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#worldwaterday – L’acqua è un diritto umano!

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Il diritto all’acqua è questione di equità e salute, anche in Italia

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Dalla Toscana e dalla Calabria due frammenti delle lotte che attraversano tutto il Paese e che celebrano questo #worldwaterday. Da una parte la vittoria dei movimenti contro le “tariffe” illegittime post referendum, dall’altra una manifestazione per l’invaso dell’Alaco

di Luca Martinelli

È il #worldwaterday, la giornata mondiale dell’acqua istituita vent’anni fa dalle Nazioni Unite. In Italia, da almeno tre anni, si scrive “acqua” ma si legge “referendum”, e così il 22 marzo ricorda e celebra una delle più grandi mobilitazioni sociali e popolari della storia del nostro Paese, quella che il 12 e 13 giugno del 2011 ha portato circa 27 milioni di cittadini alle urne per votare “2 sì per l’acqua bene comune”.
Risultato frutto di un impegno iniziato che viene da lontano (almeno dal 2000, grazie all’azione del Comitato italiano per un contratto mondiale sull’acqua, poi amplificato dal marzo 2006 quand’è nato il Forum italiano dei movimenti per l’acqua), e che guarda lontano. In tutta Italia, lo abbiamo raccontato su Ae di febbraio 2013 e poi sul sito si moltiplicano i processi di ri-pubblicizzazione (ci torniamo anche sul prossimo numero della rivista, il 148 di aprile 2013), ma per celebrare questo #worldwaterday scegliamo due frammenti dalle lotte che attraversano tutto il Paese cui Altreconomia è particolarmente legata. Storie che ci portano in Toscana e in Calabria.

Toscana, tariffa illegittima: il Tar dà ragione ai cittadini. La prima riguarda la sentenza del Tar della toscana, che proprio in concomitanza della giornata mondiale dell’acqua ha dato ragione al Forum toscano dei movimenti per l’acqua, che aveva presentato ricorso contro le tariffe presentate dai gestori dopo il referendum, considerate illegittime in quanto comprendono ancora la “remunerazione del capitale investito” abrogata dal referendum del 12 e 13 giugno 2011.

In un comunicato stampa, il Forum italiano dei movimenti per l’acqua ha ricordato di aver sempre “sostenuto l’illegittimità delle bollette post referendarie, al punto di dare vita alla Campagna di Obbedienza Civile, con la quale i cittadini si sono autoridotti le bollette ‘obbedendo’ agli esiti referendari. Ora il Tar della Toscana conferma pienamente quella impostazione, scrivendo nella sentenza che ‘il criterio della remunerazione del capitale (…) essendo strettamente connesso all’oggetto del quesito referendario, viene inevitabilmente TRAVOLTO dalla volontà popolare abrogatrice…’.
Una sentenza -continua il Forum- destinata a travolgere chi sull’acqua intende continuare a fare profitti, ignorando e tentando di aggirare la volontà popolare, anche attraverso atti amministrativi” come il nuovo meccanismo tariffario elaborato dall’Autorità per l’energia elettrica e il Gas, contro cui il forum ha presentato ricorso al Tar della Lombardia.
“Una sentenza -conclude il Forum- che conferisce un’ulteriore slancio a quel processo di ripubblicizzazione dell’acqua che è in marcia in molte città italiane: il Tar toscano oggi ribadisce ‘fuori i profitti dall’acqua’, il Forum rilancia ‘fuori l’acqua dal mercato, verso la completa ripubblicizzazione’”.

