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La violenza del capitale

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di Lucio Garofalo

Negli ultimi tempi, sui principali media ufficiali si paventa con insistenza un’ipotesi di default (cioè fallimento) della Grecia, a cui potrebbe far seguito un allarmante effetto domino che rischierebbe di travolgere drammaticamente altri Paesi che fanno capo all’euro, tra cui l’Italia e la Spagna sembrerebbero i più esposti al contagio della crisi.

In questo periodo sembra che gli Italiani siano diventati esperti nel campo dell’economia politica e non è un caso se Il Sole 24 ore sia uno dei quotidiani più letti e venduti nel nostro Paese. Vocaboli quali “spread” e simili, propri della scienza economica, un tempo ignoti alla massa e appannaggio esclusivo di tecnici e specialisti, sono entrati a far parte del lessico quotidiano che la gente comune adopera incontrandosi al bar o in ufficio.

Ma proviamo a chiarire alcune questioni essenziali della crisi, che è indubbiamente di matrice sistemica. In tal senso, per mettere ordine tra le troppe informazioni, sovente confuse, distorte o manipolate, che ci propinano ogni giorno i mass-media a proposito della situazione economica, ben venga a soccorrerci il vecchio barbuto ebreo di Treviri.

Ormai persino i “santoni” di Wall Street, padroni assoluti della finanza globale che sta strozzando i popoli europei, studiano le teorie di Marx per spiegare le dinamiche capitalistiche, analisi confermate dalla storia, per cui se ne avvalgono come un valido strumento di comprensione e, dunque, di potere. Non per interpretare e trasformare il mondo come suggeriva il grande pensatore di Treviri, bensì per modificarlo in peggio, per speculare più liberamente, rovinare milioni di piccoli risparmiatori e soffocare le energie vive del lavoro, per esercitare un controllo assoluto sulle masse e dirigere verticisticamente i processi della finanza e dell’economia mondiale senza più il filtro costituito dalla sovranità degli Stati nazionali e dei Parlamenti eletti democraticamente.

I guru del capitalismo finanziario hanno preso atto che una delle tendenze storiche esaminate dal vecchio barbuto comunista, riguarda le crisi che investono periodicamente l’economia capitalista e nascono dalle contraddizioni insite nella natura stessa dell’economia di mercato. In breve, un’economia di mercato senza mercato, priva cioè di una domanda, o perché l’offerta di merci supera la domanda in virtù di ricorrenti fenomeni di sovrapproduzione, è una contraddizione terminologica, per cui rischia di sprofondare in una crisi insanabile. Come accade nell’attuale situazione economica mondiale, in cui si assiste al crollo degli investimenti e dei salari, e alla caduta verticale del saggio di profitto, che acuisce la crisi provocando un circolo vizioso non superabile.

E’ innegabile che i profitti si sono spostati dal settore della produzione a quello della speculazione e si determinano attraverso bolle speculative internazionali che rovinano l’economia di interi continenti. Tale fenomeno è detto finanziarizzazione del capitale.

La logica cinica dei padroni del capitale si può riassumere nel seguente schema di ragionamento: sono disponibili miliardi di lavoratori cinesi, indiani, ecc., che producono merci a basso costo, favorendo profitti abnormi grazie a salari miserabili, per cui chi se ne frega degli operai occidentali licenziati brutalmente. Questi guru del capitalismo globale saranno pure attenti studiosi di Marx, ma non sono certo bolscevichi, anzi. Non a caso, interpretano le teorie di Marx ignorando deliberatamente la dialettica rivoluzionaria, cioè il concetto di lotta di classe, benché siano gli unici ad applicare una spietata guerra planetaria contro i lavoratori. Si pensi alla terzomondizzazione selvaggia del mercato del lavoro globale, alla violenta pauperizzazione dei produttori, per comprendere la strategia predatoria esercitata dalle oligarchie finanziarie dominanti.

Dalle crisi il capitalismo è uscito grazie a nuovi cicli di accumulazione violenta. Tradotto in spiccioli, i cicli espansivi hanno comportato feroci guerre di rapina e distruzione a scapito di vari popoli, campagne coloniali tese alla conquista e allo sfruttamento di mercati “vergini” per accumulare profitti. Tali processi di espropriazione cruenta e di intenso sfruttamento a danno dei produttori su scala globale, hanno accelerato l’esaurimento delle risorse presenti nel mondo, accentuando un’espansione consumistica irrazionale che determina la saturazione definitiva dei mercati globali. Oggi il capitalismo predatorio punta ad estorcere i beni pubblici degli Stati nazionali. Dopo aver rapinato e dissanguato i popoli del Terzo mondo, gli usurai della finanza mondiale mirano ad espropriare il reddito dei lavoratori e dei ceti medi nei Paesi “opulenti”.

Ebbene, finché il capitalismo è riuscito a garantire un pur relativo benessere alle popolazioni dei Paesi più industrializzati, è stato in grado di funzionare e reggere agli urti violenti prodotti dalle recessioni e dalle rivolte sociali. Ma oggi non è più così.  (leggi tutto)

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Fonte: il Pane e le rose

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