascosta”, come dice lo Stato. La loro agenda è là fuori, è chiara. L’intero Paese viene venduto alle corporazioni dal governo, per la costruzione di centri commerciali, condominii di lusso, autostrade, dighe e impianti nucleari. Il governo cerca (e quando è necessario, crea) ogni scusa per attaccare la Siria contro la volontà del suo popolo.

E, ancora più importante, il controllo del governo sulle vite personali della sua gente è diventato insopportabile. Lo Stato, dietro la sua agenda conservatrice, ha approvato molte leggi e regolamenti sull’aborto, il parto cesareo, la vendita e l’utilizzo di alcol e anche il colore del rossetto delle hostess delle compagnie aeree.

La gente che sta marciando verso il centro di Istanbul chiede il diritto a vivere liberamente e a ottenere giustizia, protezione e rispetto dallo Stato. Chiede di essere coinvolta nel processo decisionale della città in cui vive. Quello che invece ha ricevuto è violenza e un enorme numero di gas lacrimogeni lanciati dritti in faccia. Tre persone hanno perso la vista.

Eppure continuano a marciare. Centinaia di migliaia si stanno unendo. Duemila persone sono passate sul ponte del Bosforo a piedi per sostenere la gente di Taksim. Nessun giornale né tv era lì a raccontare cosa accadeva. Erano occupati con le notizie su Miss Turchia e “il gatto più strano del mondo”. La polizia ha continuato con la repressione, spruzzando spray al peperoncino tanto da uccidere cani e gatti randagi.

Scuole, ospedali e anche hotel a cinque stelle intorno a piazza Taksim hanno aperto le porte ai feriti. I dottori hanno riempito le classi e le camere di albergo per dare primo soccorso. Alcuni poliziotti si sono rifiutati di spruzzare lo spray e lanciare lacrimogeni contro persone innocenti e hanno smesso di lavorare. Intorno alla piazza hanno posto dei disturbatori per impedire la connessione internet e i network 3G sono stati bloccati. I residenti e i negozi della zona hanno dato alla gente in strada accesso alle loro reti wireless, i ristoranti hanno offerto cibo e bevande gratis.

La gente di Ankara e Izmir si è ritrovata nelle strade per sostenere la resistenza di Istanbul. I media mainstream continuano a raccontare di Miss Turchia e del “gatto più strano del mondo”.

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Scrivo questa lettera così che possiate sapere cosa succede a Istanbul. I mass media non ve lo diranno. Almeno non nel mio Paese. Per favore postate più articoli possibile su internet e fatelo sapere al mondo.

Mentre pubblicavo articoli che spiegavano quanto sta avvenendo ad Istanbul sulla mia pagina Facebook la scorsa notte, qualcuno mi ha chiesto: “Cosa speri di ottenere lamentandoti del tuo Paese con gli stranieri?”. Questa lettera è la mia risposta.

Con il cosiddetto “lamentarmi” del mio Paese, io spero di ottenere:

Libertà di parola e espressione,

Rispetto per i diritti umani,

Controllo sulle decisione che riguardano il mio corpo,

Diritto a radunarsi legalmente in qualsiasi parte della città senza essere considerato un terrorista.

Ma soprattutto dicendolo al mondo, ai miei amici che vivono nel resto del globo, spero di aprire i loro occhi, di aver sostegno e aiuto.”

da Istanbul
Sumandef Hakkinda

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Fonte:  Informare ControInformando News  (Facebook)

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Un intero paese basco tra la polizia e la giovane attivista Urtza Alkorta

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Paese Basco. La solidarietà contro la violenza

di  Marco Santopadre

Stamattina all’alba centinaia di poliziotti hanno assaltato il piccolo comune basco di Ondarroa. A riceverli, per evitare l’arresto di un’attivista, centinaia di persone. Un braccio di ferro durato tre ore.