La Calabria e l’acqua avvelenata. Il 23 marzo, invece, a Vibo Valentia si tiene una manifestazione per chiedere la verità sull’invaso dell’Alaco, la diga che distribuisce acqua a tutti i cittadini del vibonese. La sostengono il Forum italiano dei movimenti per l’acqua e anche il Coordinamento calabrese acqua pubblica “Bruno Arcuri”.
Su Ae ci siamo occupati a più riprese della diga sull’Alaco, da quando –nella primavera del 2011– incontrammo a Cosenza i giovani di Serra San Bruno, sulle montagne del vibonese, che avevano appena portato in laboratorio le acque prelevata dall’invaso, per analizzare (a loro spese) ed evidenziare i rischia per la salute pubblica. La storia dell’Alaco, poi, s’è intrecciata con quella di Sorical, la società partecipata dai francesi di Veolia che ha gestito in concessione tutti gli impianti d’adduzione dell’acqua potabile in Calabria, compreso l’invaso dell’Alaco.
La vicenda ha conquistato anche  l’attenzione delle tv nazionali (con un bel servizio di Crash-Rai Storia) e rappresenta -così in un comunicato diffuso da Forum italiano dei movimento dell’acqua e Coordinamento calabrese “un caso esemplare di sprechi ed inefficienze: lavori infiniti, finanziamenti bloccati, interrogazioni parlamentari, carte sparite, costi lievitati a dismisura”. Intanto, a circa 400.000 persone in 88 Comuni è stato negato il diritto all’acqua: “Il numero delle persone coinvolte e la gravità della situazione dal punto di vista sanitario ed ambientale fanno sì che la questione dell’Alaco trascenda la dimensione locale -si legge nel comunicato-, ponendosi come emergenza a livello regionale e nazionale, e come esempio estremo di dove può condurre una gestione perversa del bene comune acqua, rispetto al quale ancora, dopo quasi due anni, ci si ostina a non rispettare il chiaro risultato referendario”.

Le richieste avanzate dai promotori della manifestazione, il Forum delle Associazioni Vibonesi ed il Comitato Civico Pro-Serre, sono:
– chiusura definitiva della devastante gestione Sorical, con la presentazione e la rapida approvazione della nuova legge regionale di iniziativa popolare proposta dal Coord. Bruno Arcuri, per cui in questi giorni si stanno raccogliendo le firme;
– dismissione urgente del bacino artificiale dell’Alaco;
– avvio immediato di un programma che preveda fonti di approvvigionamento alternative;
– avvio altrettanto urgente degli interventi di ristrutturazione delle reti idriche per l’eliminazione delle perdite che oggi, nei comuni serviti dal bacino dell’Alaco, superano in media il 60%;
– avvio, sulla base di quanto esposto e delle tariffe illegittime applicate a livello regionale, di azioni giudiziarie da parte dei comuni per il recupero delle somme corrisposte alla Sorical, con rimborso ai cittadini degli importi delle bollette idriche versati e non dovuti.

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Fonte: altreconomia

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Iniziativa dei Cittadini Europei  (ICE) .  A Febbraio, la prima Iniziativa dei cittadini europei (ICE), ‘L’acqua è un diritto umano’ ha fatto la storia.  Oltre ad essere la prima che è partita nell’Unione europea, è anche la prima ad aver raccolto oltre 1 milione di firme. (leggi tutto)

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No all’intervento militare dell’Italia in Mali

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La-guerra-in-Mali

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Basta con la politica delle bombe

Dichiarazione di Flavio Lotti *

 
Il Ministro Giulio Terzi è un irresponsabile. Perché solo un irresponsabile può decidere di trascinare in questo momento l’Italia in una nuova guerra senza fine. Fermare la guerra in Mali è un dovere della comunità internazionale. Ma appoggiare militarmente l’intervento unilaterale dei francesi è semplicemente da irresponsabili.
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Così non si ferma la guerra. La si alimenta creando un nuovo disastro come la Somalia, l’Afghanistan, l’Iraq e la Libia.
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A nulla vale rifarsi alla risoluzione 2085 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Perché quella risoluzione prevede ben altri interventi.
Non c’entra la lotta al terrorismo, c’entra l’oro, il petrolio e soprattutto l’uranio. L’obiettivo non è solo il Mali ma anche il Niger. Le ragioni non sono umanitarie. In gioco c’è l’approvvigionamento energetico della Francia e il controllo delle risorse naturali di quella regione.
Invece di mettere l’elmetto, l’Italia deve agire per la pace nell’interesse primario della salvaguardia delle vite umane, nel solco della legalità e del diritto internazionale dei diritti umani.
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Invece di mettersi l’elmetto, l’Italia deve innanzitutto organizzare l’immediato invio di aiuti umanitari alle centinaia di migliaia di profughi e rifugiati travolti dalla follia della guerra e dai grandi predoni internazionali.
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L’unica soluzione è e resta quella politica. Per questo l’Italia deve unirsi a tutti coloro che stanno cercando una via politica per fermare i combattimenti.
È vergognoso che la nostra televisione pubblica non abbia dedicato un solo momento di approfondimento a questa ennesima guerra e che ad oggi non sia stato ancora inviato un giornalista della rai in Mali. Che cosa deve accadere ancora perché il nostro servizio pubblico apra finalmente gli occhi sul mondo?
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Roma, 17 gennaio 2013
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* Flavio Lotti, leader Tavola della Pace e organizzatore Marcia della Pace Perugia-Assisi,
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Approfondimento
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Kurt il Mercenario: Quello che volevate sapere sul Mali e nessuno vi ha ancora raccontato

 

 

Guerra in Mali, Terzi: “L’Italia fornirà appoggio logistico”

 

 

Guerra in Mali: quali gli interessi francesi ed europei?

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Haiti e il colera: Oliver Stone ti chiede di firmare la petizione per l’ONU

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di Robert Naiman

Se un numero maggiore di statunitensi riuscisse a liberarsi dai miti che sono stati utilizzati storicamente per costruire l’acquiescenza del pubblico nei confronti della politica estera USA, quanto ciò potrebbe aiutarci a riformare la politica estera statunintense nel futuro?

La serie documentaria in dieci parti di Oliver Stone sulla storia della politica estera statunitense è attualmente trasmessa ogni lunedì su Showtime. Stone documenta che gli Stati Uniti non sono stati particolarmente più altruisti di altri paesi che hanno cercato di esercitare un potere globale: è una favola bella che “altri paesi hanno interessi, ma noi abbiamo soltanto valori”.

PROMO: La storia non raccontata degli Stati Uniti di Oliver Stone su Vimeo

Supponiamo che un numero maggiore di statunitensi conosca la storia della politica estera statunitense. Supponiamo che un numero maggiore di statunitensi sia più consapevole delle tante volte in cui gli Stati Uniti sono intervenuti attivamente nei paesi di altri popoli contro la democrazia e contro il rispetto dei diritti umani. Supponiamo che un numero maggiore di statunitensi capisca che questi interventi USA non sono stati prevalentemente dei casi di “buone intenzioni traviate” ma che sono stati prevalentemente casi in cui il governo USA non aveva mai avuto l’intenzione di promuovere gli interessi del popolo nel cui paese interveniva, né in cui sono stati promossi i valori e gli interessi della maggior parte degli statunitensi. E supponiamo che un numero maggiore di statunitensi si renda conto che, lungi dall’essere semplicemente storia antica di un’era ormai finita, c’è stata una linea ininterrotta fino al presente in cui gli Stati Uniti non hanno mai smesso di intervenire attivamente in paesi di altri popoli contro la democrazia e contro il rispetto dei diritti umani, contro gli interessi della maggioranza del popolo in tali paesi e contro i valori e gli interessi della maggioranza degli statunitensi. Ciò non avrebbe un impatto sulla politica estera statunitense del giorno d’oggi?

Nel caso delle guerre la risposta sarebbe del tutto ovvia. Le guerre hanno bisogno di soldati che uccidano e muoiano e restino mutilati in esse, e se gli statunitensi non credessero che una guerra fosse giusta, non la appoggerebbero e i soldati e le loro famiglie non si sacrificherebbero per essa. Il fatto che guerre impopolari continuino ad aver luogo può a volte indurre il popolo a pensare che questa dinamica non conti, ma non è vero, ed è cruciale che non sia vero. Non conta così rapidamente e così decisamente come vorremmo e meriteremmo e come accadrà in futuro, quando il nostro governo sarà più chiamato a rispondere della propria politica estera nei confronti dell’opinione della maggioranza. Ma conta, ed è cruciale.

La guerra in Afghanistan è sulla via della fine in non piccola misura perché la maggioranza degli statunitensi è contro la sua prosecuzione. Il percorso verso la fine è molto più lento di quanto è necessario che sia e dovrebbe essere, e il Pentagono probabilmente farà del suo meglio perché continui, e sconfiggere i piani del Pentagono e por fine alla guerra dovrebbe essere una priorità pubblica urgente. ma la distinzione tra “non conta” e “non conta ancora abbastanza” è assolutamente cruciale. Una persona che creda veramente che “non conta” è quasi certamente una persona che resterà inerte. Una persona che creda che “non conta ancora abbastanza” è qualcuno che sarà probabilmente aperto a prendere iniziative.