Sono arrivate questa mattina alle sette, una trentina di camionette della polizia autonoma basca accompagnate da varie jeep e autopattuglie. Erano venuti più volte negli ultimi sei giorni, per arrestare la giovane Urtza Alkorta, nei confronti della quale i tribunali spagnoli hanno spiccato un mandato di cattura per “collaborazione con l’ETA”. Ma finora non avevano neanche tentato veramente di portarla via. Tra loro e l’attivista indipendentista c’erano centinaia di giovani e anziani, militanti e semplici cittadini, pronti a frapporsi tra l’Ertzaintza e la ragazza di Ondarroa per impedirne l’arresto. Il loro nome significa ‘protettori del popolo’, ma la gente li chiama Zipaios. Una versione basca dei Sepoys, gli indiani che prestavano servizio nelle truppe ausiliarie al servizio dell’impero britannico contro il proprio stesso popolo nel subcontinente indiano prima dell’indipendenza di Nuova Delhi.
Nei giorni scorsi avevano più volte fatto marcia indietro, creando non pochi problemi d’immagine e credibilità al Partito Nazionalista Basco, da sempre garanzia di “ordine” e “stabilità” nella regione.
Questa mattina hanno invece ‘finalmente’ ricevuto l’ordine di portarsi via Urtza, costi quel che costi. Sono arrivati in forze, come un esercito di occupazione, hanno completamente circondato Ondarroa, piccolo comune della costa basca mobilitato ininterrottamente ormai dall’inizio della scorsa settimana. Ed hanno letteralmente assaltato il centro della cittadina distribuendo manganellate a destra e a manca. Nonostante l’ora e la pioggia battente in piazza c’erano già centinaia di persone a fare scudo alla ‘ricercata’. In moltissimi avevano dormito in piazza, attorno alla ragazza, pronti a resistere. Molti altri, richiamati anche dalle località vicine, sono accorsi al potente suono della sirena del porto, che nell’ultima settimana ha scandito i momenti più critici del braccio di ferro. Per prima cosa, inascoltati, gli Ertzainas hanno intimato ai presenti di abbandonare la piazza centrale del paese, la Alameda, altrimenti sarebbero scattate denunce e fermi. Inascoltati, hanno poi proceduto a sgomberare la grande tenda montata nei giorni scorsi a rappresentare l’Aske Gunea, lo “spazio liberato’ organizzato all’insegna del movimento per la disobbedienza civile e la resistenza passiva.

Per quasi tre ore i poliziotti, passamontagna calato e manganello alla mano, hanno faticato assai per trascinare via uno a uno centinaia di giovani e vecchi combattenti che si sono ammassati sul ponte pedonale attorno a Urtza Alkorta, rendendo ancora più lunghe e difficili le operazioni di sgombero rispetto a quanto era già avvenuto alcune settimane fa nel centro di Donostia, quando per la prima volta la polizia si era trovata davanti un incredibile ‘muro umano’ di gente solidale con 6 giovani attivisti ricercati.
Tra gli ‘anonimi’ attivisti impegnati a difendere Urtza anche vari parlamentari della sinistra indipendentista. La scrittrice Laura Mintegi e Maribi Ugarteburu non sono state affatto trattate con i guanti dagli agenti incappucciati, che anzi le hanno minacciate di arresto se non si fossero tolte di mezzo, mentre a centinaia gridavano ‘Urtza, il popolo è con te” oppure ‘Assassini’, ‘torturatori’ e “avete ammazzato Inigo Cabacas” nei confronti dei forsennati agenti.
Nonostante l’atteggiamento pacifico e passivo degli attivisti, in molti sono stati trascinati via in maniera brutale, manganellati e presi a pugni e a calci. Soprattutto nelle ultimi fasi dello sgombero dei manifestanti dal ponte. La stessa Urtza Alkorta ha chiesto ai poliziotti di smettere di picchiare i suoi compagni, visto che ormai l’avevano raggiunta. Erano le 10 di questa mattina quando gli Ertzainas l’hanno caricata su una camionetta e se la sono portata via tra gli slogan di riprovazione e i fischi degli abitanti di Ondarroa.

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Guarda le foto ed i video dell’assalto della polizia a Ondarroa.

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Fonte: Contropiano

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