Per questo motivo è cruciale che quando si narra la storia non ci si limiti a raccontare le cose terribili che sono accadute, ma si richiami l’attenzione su ciò che persone di coscienza hanno cercato di fare per impedire che accadessero le cose brutte e su come tali sforzi a volte hanno funzionato, o sono arrivati prossimi a funzionare e come le cose avrebbero potuto essere diverse.

Oliver Stone lo mostra in questa serie di documentari: come alcuni abbiano cercato di far accadere le cose in modo diverso e come ci siano quasi riusciti. La storia non è mai stata un destino: avrebbe potuto essere diversa. E se la storia avrebbe potuto essere diversa, allora potrebbe essere diverso il futuro.

Anche se le guerre interventiste sono state gli esempi più spettacolari di politiche estere statunitensi contro gli interessi della maggioranza, non si può raccontare la storia o il presente senza parlare di come gli Stati Uniti abbiano usato gli “aiuti all’estero”. E la storia complessiva di come gli Stati Uniti hanno usato gli “aiuti all’estero” è stata sempre fondamentalmente la stessa: un mezzo per intervenire contro gli interessi della maggioranza. Con questo non si vuol dire che tutti gli aiuti all’estero siano intrinsecamente cattivi per loro natura; soltanto che nel contesto delle politiche estere intese a sconfiggere le aspirazioni popolari, l’uso degli aiuti all’estero, nel complesso, ha servito gli stessi interessi serviti dalle guerre: cercare di sconfiggere le aspirazioni popolari.

Se non si sa nulla della storia di Haiti, o dei rapporti della politica estera statunitense con tale storia, potrebbe essere facile e comodo pensare che Haiti sia in qualche modo un paese povero per sua stessa natura, che gli Stati Uniti hanno cercato di aiutare con le migliori intenzioni, e che se gli Stati Uniti hanno fallito nei loro nobili sforzi di aiutare Haiti, non è stato per non aver tentato.

Ma se ci si rende conto che in realtà è stata la norma della politica estera statunitense operare per sconfiggere le aspirazioni popolari, allora se qualcuno afferma che ad Haiti gli Stati Uniti hanno altruisticamente tentato di promuovere gli interessi della maggioranza, ciò che quel qualcuno afferma è che per qualche motivo la politica nei confronti di Haiti è stata un’eccezione? Ed è ragionevole chiedersi: perché la politica nei confronti di Haiti sarebbe un’eccezione? Quali circostanze speciali spingerebbero gli Stati Uniti a comportarsi nei confronti degli interessi della maggioranza ad Haiti più altruisticamente di come si siano comportati altrove?

E poi ci si renderebbe conto che non c’è alcuna circostanza speciale di questo genere ad Haiti, piuttosto il contrario.

La regola generale è stata che quanto più un paese è stato in grado di difendersi dagli Stati Uniti, tanto più gli Stati Uniti hanno isolato tale paese. Dunque ciò che ci si aspetterebbe in generale, visto che Haiti è un paese relativamente impotente e privo di difese, rispetto ad altri paesi, in contrasto con gli Stati Uniti, non è che la politica statunitense nei confronti di Haiti sia migliore, bensì che sia peggiore.  E dopo aver ingoiato la pillola rossa è quello il mondo che si vede: anche paragonata alla politica estera statunitense in generale, la politica statunitense nei confronti di Haiti è stata peggiore.

E un esempio spettacolare di ciò è stato lo sforzo internazionale inadeguato per affrontare la crisi del colera ad Haiti, da quando il colera è stato portato ad Haiti da soldati dell’ONU portatori di colera che hanno utilizzato servizi igienici di fortuna nel 2010.

Dato che il colera non esisteva ad Haiti fino a quando non vi è stato portato dalle truppe dell’ONU, si potrebbe pensare che l’ONU avverta una responsabilità speciale e urgente di darsi da fare con decisione per sradicare il colera da Haiti. Ma non è quello che è successo sinora. E naturalmente il motivo principale per cui non è successo sinora è che Haiti è relativamente debole rispetto alle grandi potenze.

Quando si dice “l’ONU” in questo contesto si intende in particolare “gli Stati Uniti e la Francia e altri paesi potenti che hanno storicamente dominato la politica dell’ONU ad Haiti”. E’, tanto per cominciare, principalmente a causa degli Stati Uniti e della Francia che ci sono truppe ONU ad Haiti; il popolo di Haiti non ha mai chiesto all’ONU di inviare truppe nel paese. Gli Stati Uniti e la Francia hanno voluto inviare truppe ONU per “stabilizzare” Haiti dopo un colpo di stato contro il presidente democraticamente eletto di Haiti, Aristide; un colpo di stato appoggiato dagli Stati Uniti e dalla Francia. Dunque la “stabilizzazione” perseguita dagli Stati Uniti e dalla Francia è stata una “stabilizzazione” dell’obbedienza del popolo a un governo imposto dall’estero.

E se gli Stati Uniti e la Francia e i governi che li accompagnano decidessero che l’ONU debba farsi decisamente avanti per sradicare il colera da Haiti, ciò è quanto succederebbe. Ma non è quanto è successo sinora.

Ora, tuttavia, c’è un’occasione per voltare pagina. Il Guardian ha recentemente scritto:

“Haiti sta per chiedere più di due miliardi di dollari alla comunità internazionale per combattere il colera nel contesto di crescenti prove che l’epidemia peggiore del mondo è stata scatenata dalle forze di pace [sic] dell’ONU.

Il piano governativo decennale per migliorare i servizi sanitari e la provvista dell’acqua sarà rivelato con il sostegno di gruppi di aiuto stranieri e dell’ONU, che è accusata di uno dei maggiori fallimenti della storia degli interventi internazionali.”

Seguono notizie di un recente picco dei casi di colera sulla scia dell’uragano Sandy e avvertimenti di ONG che gli Stati Uniti e altri grandi donatori stanno tagliando i loro finanziamenti per il controllo della malattia.

Un annuncio potrebbe arrivare già martedì.

Ma, come l’Associated Press ha segnalato:

“Non è ancora chiaro chi pagherà per quella che sarebbe la maggiore impresa sinora per sviluppare i sistemi sanitari e idrici a malapena esistenti ad Haiti.”

E’ qui che contano il contesto e la comprensione della storia. Se non si sapesse che l’ONU ha portato il colera ad Haiti, se non si sapesse che le truppe ONU non sono mai state invitate dal popolo di Haiti ma gli sono state imposte dagli USA e dalla Francia, allora si potrebbe non vedere il motivo per un’azione così urgente e convincente. Si potrebbe pensare: certo, il popolo haitiano ha bisogno di certe cose, ma altri popoli in altri luoghi hanno bisogno di cose e dunque il popolo di Haiti dovrà semplicemente prendere il suo posto nella fila.

Ma se si sa che sono state le truppe dell’ONU a portare il colera ad Haiti – truppe dell’ONU che il popolo haitiano non ha mai invitato a venire nel proprio paese ma che sono state imposte ad Haiti dagli USA e dalla Francia – allora forse si vedono le cose in modo diverso. Forse non si vede alcuna necessità che gli haitiani si mettano in coda, perché è semplicemente banale che l’ONU assuma la responsabilità del danno che ha causato e ciò significa che i governi che stanno decidendo la politica dell’ONU nei confronti di Haiti – specialmente gli Stati Uniti e la Francia – devono tirar fuori il blocchetto degli assegni e fare il loro dovere, non come carità – anche se non ho nulla in contrario alla carità, per quel che vale – ma in risposta a una giusta domanda di risarcimento.

E, va rilevato, in termini di spese statunitensi per la politica estera, due miliardi di dollari sono una miseria. Se gli Stati Uniti ne pagassero metà e gli altri paesi pagassero l’altra metà, gli Stati Uniti spenderebbero quello che spendono per la guerra in Afghanistan ogni tre giorni. E, diversamente dalla guerra in Afghanistan, nessuno sarebbe ucciso; al contrario, sarebbero mantenuti vivi e in salute esseri umani che hanno il diritto di vivere e prosperare.

Oliver Stone – quello stesso Oliver Stone – ha avviato una petizione attraverso Avaaz, per chiedere all’ONU di intraprendere un’azione decisiva per sradicare il colera da Haiti. Nel momento in cui scrivo questo articolo la petizione ha raggiunto più di 5.000 firme. Potete firmarla qui.

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Fonte:  Z Net Italy

Originale: Huffington Post

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traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2012 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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